La Stampa Tuttolibri 2/8/2003
Ma il divino Gregorio preferiva il turbante turco alla tiara latina
NELL’AUTUNNO del medioevo, che in Oriente era l'alba del rinascimento, un monaco pregò perché gli fosse rivelata la condizione del divino Gregorio Palamas, che da poco tempo era morto. Una notte gli si presentò in sogno una visione. Nel tempio della Divina Sapienza che si trova nella Costantinopoli celeste, di cui il tempio di Haghia Sophia che si trova nella Costantinopoli terrena non è che il rispecchiamento, si stava svolgendo un concilio. Erano allineati il grande Atanasio e con lui Basilio di Cesarea, Gregorio di Nazianzo e Giovanni Crisostomo, e ancora Gregorio di Nissa e il sapiente Cirillo. Stavano discutendo da tempo infinito, ma non riuscivano a trovare una conclusione. Ed ecco, il monaco udì una voce stentorea: «E' impossibile che i presenti ratifichino con il voto le loro decisioni, se anche Gregorio, il metropolita di Tessalonica, non è presente». Ma Gregorio non c'era, perché si trovava a colloquio privato presso il trono dell'Imperatore che è nei cieli, di cui l'imperatore terreno è solo il riflesso. Quando il colloquio finì, e il diacono inviato dai padri comunicò al divino Gregorio che era atteso, questi si recò al concilio e tutti i padri si alzarono in piedi e lo portarono nel mezzo e lo fecero sedere sullo scanno più alto insieme a Basilio, Giovanni e Gregorio. Fu così che tutte le linee teologiche discusse per diverse cause e in diversi tempi Gregorio Palamas le fece convergere in un solo punto, e alla fine il concilio poté sciogliersi perché nessuna cosa non era stata risolta. Il sogno del monaco non si avverò. Il concilio, nella basilica celeste, non è ancora sciolto. Malgrado Gregorio Palamas sia stato santificato e la sua confutazione dell'eresia latina sia stata inserita nel Synodikon dell'ortodossia che si legge ogni anno la domenica dell'ortodossia, gli occidentali non hanno ancora ammesso che la parola di Palamas era assoluta e definitiva e chiudeva ogni possibile dibattito teologico dopo quattordici secoli di cristianesimo. Nella Costantinopoli celeste ancora stridono, a irritare le orecchie del grande Atanasio, e con lui di Basilio di Cesarea, Gregorio di Nazianzo e Giovanni Crisostomo, e di Gregorio di Nissa e del sapiente Cirillo, i sofismi del calabro Barlaam e dell'infido Acindino. Sulla base di sillogismi dialettici, il cui scopo è la confutazione, non è possibile sapere nulla su Dio, affermavano quei cervelli disonesti e venduti. La dottrina greca secondo cui lo Spirito Santo procede dal Padre attraverso il Figlio, che pure è la sola esatta, e quella latina secondo cui lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figlio, che pure è erronea, si equivalgono, arguivano ipocritamente. Con questo ragionamento falso cercavano di ingraziarsi il papa di Roma, poiché ritenevano che la Chiesa cattolica fosse per Bisanzio un pericolo minore dell'Islam. Al contrario Gregorio preferiva il turbante turco alla tiara latina. Fu così che la sacra città di Bisanzio fu perdente nella storia, perché al teologo favorito dal suo popolo non fu mai perdonato di avere vinto in filosofia.
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