La Stampa Tuttolibri 27.9.03
Dimmi, Galatea: è possibile un cervello senza cuore?
di Ruggero Bianchi
Da un romanzo, dice uno dei personaggi di Galatea 2.2, il lettore si attende risposte e non domande, proposte e non nuovi dubbi o problemi irrisolti. La scrittura creativa, soprattutto quella visionaria (e dunque, a maggior ragione, quella cosiddetta ”di anticipazione”), dovrebbe placare o almeno lenire angosce e ansie dell’esistenza. Ma Richard Powers, quarantaseienne scrittore di Evanstone, Illinois, autore di una decina scarsa di romanzi (due dei quali, Tre contadini che vanno a ballare e Il dilemma del prigioniero, tradotti da Bollati Boringhieri, nel 1991 e nel 1996), lettore onnivoro e tuttologo ardente in costante oscillazione tra letteratura e scienza, è il primo a non seguire questa direttiva. Galatea 2.2 (scritto nel 1995 e già considerato un autentico classico) è infatti un lungo e affascinante viaggio in una terra di nessuno, le cui tappe frenetiche mappano una costellazione di ipotesi smentite, di punti d’arrivo mai conclusivi, di certezze sempre rimesse in discussione. Una ricerca infinita, che rimanda per esplicita ammissione dell’autore alla scrittura metafisica e reclusa di Emily Dickinson, al razionalismo sulfureo e schizofrenico di Poe, al filosofare erratico ed eretico di Cervantes. Un piccolo capolavoro (ottimamente tradotto da Luca Briasco) che, al pari di altri romanzi di Powers, si vorrebbe non tanto recensire quanto rileggere, magari aprendolo a caso come una minuscola Bibbia laica dei nostri tempi. All’apparenza, la storia è semplice. Nel tentativo di creare un supercomputer neuronico capace non solo di apprendere e di parlare, ma anche di esprimere valutazioni e addirittura di apprezzare la letteratura e l’arte, e dunque di fatto di pensare, uno scienziato e un umanista danno vita a una creatura fisicamente indefinita e indefinibile, una sorta di rete nella rete, collegata e dispersa nel World Wide Web ma dotata di una fin troppo persuasiva parvenza di coscienza. Un’inafferrabile ma realissima Galatea virtuale i cui antenati letterari sono ben riconoscibili, da Pigmalione a Frankenstein alla Eva futura di Villiers de l’Isle Adam. Ma lo spunto, a dispetto dei modelli, è soltanto uno schermo o, meglio, un fragilissimo e intricatissimo specchio. La lente di un gigantesco telescopio spaziale, la cui esplorazione del macrocosmo mira in realtà a sondare il micromondo del cervello: la natura e il funzionamento del pensiero, il rapporto tra percezione e conoscenza, tra l’acquisizione dei dati e la loro formulazione in linguaggio, tra apprendimento e memoria, tra gusto e giudizio, tra creazione e scoperta. Cioè, per dirla kantianamente, tra dati empirici, categorie e a priori. Il percorso che sfocia nella costruzione e nell’educazione della nuova Galatea è infatti una sequenza ininterrotta di falsi scopi, di mete continuamente riformulate, dove gioca un ruolo determinante la personalità stessa dei ricercatori, con le loro frustrazioni e i loro sogni. Allo scienziato, l’esperimento serve anche per sondare in vitro i meccanismi cerebrali umani, nella segreta speranza di poter guarire un’amatissima moglie dalla mente disintegrata. Al letterato, per decidere se valga la pena di comporre romanzi, se debba o no continuare a coltivare la scrittura e di che cosa, in che termini, perché e per chi debba scrivere. E, a entrambi, per sapere se l’universo abbia una sua ragion d’essere, se abbia un senso l’esistenza e che cosa essa sia in ultima analisi: un groviglio caotico di ricordi, un meccanico imprint di dati, un’opera aperta riscritta di momento in momento, una struttura compatta trasmissibile nel tempo e nello spazio o un flusso magmatico che non tollera nessuna separatezza, nessuna possibilità di individuare, se non in maniera casuale o gratuita, un io comunque fondato sugli altri o sull’Altro. In questa fiumana di interrogativi tutto può trovare spazio, dallo studio delle risonanze emotive delle varie realtà sociopolitiche alla riscrittura dei canoni, dalle urgenze più segrete del cuore al significato dell’arte, dalla psicolinguistica alla filosofia della percezione, dalle teorie decostruzionistiche agli enunciati più provocatori del neostoricismo. Qualcosa tuttavia resta sempre fuori. Che cosa e chi è veramente Galatea? E’ davvero in grado di conoscere, capire, ragionare, percepire e soprattutto sentire? Quali sensazioni e immagini ha del mondo esterno? E, soprattutto, può anche provare amore, dolore, paura? Ammesso che sia possibile dar forma a qualcosa che funzioni e si comporti in modo umano, è concepibile insomma un cervello senza cuore? E, se sì, qual è la differenza tra un simile apparato e un animale da laboratorio? Manipolarne i chips e le sinapsi, toglierle o modificarle circuiti e interfacce, non equivale a sezionare, amputare o lobotomizzare in vivo? E, sovvertendo la prospettiva, se riuscissimo a creare una macchina capace di pensare e sentire come noi, che cosa potrebbe vietarci di concludere che siamo, senza saperlo, macchine noi stessi?
«SEGNALAZIONI» è il titolo della testata indipendente di Fulvio Iannaco che - registrata già nel 2001 - ha ormai compiuto il diciottesimo anno della propria continua ricerca e resistenza.
Dal 2007 - poi - alla sua caratteristica originaria di libera espressione del proprio ideatore, «Segnalazioni» ha unito la propria adesione alla «Associazione Amore e Psiche» - della quale fu fra i primissimi fondatori - nella prospettiva storica della realizzazione della «Fondazione Massimo Fagioli»