mercoledì 25 giugno 2003

Islam: "l'assenza di una gerarchia religiosa"

La Stampa 25 Giugno 2003
Il travaglio della diaspora cambia fede e uomini
Il nuovo Islam delle periferie d’Europa
di Khaled Fouad Allam

E’ sconcertante agli occhi di un occidentale - ma lo è anche per un musulmano autentico - il fatto che un imam venga arrestato perché accusato di aver aderito o appoggiato il terrorismo islamico internazionale. Nell'opinione pubblica, l'imam dovrebbe corrispondere a un prete e la moschea a una chiesa; ma le cose non stanno così, in realtà una simmetria di questo tipo non esiste.
Uno degli elementi che distingue l'islam sunnita dal cristianesimo, è proprio l'assenza di una gerarchia sacerdotale e di una chiesa in quanto istituzione religiosa. Sin dalla formazione dell'islam, l'assenza di istituzioni paragonabili a quelle cristiane è stata legittimata da due versetti del Corano: «L'uomo è il califfo di Dio sulla terra» e «Nessun monachesimo nell'islam». A questi versetti si sono associate storicamente due interpretazioni: una massimalista e una minimalista. La prima ha sempre definito l'islam nei termini di una totale autonomia dei credenti, e ha favorito l'emergere di comunità musulmane autonome come strumento di contestazione del potere centrale; ad esempio vi è stato un periodo in cui regnavano contemporaneamente due califfi, uno a Baghdad e uno a Cordova, che si contendevano il potere sulla comunità dei credenti. La seconda - l'interpretazione minimalista - invece ha sempre cercato di istituzionalizzare l'islam, mediante corporazioni come quella degli ulema, e attraverso istituzioni complesse, come i beni di manomorta delle moschee. Nei paesi islamici gli ulema hanno avuto storicamente la funzione di legittimare il potere politico: il califfo o il sultano doveva ottenere l'approvazione degli imam o degli ulema. Nel periodo attuale, in cui non esistono più califfati ma stati musulmani moderni, il controllo del religioso e la formazione degli imam sono affidati a un ministero degli affari religiosi, che esiste in ogni paese musulmano.
Oggi, nel definirsi di un islam d'Europa, di un islam della diaspora, lo stato europeo non può certo prevedere l'esistenza di un ministero degli affari religiosi per i musulmani; perché ciò che definisce la natura dello stato in Europa è la sua neutralità. Perciò l'islam pone un enorme problema, che dovrà essere risolto: in Europa gli imam vengono spesso nominati da associazioni estremamente variegate che possono sposare tendenze che vanno dalle più liberali alle più ortodosse, o possono essere eletti dalla comunità locale; ma ciò che caratterizza l'organizzazione del culto islamico in Europa è che sia la formazione degli imam, che la strutturazione delle moschee, il loro funzionamento finanziario e i loro collegamenti, tutto ciò sfugge totalmente a un controllo da parte delle pubbliche istituzioni. Molti musulmani immigrati affermano che in Italia vi sono degli imam che nei paesi islamici non potrebbero essere tali, essendo scarsissima la loro formazione.
E questo pone un altro problema, nell'islam contemporaneo, un problema analizzato da vari esperti: negli ultimi vent'anni si è diffuso quello che chiamiamo l'imam autodidatta, che ha costruito un sapere sull'islam fatto di tradizioni religiose mescolate con ideologie radicali o neofondamentaliste. Tutta la letteratura di opuscoli sull'islam che troviamo sulle bancarelle dei mercati in Europa ne è una testimonianza. Questo fenomeno ha dato nascita a un islam parallelo, che può utilizzare moschee e associazioni come appoggio logistico alle azioni del radicalismo islamico.
Non è la prima volta che avvengono fatti di questo tipo: già quindici anni fa in Francia, nella moschea di Digione, un imam fu accoltellato perché le sue prediche infuocate contro l'occidente avevano provocato una sommossa fra i fedeli. Questi episodi di cronaca giudiziaria pongono un problema che ho già sollevato in varie sedi istituzionali: l'urgente necessità di risolvere la questione della formazione del personale di culto nell'islam d'Europa. Perché a monte si pone il problema giuridico dell'autorizzazione a dirigere il culto e predicare ai fedeli che deve essere loro concessa; a valle vi è la grande questione del rapporto fra tradizione religiosa e il fatto nuovo che l'islam in Europa è una religione minoritaria che deve porsi in sintonia con il laicismo e le leggi della repubblica.
Certo, porre il problema della formazione degli imam in Europa significa entrare in una logica volontarista per lo stato europeo: perché esso deve creare i presupposti di una visibilità pubblica dell'islam, e affiancarlo così agli altri culti. E' un fatto inedito nella storia dell'islam e in quella d'Europa: ma se vogliamo evitare l'estendersi di questo islam parallelo, bisogna creare i presupposti per arginare il fenomeno e soprattutto per aiutare il processo di integrazione dei milioni di musulmani che vivono nella diaspora europea e che se oggi sono una minoranza silenziosa, cercano comunque di vivere la loro religiosità in modo pacifico, come dimostra proprio una recente ricerca torinese. Ma perché ciò avvenga, la questione degli imam deve essere posta e risolta con urgenza.