mercoledì 12 novembre 2003

la libertà di informazione

(segnalazione di Licia Pastore)

Megachip.info
Riportiamo qui l'intervento di Pino Di Maula, direttore responsabile di Clorofilla.it e apriamo un dibattito sul tema. Per intervenire inviate i vs. commenti via mail a
info@megachip.info

l'originale di questo articolo si può trovare QUI

La libertà di informazione
di Pino Di Maula


Ben 251 lettori ci dicono che a pilotare l’informazione è il potere economico. Altri 195 sono invece convinti che i giornalisti siano succubi della cultura dominante, mentre per 168 sono le grandi lobby a condizionare maggiormente la stampa nazionale.

I dati non emergono da un sondaggio elaborato dall’illustrissimo professor Renato Mannheimer ma da un più banale sistemino digitale posto sulla home del nostro sito dove 698 lettori di Clorofilla hanno voluto anonimamente far conoscere il loro punto di vista. Che poi coincide con l’opinione generale espressa dai direttori dei quotidiani, più o meno, sempre così: «Un buon conto economico è l’unica, vera garanzia di libertà. Di quella libertà molto particolare che è la libertà di stampa. Indipendenza e autonomia sono belle, bellissime parole, esposte a ogni soffio di vento se i bilanci non quadrano».
E’ il classico tormentone per chiedere soldi, penserete voi. E in effetti non avete tutti i torti. Con queste parole, l’8 agosto, ad esempio si cercava di giustificare il costo maggiorato dell’Unità di 10 centesimi, “il prezzo della libertà” si scrisse anche in quel caso.

Dunque la libertà d’informazione costa. Un fatto ineludibile, certo. Che pure non mi convince completamente. E non convince neppure, a legger bene il nostro sondaggio, più della metà dei nostri (di Clorofilla) lettori quando sostengono che sulla stampa pesa anche l’influenza della cultura dominante (vedi imbarazzante caso del crocifisso) e delle lobby. Quelle a cui si riferisce probabilmente Furio Colombo quando lamenta un boicottaggio delle concessionarie pubblicitarie sul giornale che dirige, oppure (quasi) peggio, quando si difende dagli attacchi che il perfido consulente del premier gli riserva dalle pagine del Foglio.
Ma anche in questi casi, si potrebbe obiettare, sono i “piccioli” a far da padroni. Se c’è la pubblicità ci sono anche soldi per pagare carta, stampatore o server provider, distribuzione e redattori che possono così far senza ricatti occupazionali con relative ansie, e quindi correttamente, il loro mestiere.

Dunque soldi. Ci vogliono soldi. Ma per fare soldi bisogna operare ponendo attenzione al mercato.
Così fan tutti. Così pretende ogni buon editore, anche il più “puro”, anche quello che mai e poi mai si sognerebbe di obbligarti a far pubblicare il fattore “c”, come culo, in copertina. Nascono così, direbbe Giulietto Chiesa, le prime pressioni, dirette o indirette, esercitate contro i giornalisti, costretti ad agire contro la correttezza professionale.

Vero, nulla da eccepire. Funziona così. Insomma, tutto quello che sapete è vero. Ma quel che forse non tutti sanno è che c’è di peggio. Molto peggio. E ossia che chi uccide davvero l’informazione utilizza – garantisco - a volte metodi ben più viscidi. Chi ammazza l’uomo ragno è quasi sempre un delinquente mascherato da gentiluomo democratico e dalle buone maniere che non mira solo al profitto bensì al dominio assoluto. Non vuol saperne di leggi, regole, normative e quant’altro possa limitare il suo controllo totale sulle cose come sulle persone capaci di mostrare intelligenza e affetti.

Lui sa come usare la vaghezza per operare in sfregio di ogni normativa giuridica, etica professionale e umana. Lo riconosci, il delinquente gentleman quando afferma un momento prima una cosa e il secondo dopo l’esatto opposto. Lo fa scientificamente a maggior ragione quando le cose van bene. Quando i lettori, ma anche i potenziali portatori di interessi e valori, ma perfino di soldi, quali concessionarie e azionisti, ti riconoscono professionalità, serietà. Ed efficienza.

Come a dire che quanto più ti accrediti per la qualità del lavoro svolto tanto più conviene diffidare dai modi garbati del gentleman. E’ quello, infatti, il momento in cui scatta la pulsione del “padroncino” per infangare, rovinare smantellare quanto hai costruito in anni di sacrifici assieme a tanti professionisti, a tante persone oneste che credevano nella possibilità di un progetto diverso (sia dalla controinformazione strillata che da quella politica o light da salotto che non disturba i potenti) per tornare a fare del giornalismo un mezzo di ricerca critica al servizio dei lettori. Un servizio che ogni buon direttore deve poter garantire alla sua redazione e ai suoi lettori di svolgere senza alcuna ingerenza. Da parte di chicchessia. Decisamente troppo per qualcuno.
In quel caso poco contano i soldi. Anzi per sfasciare tutto si è disposti a rinunciare anche ai ricavi che quella testata potrebbe produrre. Si è disposti ad acquisire testate libere e a farle fallire per trasformarle in “marchettifici” di basso bordo. Si arriva a far sparire stipendi per liberarsi delle risorse migliori.

La tecnica che si usa in questi casi ricorda quella “mafiosa” che usa violenza psicologica, oltre che materiale, alle povere ragazze rapite nei Paesi dell’est per poi rivenderle a ore sui marciapiedi del Belpaese. E’ «il fascismo latente per cui si parla di democrazia e di libertà di stampa e si fa morire il giornale che ancora non si è venduto a un gruppo di potere», scriveva nel ’80 Massimo Fagioli di Lotta Continua che per qualche momento sembrò interessata a una prassi di rapporto dialettico che rifiuta ma non uccide. «Forse un giorno ce lo racconteremo».

Speriamo. Per ora non rimane che prendere atto di uno scenario assai triste e per questo vorrei concludere rivolgendomi a Furio Colombo per smentire il fatto che un buon conto economico può bastare. Non è quella l’unica, vera garanzia di libertà. Ma son altre che dobbiamo trovare, possibilmente, insieme.

Mentre a Giulietto Chiesa che si batte contro malcostume, ignoranza e prepotenza fini a se stessi o volti ad abolire le regole della professione e di un’informazione corretta, ribadisco: non basta. C’è di più e di peggio.C’è chi ogni giorno uccide un uomo ragno ma nessuno se ne accorge. E per questo a entrambi, ma anche alla Fnsi, all’Ordine dei giornalisti, e a tutti i colleghi e lettori, vorrei infine dire: pensiamoci ora.

Per non scoprire domani una fossa comune con centinaia di testate smantellate non da Berlusconi, ma più banalmente dalla fatuità di chi non sa amare né gli uomini né la ricerca della conoscenza che regola, e da cui dipende, la qualità dei loro rapporti. E la “lotta continua contro l’indifferenza e la schizoidia dominante che si paga con la depressione continua”. Forse…. Un giorno, spero, ce lo racconteremo.

Pino di Maula Clorofilla.it
(lunedì 10 novembre 2003)