Repubblica 28.9.03 Pagina 38 - Cultura
IL SESSANTOTTO CHE I RAGAZZI NON CONOSCONO
Gad Lerner ha rievocato in tivù quella stagione politica
Il problema principale è come raccontarlo ai giovani
di BENIAMINO PLACIDO
Sabato 20 settembre si è riaffacciato in televisione (su "La7") Gad Lerner per comunicarci che era per l´appunto la giornata - un tempo festiva - in cui, circa cento anni fa, i bersaglieri si fecero strada lungo la breccia di Porta Pia per fare (finalmente!) l'Italia unita.
Ma chissà se era poi veramente tutta unita, visti poi i numerosi supplementi del Risorgimento che avrebbe attraversato. Quel '68 (il 1968) cui quella puntata dell'"Infedele" era dedicata, non sapeva anch'essa di Risorgimento, più o meno compiuto, più o meno realizzato?
E il '68, difatti, avrebbe illustrato la trasmissione, insieme alle suggestioni di due film: The dreamers di Bernardo Bertolucci, sul '68 parigino, e
Ma ecco che comincia (è già cominciata) la confusione: che c'entrano quei terribili cinquantacinque giorni di prigionia, conclusi con un brutale assassinio, con le «radiose giornate» del '68 e forse anche del '77?
E qui viene in mente, a chiunque abbia visto con il consueto interesse, con la consueta partecipazione la trasmissione di Lerner, che non manca mai di interessare, un particolare piccolo ma trascurato.
Da cosa è venuto fuori quel movimento rivoluzionario, o pararivoluzionario, o semirivoluzionario che il '68 fu? Cosa c'era prima del '68? C´era il contrario di quel movimento. Fu quello come si esprimevano i giornali dell´epoca, un periodo di storia in cui non succedeva nulla, in cui pareva che nulla dovesse accadere. In cui sembrava che la gente (specie quella più giovane) vivesse immersa in una specie di sonnolenta apatia (out of apathy! dicevano, rimproverandoci, certe autorevoli riviste giovanili anglosassoni che avevano dattorno - e se ne lamentavano - uno sfondo altrettanto apatico del nostro).
Pare che nella storia le cose vadano sempre così. Che accadano quando meno te lo aspetti. Sembrerà strano ma pare proprio che oggi i genitori che hanno fatto il '68 non amino raccontarlo ai figli. Questo è quanto sosteneva, sabato sera, Piergiorgio Bellocchio, trentenne, figlio di Marco; e se ne stupiva, se ne addolorava anche lui.
Suo padre, il regista Marco, anche lui in studio, ovviamente, non sapeva né voleva contraddirlo. Accrescendo la nostra curiosità di spettatori.
C'erano lì in studio accanto ai Bellocchio anche Marcello Flores, Luigi Manconi, anche il Professor Enrico Fenzi italianista, anche Anselma Dell´Olio, nota osservatrice americana che il suo '68 americano e femminista l'ha osservato e vissuto da quelle sponde.
C'era anche Ernesto Galli della Loggia, storico ed osservatore di costume, noto anche per la sua severità di giudizio nei confronti del '68, come del '77 e di tanti altri ingenui e presuntuosi giovanilismi. Il quale però ha sorpreso tutti dichiarando che il '68 è stato una vera rivoluzione: nei modi, nelle mode, nei detti e nei fatti.
Come sempre accade nelle trasmissioni televisive di Gad Lerner, il confronto o anche scontro di opinioni viene sempre fuori, dispiegato innanzi ai nostri occhi, avvertibile dalle nostre orecchie. Ma questa volta, dinanzi a questa prima trasmissione de "La7", i vari punti di vista - certamente diversi, talvolta probabilmente opposti - se sia stato un bene o un male avere un '68 che si è prolungato sino al '77 della sua reviviscenza universitaria, fino al '78 del caso Moro, non è stato chiarito; né forse poteva esserlo.
Forse a Gad Lerner sarà venuta voglia di fare un'altra trasmissione sull´argomento. A noi certamente è venuta la voglia di vederne tante altre. Anche per trovare un modo di rispondere ai tanti, tantissimi più giovani di noi che ci interpellano per sapere cosa si pensava, cosa si faceva e perché in quegli anni.
Noi non sappiamo rispondere e forse loro non sanno chiedere. Forse deve essere come quando, di fronte ai grandi fenomeni storici: la Rivoluzione Francese, il Cristianesimo, ci chiediamo da dove siano venuti fuori, e proprio in quel posto e proprio in quel momento.
Forse è fatale che non sappiamo rispondere e che non pretendiamo di farlo. Ma è giusto che continuiamo a chiedercelo, a bassa voce, senza far rumore, facendo finta di permanere in quella che i più giovani di noi definiranno presto o tardi come la nostra apatia, mentre apatia non è. Non ne parliamo volentieri, ma ci pensiamo sempre.