mercoledì 12 novembre 2003

recensioni: filosofia della mente

(ricevuto da Paola D'Ettole)

il Sole 24ore Domenicale del 9.11.03
Una lettura di David Hume come padre della psicologia cognitiva contemporanea
Fodor, quei concetti ficcati nella testa
Le rappresentazioni vanno considerate come dei veri e propri "oggetti"
di Diego Marconi


Quine, l'insigne filosofo americano scomparso tre anni fa, non aveva alcun interesse per la storia della filosofia; ma, a un certo punto della sua carriera, fu praticamente obbligato dal suo Dipartimento a tenere un corso di contenuto storico, e scelse di tenerlo sul pensiero di Hume. L'esperienza non fu però positiva, perché - come Quine memorabilmente scrisse nella sua autobiografia - "anziché determinare che cosa pensava Hume e ammannirlo agli studenti, preferivo determinare qual era la verità, e ammannirla agli studenti". Anche Jerry Fodor, a quanto pare, ha tenuto vari corsi su Hume, nonostante che, come afferma egli stesso, "la sua ignoranza della storia della filosofia sia quasi perfetta", e in particolare, sempre per sua ammissione, non ne sappia nulla di Hume. E non l'ha fatto perché obbligato dall'istituzione, come Quine, ma di sua spontanea volontà. Il breve libro Variazioni su Hume raccoglie ora i risultati di questa ricerca; come dice l'autore, non è proprio un libro su Hume, ma un libro "su certi aspetti della mente cognitiva su cui Hume aveva delle teorie". L'alternativa quiniana tra determinare che cosa pensava Hume e determinare qual è la verità è dunque risolta a favore del secondo corno. Tuttavia, il grande scozzese viene spesso reclutato per portar acqua al mulino di Fodor, e d'altra parte le discussioni di scienza cognitiva di cui Hume è considerato un interlocutore gettano luce sui meccanismi del suo pensiero, e lo rendono interessante anche per chi si occupi più della mente che della filosofia del Settecento. Probabilmente gli esperti troveranno che lo Hume di Fodor è ora semplificato, ora stravolto rispetto al vero Hume, e avranno senz'altro ragione. D'altra parte, se Fodor ritiene di discutere le questioni filosofiche che gli stanno a cuore convocando un filosofo più o meno inventato, ma di cui espone con chiarezza le tesi, in fondo sono affari suoi: quello che conta, in ultima analisi, è la qualità della discussione che ne risulta.
Le ragioni per cui Fodor si occupa di Hume sono presto dette. Anzitutto, perché lo considera l'antesignano della scienza cognitiva: "Il Trattato sulla natura umana di Hume è il documento fondativo della scienza cognitiva: esso rese per la prima volta esplicito il progetto di costruire una psicologia empirica basata su una teoria rappresentazionale della mente". In secondo luogo, perché sembra a Fodor che Hume stia dalla sua parte in quasi tutti i dibattiti in cui è stato coinvolto negli ultimi decenni: dunque è un potente alleato contro gli aborriti "pragmatisti" (vedremo tra poco chi sono).
Ecco un esempio dell'alleanza. Ci sono oggi in circolazione, fondamentalmente, due tipi di teorie dei concetti. Secondo le teorie del primo tipo, avere un concetto C è, da un lato, essere capaci di discriminare le cose che sono C da quelle che non sono C (per esempio, avere il concetto di gatto è saper distinguere i gatti dai non-gatti); dall'altro, essere capaci di eseguire le inferenze in cui C è implicato (per esempio, sapere che un provvedimento di legge che riguarda gli animali riguarda, tra l'altro, i gatti). Secondo le teorie del secondo tipo, i concetti sono "alla lettera, oggetti mentali": il concetto C è semplicemente ciò mediante cui la mente rappresenta la proprietà di essere C (per esempio, essere un gatto), e avere il concetto C è essere in grado di pensare ai C. Le teorie del primo tipo sono sostenute da quasi tutti i filosofi della mente e del linguaggio oggi attivi. Sono questi i filosofi che Fodor chiama "pragmatisti" - un termine ormai piegato agli usi più bizzarri - e a cui imputa "la catastrofe che ha definito la filosofia analitica della mente e del linguaggio nella seconda metà del XX secolo". Le teorie del secondo tipo sono sostenute da Fodor e - secondo Fodor - da Hume. Hume, infatti, intende fondare la psicologia empirica sulla teoria delle idee: una teoria per cui i concetti, e in generale le rappresentazioni mentali, le "idee", sono veri e propri oggetti nella mente (non capacità o disposizioni, come sostengono i pragmatisti). Hume dunque, oltre che il padre della scienza cognitiva, è stato anche il primo psicologo atomista fodoriano.
E in verità, lo Hume che interessa a Fodor non è molto più di questo: "La tesi secondo cui le tipiche rappresentazioni mentali sono particolari strutturati è il nucleo di ciò che la nostra teoria delle mente eredita da Hume". Notoriamente, Hume pensava che il meccanismo psicologico fondamentale fosse l'associazione delle idee; ma Fodor mostra, con buoni argomenti, che l'associazionismo è indifendibile. E mostra anche che, se si prende per buono l'associazionismo, si deve ammettere - proprio per far funzionare il meccanismo associativo - che vi sono contenuti mentali che non sono esperienze; si deve cioè abbandonare l'empirismo (o almeno, una forma di empirismo). Ora, Hume senza empirismo e senza associazionismo è un po' come l'Amleto senza il Principe di Danimarca; e tuttavia si deve ammettere che in questo libro Fodor è riuscito a intrecciare la sua riflessione a quella dello scozzese in modo indubbiamente efficace. Emergono le difficoltà, del resto note, del pensiero di Hume, ma anche la sua grande forza argomentativa; e di riflesso la posizione stessa di Fodor risulta forse più convincente che in altre esposizioni recenti, come quella, nota anche in italiano, di Concetti (McGraw-Hill 1999).

Jerry Fodor, , Clarendon Press, Oxford 2003, pagg. 166, s.i.p.