mercoledì 2 luglio 2003

storia dell'Islam, un libro

La Gazzetta di Parma 2.7.03
In «Principi, poeti, visir» di Maria Rosa Menocal, islamici, cristiani ed ebrei amici nella Spagna medievale
Il califfato della tolleranza
Francesca Dallatana

Una favola che è un pezzo di storia. Abd-al-Rhaman lasciò Damasco, fulcro dell'Islam del Vicino Oriente, e sfuggì all'ira degli uomini che si era abbattuta sulla sua famiglia. Trovò rifugio a Cordoba. Dove costruì il suo regno, ovvero un califfato indipendente sotto l'egida del quale riunì le popolazioni arabe già presenti in Spagna. Il califfo illuminato permise la civile convivenza di tre culture e di tre ispirazioni religiose: quella degli ebrei, dei cristiani e dei musulmani. Inizia così il libro di Maria Rosa Menocal dall'affascinante ma pungente titolo «Principi, poeti, visir. Un esempio di convivenza pacifica tra musulmani, ebrei e cristiani» edito dal Saggiatore.
Le vicende del califfato e di al-Andalus, dove l'abbraccio fra le tre culture si fece serrato, rappresentano una sorta di calco dello scenario attuale. Una loan translation, ovvero una traduzione prestata dell'era contemporanea, ed anche una pre-visione di come il mondo si sarebbe sviluppato oppure di come avrebbe potuto al meglio svilupparsi. Un mondo, diventato groviglio di elementi differenti tra di loro, in pace oppure in guerra, nel sangue dell'odio oppure nel rispetto culturalmente adulto della pace.
Il racconto della studiosa si snoda tra il 775 e il 1492, tra Damasco, il «la» della fuga del futuro califfo, e Granata, nell'anno della cacciata dei mori e degli ebrei dalla Spagna. E' una storia di prim'ordine, fa notare Maria Rosa Menocal, nel senso della meravigliosa formula di Francis Scott Fitzgerald secondo cui «il test di un'intelligenza di prim'ordine è la capacità di sostenere due idee opposte nello stesso tempo».
E' così che la cultura, chiamata dall'autrice della «tolleranza», e che dai buddisti potrebbe essere chiamata della compassione - nel senso di compartecipazione empatica su base culturale, traducendo volgarmente il loro fine concetto - produsse quanto di più ricco il mondo difficilmente sotto altri cieli ed in altre epoche ebbe la fortuna di vivere.
A permettere la fusione felice delle diverse istanze alle quali si ispirano le tre grandi religioni, furono l'espressione artistica attraverso le sue due diverse declinazioni. Cioè: i suoi contenuti, ovvero la tensione all'espressione dell'umanità dei sentimenti che il genere umano si trova per sua miseria e per sua ricchezza insieme a sopportare ed a godere durante la sua vita terrena, e le sue forme, vale a dire il linguaggio, i linguaggi del mondo. La poesia profana e le canzoni d'amore, musicate nella prosa dei cantautori di allora, riempirono di respiro ideale le corti e le strade. Perché è bello pensare che il coinvolgimento giungesse anche fino al popolo, che - qualunque cosa accada - nella buona e nella cattiva sorte è sempre presente, anche se non sempre ha la forza costruttiva di lasciare impronta di sé. E nel cuore della Castiglia, qualcuno con il vezzo di dirsi del popolo, anche se più nell'apparenza che nella sostanza, insolito ibrido, diffuse proprio per le strade la sua opera, dissimulandone onestamente la paternità, per agevolarne il radicamento: a puntate diffuse l'interpretazione di un testo sacro, fedele alla caleidoscopica appartenenza andalusa. Era il 1305 e il libro era lo Zohar, «nella fattispecie, ciò che veniva tramandato era tutto un insieme di conoscenze e pratiche esoteriche, alcune di origine chiaramente greca, altre tratte dall'intimo di un'antica tradizione di magia diffusa da secoli nei circoli rabbinici».
Ma più di tutto, a trascinare l'innovazione culturale, che si espresse anche nel prestigio di importanti traduzioni (Platone, Aristotele, solo due esempi), fu la con-fusione linguistica, il pasticcio che alimentò il fremito culturale dell'epoca e del luogo.
Menocal propone quadri di vita culturale, come se fossero flash back, perché fin dall'inizio sembra avere in testa uno dei due epiloghi del libro.
Il primo motivo ispiratore della passione che sottende alla ricerca storica è datato 1992, quando si è consumata «l'atrocità culturale voluta dai cristiani ortodossi serbi», per citare le parole di Harold Bloom, prefatore del libro. Il 25 agosto 1992 l'esercito serbo prese di mira la biblioteca nazionale di Sarajevo. Era il cinquecentesimo anniversario della capitolazione di Granata.
Il secondo motivo ispiratore in realtà non è tale ma un monito, dopo i tragici fatti del settembre 2001, ancora vivi nella memoria collettiva. Menocal racconta un mondo che non c'è più, ma soprattutto mette il dito nella piaga: là dove le variabili culturali e sociali si cristallizzano per sottolineare una forzata appartenenza, creando confini rigidi anziché frontiere da sfondare, l'intolleranza e la incivile conflittualità sono in agguato, presentandosi sotto forma di patologia sociale.
Un altro mondo, un'altra storia. Trascinata ed alimentata, durante il film dei diversi secoli di luce culturale ai quali Menocal fa riferimento, da eventi di particolare eccezionalità: la migrazione verso terre lontane, la circolazione agile di intellettuali e la loro viva interazione, il potere di condizionamento che il califfo assunse attraverso il sostegno e la valorizzazione dell'interculturalità. Snodi concettuali non estranei all'analisi del mondo contemporaneo, del quale sono un calco. Perché gli uomini, in fondo, sono sempre gli stessi. Eppure concetti portati all'estremo «limes» del sangue, quando l'appartenenza ghettizzata nell'hic et nunc di aspettative e prescrizioni reciproche dimentica la Storia. «Che cos'è il presente? Nell'infinito della durata, un punto minuscolo che sfugge senza posa; un istante che, appena nato, muore». Così, Marc Bloch.