venerdì 21 novembre 2003

Richard Wagner

La Repubblica 21.11.03
un saggio di Mario Bortolotto
Richard Wagner: Il genio di un musicista amatissimo e odiatissimo
Da giovane fu influenzato dalla filosofia di Feuerbach, dalle teorie socialiste di Proudhon e da quelle anarchiche di Bakunin. Ma divenne una bandiera per la destra
"Quanto si deve negare al drammaturgo, saggista, pensatore e persino compositore si deve concedere al supremo burlone"
di ROMAN VLAD


Da un secolo e mezzo la personalità di Wagner, la sua musica, i suoi pensieri, i suoi scritti si trovano sotto le luci della ribalta musicale, di quella della cultura in generale ed anche di quella politica. Sembrerebbe dunque quasi paradossale scegliere un titolo quale "Wagner l'oscuro" come fa Mario Bortolotto per il suo poderoso volume pubblicato recentemente (Adelphi, Milano 2003, pagg. 454, € 42,00). In realtà la figura di Wagner, la sua poetica, la sua musica, i suoi comportamenti e le sue azioni, pur avendo fatto oggetto di appassionati svisceramenti e di acerrimi dibattiti tra musicisti, critici, letterati, filosofi e politici di cui gli echi non si sono ancora spenti, presentano tuttora non pochi aspetti problematici e, se vogliamo, anche «oscuri». O comunque non facilmente spiegabili.
Come ebbe a scrivere Eduard Hanslick, il celebre critico viennese che capeggiava il movimento antiwagneriano: «Wagner esercitava un'incomprensibile magia nel farsi degli amici, e conservarli amici che si sacrificavano per lui e, tre volte offesi, a lui ritornavano tre volte... il suo potere ipnotico fu uno dei più notevoli fenomeni, una meraviglia d'energia e dote naturale». Nonostante il suo famigerato saggio "L'ebraismo in musica" poté contare sulla devota fedeltà di collaboratori e interpreti come Angelo Neumann (il primo Lohengrin e Siegfried), Hermann Levi (il primo direttore del Parsifal) e il banchiere N. Cohn, oculato amministratore di Bayreuth. Infelicitò Hans von Bülow rubandogli la moglie Cosima, ma conservò in lui un entusiasta servitore della sua opera.
A volte Wagner riusciva persino a farsi servire e aiutare da suoi avversari. Fu questo il caso di Brahms, principale antagonista di Wagner in campo musicale e firmatario di un manifesto contro la Musica del futuro. Ciononostante Brahms si prestò umilmente a collaborare con altri musicisti alla copiatura delle parti strumentali e alla preparazione dei materiali d'orchestra per rendere possibile l'esecuzione a Vienna di brani di Wagner ancora inediti. Pochi sanno che, quando l'Opera di Vienna tolse dal cartellone il Tristano, considerandolo ineseguibile dopo una novantina di prove, fu Johann Strauss, il re del valzer, a far risuonare per la prima volta con la sua orchestra frammenti della partitura, tra cui il Preludio e La morte d'Isotta.
Singolare il rapporto di Wagner con la Francia. In privato gli scappavano frasi come «... i Francesi restano gli dèi e i maestri del mondo». In pubblico, asserendo la propria indole «assolutamente germanica», manifestava invece un odio viscerale contro la Francia arrivando ad invocare il sorgere in Germania di «una nuova forza» atta a far impallidire per sempre la «civilizzazione francese». Eppure Parigi malgrado o proprio grazie allo storico fiasco del Tannhaüser nel 1861, vide sorgere schiere di fanatici wagneriani. Baudelaire gli chiese scusa per l'incomprensione e per gli attacchi ricevuti ed esaltò in memorabili saggi il Tannhaüser e il Lohengrin. Judith Gautier (la bella figlia di Théophile) si schierava «parmi cette milice sacrée qui combattait pour le triomphe de Richard Wagner». E suo marito Catulle Mendès: «Christ, Berlioz et Wagner, divins!». Ed ancora Villiers de l´Isle-Adam: «Même le divin Shakespeare ne nous faisait pas hésiter; le nom de Wagner flamboyait plus haut, avec un éclat plus magique. C'était Apollon et c'était Orphée fondus en une seule lyre». Sorgevano circoli wagneriani e fu fondata una Revue Wagnérienne come organo di una vera e propria setta.
Ancora Debussy, pur insorgendo contro l'idea di un'«Arte-Religione» degradata ad una specie di mondana «Arte-Lusso», s'inchina davanti «al genio di Wagner» che ha eretto, col Parsifal «... uno tra i più bei monumenti sonori che siano stati innalzati alla gloria imperturbabile della musica».
I rapporti tra Wagner e la Francia vengono illustrati con dovizia di particolari da Bortolotto. Un'attenzione vieppiù maggiore viene rivolta giustamente al più paradossale degli intrecci tra la vita e l'arte di Wagner, tra la sua ideologia di fondo e gli esiti reali del suo agire. Com'è ben noto il giovane Wagner fu influenzato dalla filosofia di Feuerbach, dalle teorie socialiste di Proudhon e da quelle anarchiche di Bakunin. Con quest'ultimo partecipò attivamente alla rivolta di Dresda del 1849. Per cui dovette abbandonare la Germania per un esilio di quasi dodici anni. Pur avendo scritto articoli antimonarchici riuscì a far innamorare di sé il giovane re di Baviera Ludovico II e di farsi pagare da lui le spese per l'edificazione di Bayreuth. Ed al Festpielhaus di Bayreuth egli riuscì in seguito a convogliare non solo i maggiori rappresentanti del mondo culturale, ma anche e soprattutto di quello sociale ed economico. Imperatori, re, finanzieri e alti borghesi vi applaudivano opere il cui significato profondo era rivolto contro ogni potere. Cioè contro di loro. Nella Tetralogia l'origine di tutto il male del mondo viene additata nell'uso dell'oro ai fini dell'accumulazione capitalistica finalizzata al dominio, al potere. Fino alla fine dei suoi giorni Wagner professava in privato idee socialiste e contrarie alla proprietà privata. Ciò che non impedì, peraltro, che della sua musica si impadronissero estremisti di destra e particolarmente i nazisti ai fini della loro propaganda, facendo leva sull'involucro nazional-germanico che cela significati universali di segno diverso. Così si sono avute nella seconda guerra mondiale linee «Siegfried» e campagne armate «Walk re». Con successiva catastrofe.
Per lumeggiare tutte le oscurità del Caso Wagner, Bortolotto accende un vero fuoco d'artifizio di riferimenti e citazioni dando prova di una invero superlativa conoscenza sia dell'opera musicale e letteraria di Wagner sia di tutto quello che su quest'opera è stato scritto. Egli non è certo un «perfect wagnerite» tipo G. B. Shaw. Non è però nemmeno un antiwagneriano preconcetto. Tratta l'incandescente materia con l'interesse, ma pure col distacco dello studioso che non accetta reticenze e tabù. E così come non esita di additare, accanto a passi sublimi, altri che gli paiono peregrini e banali, così non evita di puntare il dito contro momenti della vita del compositore in cui si compie il fatale passo che dal sublime porta al ridicolo. Come quello, degno di un vaudeville di Feydeau in cui ad una lettura del testo di Tristan und Isolde partecipano «l'attuale e la futura moglie, oltre Mathilde, e i loro rispettivi consorti: Otto Wsendonck e Hans von Bülow...». E così Bortolotto conclude il suo monumentale libro scrivendo: «Quanto si deve negare al Wagner drammaturgo, saggista, pensatore, mitologo e persino musicista, si deve concedere, con reverenza, al supremo farceur». Il quale «poteva ormai sostenere ogni cosa, tutto e il contrario di tutto: anche... affermare che gli Ebrei «hanno conservato il senso dell'autenticità che i Tedeschi hanno completamente perduto»». Potrebbe bastare una simile affermazione per far rimuovere le ultime censure di cui la musica di Wagner soffre ancora oggi? E far tacere le residue polemiche che ogni tanto vengono ancora rinfocolate? C'è da dubitarne. Un simile superamento dovrebbe avverarsi solo in virtù delle qualità intrinseche ed assolute di quelle musiche che riscattano ogni devianza ed ogni stortura. Perché la grandezza di Wagner resta consegnata alla sua musica.
Bisogna essere grati a Bortolotto per questa sua fatica. Dispiace solo che egli non abbia corredato il volume con un'esauriente bibliografia che l'avrebbe reso ancor più utile agli studenti ai quali la sua lettura deve venir caldamente raccomandata.