sabato 21 giugno 2003

ancora sull'elettroshock a Napoli (3)

La Repubblica 21.6.03
Il ritorno dopo 27 anni dell´arcaico elettroshock
di Sergio Piro

Negli Anni Cinquanta le terapie di shock dominavano il campo della psichiatria: lo shock cardiazolico, lo shock acelticolinico, lo shock febbrile (inoculazione di malaria o vaccino endovena), linsulino-terapia e l´elettroshock di Cerletti e Bini, e altri. Queste cure erano caratterizzate dall´insorgere di convulsioni violentissime (cardiazol, elettroshock), coma con risveglio all´ultimo momento (insulina), febbri spaventosamente alte (vaccino endovena). Erano dunque di una violenza estrema. Si diceva che esse fossero come una forte botta a una radio che non funzionava. Il ricorso a metodi così violenti di cura era in parte una necessità legata alla mancanza di terapie importanti delle psicosi e, in parte, un mezzo sbrigativo e redditizio per affrontare ogni tipo di sofferenza, anche quelli (la maggior parte) che avrebbero avuto bisogno di interventi di tipo psicologico, esistentivo, familiare, comunitario, sociale. Non fu solo l´arrivo degli psicofarmaci a spazzare via queste pratiche violente, ma anche il primo diffondersi di una coscienza antropo-psicologica e sociale della sofferenza umana.
Poco dopo la contestazione della psichiatria manicomiale e della violenza di certi metodi terapeutici spazzò via definitivamente i reliquati medievali delle terapie di shock e pose sotto critica pesante le mutilazioni cerebrali della cosiddetta psicochirurgia (ricordate Qualcuno volò dal nido del cuculo?).

La terapia è ammessa in casi particolari ma docenti e studenti del "Federico II" si sono ribellati
Napoli, elettroshock a un malato trent´anni dopo torna la polemica
Il medico: "Era l´unica chance disponibile"
di Giuseppe Di Bello

NAPOLI - Dopo quasi trent´anni a Napoli ricompare l´elettroshok e per curare un giovane di 36 anni affetto da forte depressione. Il protocollo "terapeutico", che sembrava cancellato del tutto ma che è ancora prassi soltanto all´ospedale San Raffaele di Milano e alle università di Pisa e di Roma (La Sapienza), è stato reintrodotto nella clinica psichiatrica dell´università Federico II di Napoli diretta dal professor Giovanni Muscettola. Ma il caso del giovane, ricoverato (e seguito da anni) nella struttura del Nuovo Policlinico, ha scatenato violente polemiche nonostante il docente abbia rassicurato studenti e colleghi: «C´era un´indicazione primaria non sulla diagnosi, ma sulla gravità del quadro clinico. Non si tratta di un ritorno al passato. L´elettroshock era l´unica chance disponibile. A lui e ai familiari abbiamo spiegato i motivi della proposta: hanno capito e, insieme, hanno aderito al protocollo. D´altronde avevamo tentato, a vuoto, tutte le terapie farmacologiche».
Tecnicamente si chiama Tec (Trattamento elettroconvulsivo) ed è una scossa elettrica di circa 100 volts somministrata (in genere in anestesia generale) attraverso uno o due elettrodi applicati ai lati della testa. Un sussulto che dura frazioni di secondo provoca una vera e propria crisi epilettica che dovrebbe risultare benefica per il paziente. A nulla sono servite le proteste degli studenti, del Forum per il diritto alla salute e di alcuni specialisti. Il professore è andato avanti, rifiutando categoricamente di rivedere il caso e, soprattutto, di interrompere il trattamento.
Il primo a essere investito della vicenda è stato il preside della facoltà, Armido Rubino, a cui era stata inviata la richiesta di un dibattito pubblico. Incontro prima concesso e poi disertato. Dice Raffaele Aspide, medico e rappresentante del Forum: «Per rispettare il paziente e la famiglia avremmo preferito non sollevare un polverone ma, visto che hanno risposto picche alle nostre richieste, abbiamo deciso di intervenire pubblicamente. La terapia è iniziata senza alcuna delle quattro indicazioni ammesse dal decreto del '99 (depressione maggiore, sindrome catatonica, sindrome maligna da neurolettici e mania). E ci ha fatto rabbrividire quanto ci ha confessato un docente: l´elettroshock viene praticato da decenni in moltissime strutture private e nessuno denuncia». Da parte sua il preside preferisce allentare la tensione: «Non posso esprimermi perché non sono psichiatra e non ho responsabilità gestionali o organizzative o anche di solo controllo e vigilanza sulle attività dell´azienda policlinico. Ho comunque chiesto al professor Muscettola di promuovere un dibattito pubblico».
Enrico de Notaris è specialista e lavora nella stessa struttura. Non condivide la scelta del suo direttore e osserva: «Il trattamento elettroconvulsivo ingenera una sospensione della coscienza, uno stato di leggero coma e questo vuol dire simbolicamente interruzione del rapporto col mondo e quindi anche col terapeuta. Insomma viene meno uno dei principi fondamentali della terapia integrata, cioè tra psicoterapia e trattamento farmacologico». Severo anche il giudizio di Sergio Piro, direttore della scuola "Sperimentale antropologico-trasformazionale": «Il fatto è preoccupante perché si allinea con altri elementi di regressione nella riforma psichiatrica. Qui si rischia di nuovo la legatura nei servizi psichiatrici, la trasformazione delle Case famiglia in reparti chiusi e la riapertura di manicomi come il Frullone di Napoli».