domenica 30 novembre 2003

poesia araba oggi
«La donna abita ogni cellula del mio corpo e io la respiro»

La Repubblica, edizione di Palermo 30.11.03
L´INTERVISTA
Parla Adonis, vincitore per l'opera straniera
DALLA SIRIA CON AMORE
La donna abita ogni cellula del mio corpo e io la respiro per cercare me stesso
L'oppressione nel mondo arabo produce estremismi che non rispecchiano il volto della società

di SALVATORE FERLITA


È Ali Ahmad Sa'id Esber il vero nome del poeta siriano Adonis, autore della raccolta "Cento poesie d´amore" (Guanda) e vincitore quest'anno del premio Mondello, nella sezione autore straniero. Nato in un villaggio siriano nel 1930 da una famiglia di origine contadina, Adonis ha studiato filosofia in Siria, per poi trasferirsi a Beirut e, successivamente, insegnare all'Università di Damasco e alla Sorbonne di Parigi. Tra le sue opere tradotte in italiano "Desiderio che avanza nelle mappe della materia, Libro delle metamorfosi" e "Nella pietra e nel vento". Adonis oggi è considerato uno dei più grandi poeti arabi viventi, forse il massimo rappresentante della modernità letteraria araba. «È una grande responsabilità, se dobbiamo credere a quello che si dice in giro? afferma il poeta, che verrà premiato oggi pomeriggio alle 17 all'hotel Palace di Mondello - In verità mi considero uno dei tanti poeti del mondo, faccio parte della poesia universale. Il poeta, a mio avviso, è sempre un allievo che impara in continuazione. La situazione della poesia ci insegna che non si può orientare, guidare il mondo, senza prima imparare dal mondo stesso».
La sua raccolta premiata è un moderno canzoniere d'amore, il periplo di un'avventura amorosa. Cos'è per lei la donna?
«La donna per me non è solo un oggetto per scrivere poesie d'amore. Essa abita ogni cellula del mio corpo. Io respiro la donna, al punto che comincio ad ascoltare me stesso per trovare la mia parte maschile e quella femminile. Se l'uomo non possiede una parte femminile nel suo essere, la sua stessa virilità rimane incompleta. Anche per la donna, s'intende, vale lo stesso principio. A questo proposito, io credo fortemente in quello che disse Platone: la donna e l'uomo sono un unico essere».
È quello che ha sostenuto anche de Unamuno nel suo romanzo "Nebbia"?
«È vero, però tengo a precisare che Platone lo ha sostenuto prima».
Se dovesse in poche parole spiegare cosa sia oggi l'universo arabo, al centro della sua riflessione nella raccolta di saggi "La preghiera e la spada", cosa direbbe?
«Anzitutto direi che non è possibile identificare il potere politico e la società, perché si rischierebbe di vedere gli arabi solo attraverso un regime collettivo. La stessa cosa succede per l'Italia: non possiamo guardare al vostro paese solo attraverso Berlusconi. La società araba è una cosa, il sistema politico un'altra. Credo che la società abbia molte potenzialità, e possa vantare un gran numero di artisti e intellettuali. Però va detto che il sistema politico e la condizione storica hanno paralizzato queste potenzialità. Oggi la situazione di oppressione vigente non produce altro che radicalismi ed estremismi, che di sicuro non rispecchiano il vero volto della società araba».
E la religione?
«Quelli che parlano attraverso la religione non fanno altro che diffondere una chiusa, asfittica ideologia, invece che aprirsi a un orizzonte aperto. Da qui gli aspetti di natura violenta che essa spesso assume. L'ideologia non uccide soltanto la società, ma anche la religione. È un po' quello che è successo con il fondamentalismo cristiano e quello ebraico».
Qual è allora oggi la funzione della poesia? Fu detto che dopo i campi di sterminio non sarebbe stato più possibile scrivere versi.
«Certo, i campi di sterminio, e qualsiasi altra manifestazione di odio e violenza in questo senso, rappresentano un'esperienza tremenda da condannare con tutte le forze, una sorta di punto di non ritorno. Eppure il problema è un altro: dopo tragedie del genere va preso atto che non è più possibile praticare e tollerare lo sterminio. Ma tutto ciò non può che indurre a scrivere altri versi, a praticare ancora la poesia. Dai campi di sterminio, e oggi dalle stragi sempre più cruente che la televisione e i giornali ci mostrano, ci viene questa lezione: bisogna fermare la mano che uccide».
La poesia, in questo senso, cosa può fare?
«È la poesia che ci dà proprio questa sensazione»