La Stampa Tuttolibri Sabato 22 Novembre
Foa, un «radicale» che non abiura
di Giovanni De Luna
A leggere le reazioni «a caldo» sembrava un libro sofferto, il "Un dialogo" tra Vittorio Foa e Carlo Ginzburg (Feltrinelli, pp. 166 € 10), carico del pathos che accompagna i ripensamenti che sconfinano nelle abiure. Non è così; il tono della narrazione si mantiene sereno per tutte le 160 pagine. Foa nel raccontarsi è di un'allegria solare, tanto che il suo interlocutore ha preferito lasciare nel testo, in corsivo, annotazioni come risate, ride, ridono, che ricorrono per sottolineare anche l’atmosfera del dialogo. Proprio quelle risate ci forniscono una prima chiave di lettura di un libro che è prima di tutto uno straordinario documento sulla vecchiaia. Un uomo, oggi di 93 anni, viene sollecitato a riflettere sulla sua lunghissima vita; è un copione che si ripete dalla metà degli Anni 80, quando Foa cominciò a essere interrogato dai suoi amici più giovani, nel corso di conversazioni che servirono come materiale preparatorio a quel piccolo capolavoro che fu Il cavallo e la torre. Ed Einaudi ha appena edito un libro e un video (La memoria è lunga, con Federica Montevecchi) che ripropone il tema della memoria nella consueta forma del dialogo-intervista. Foa ha continuato incessantemente a rielaborare i suoi ricordi, trasformandoli in un racconto avvincente, quasi più significativo rispetto al presente che non rispetto al passato che viene narrando. Lungo questo percorso, la sua vecchiaia viene scardinata dalla monumentalità ossificata che si nasconde dietro la frase «... mi ricordo perfettamente» per essere restituita a un'attività alacre, febbrile, dinamica. La vecchiaia è anche uno spaesamento rispetto al proprio tempo: tutto intorno sono via via spariti i volti, i linguaggi, i comportamenti in cui erano conficcate le proprie abitudini; si può reagire cercando di fermare il tempo nei propri ricordi, in una sorta di esilio volontario, oppure si tenta di afferrare il tempo, di inseguirlo anche nelle sue mode, di confrontarsi con le sue immediatezze. Foa ha scelto questa seconda strada e la sua vivacità lascia incantati tanto che nel libro si cercano più risposte ai quesiti dell'attualità che non ai nodi storiografici addensatisi sul passato. Il passato ovviamente c'è. L'occasione del libro è anzi la pubblicazione di alcuni appunti inediti di Foa che risalgono all'aprile 1950. Intorno ad essi si sviluppa un dialogo che spazia su temi di vario genere. Uno di questi è la subalternità del PSI di Nenni, il partito in cui allora Foa militava, nei confronti del PCI di Togliatti. Era come se i socialisti non avessero mai superato il trauma della scissione di Livorno nel 1921, sprofondati in una sorta di «complesso di inferiorità» nei confronti dei vecchi compagni arrivati nel secondo dopoguerra ad esercitare una solida egemonia sulle organizzazioni del movimento operaio. Tipico in questo senso era il dislocarsi delle «correnti» interne al partito secondo una unica, ossessiva distinzione tra chi era favorevole a rafforzare l'alleanza con i comunisti e chi voleva smarcarsi dall'invasività staliniana: non il confronto sui programmi, sulle strategie politiche, sulle riforme, ma sempre e solo i rapporti da tenere con il PCI. Foa aveva alle spalle un'altra storia, in cui Livorno contava poco o niente: di qui il disagio suo e degli ex azionisti confluiti con lui nel PSI (De Martino, Lombardi, Codignola, Vittorelli, ecc.) e le incomprensioni con i vecchi amici del PdA (Franco Venturi e Manlio Rossi Doria, in particolare, ma anche il gruppo torinese allora molto influenzato da Aldo Garosci) che non si fidavano né di Nenni né della tradizione politica da lui incarnata. Sono pagine illuminanti quelle di Foa, che ci aiutano a capire non solo la vicenda della sinistra socialista negli Anni 50 ma anche, più in generale, le angustie e le carenze del riformismo italiano nel '900, stritolato nella morsa tra l'estenuata eredità dell'economicismo positivistico e la forza totalitaria dello stalinismo. E' in questa direzione che Foa ritorna su un tema a lui caro, la distinzione tra estremismo e radicalismo. «La radicalità - dice - guarda a tutto il modo di vivere, non solo a qualche pezzetto delle nostre idee». E più avanti: «Parto dall'idea di poter cambiare le cose, anziché aspettarsi che le cose cambino per qualche fatto esterno a me o a noi. E' un'idea cui sono stato lungamente attaccato, che si può chiamare anche autonomia: l'idea che il futuro appartiene agli uomini e non a qualcosa che sia esterno a essi». Insomma: il radicalismo lavora sulle cose, analizza il reale, invece l'estremismo è una posizione preordinata e ideologica. Scusate, ma è proprio questo il Foa che fu caro alla generazione del '68: Sei quello che fai è lo slogan in cui allora ci si riconobbe, contrapponendolo al Sei quello che pensi. «L'ideologia - scrisse Guido Viale - non incontra mai il proprio nemico... Per questo ha continuamente bisogno di simboli: per rappresentare se stessa come per individuare l'avversario»; la politica del movimento del '68, invece, «non si erige a sistema ma non le viene mai meno qualcosa - o qualcuno - contro cui combattere nella concretezza della vita quotidiana». Foa stesso oggi definisce quella sua concezione della politica una forma estrema di laicismo, un modo di intendere la propria militanza nella concretezza dei comportamenti, nella coerenza delle scelte individuali confermate giorno per giorno. Aveva scritto ne Il cavallo e la torre, a proposito della sua formazione: «Non riuscivo ad appassionarmi ai grandi confronti ideologici fra liberalismo e socialismo e quindi al socialismo liberale o al liberalsocialismo mentre ero profondamente interessato agli eventi concreti e alla loro direzione». Questo pragmatismo attivistico, se avvicina Foa ai movimenti del '68, lo rende invece inesorabilmente estraneo a chi è stato costretto nella sua biografia a fare i conti con una robusta militanza comunista. Uscire dal PCI non voleva dire cambiare solo le proprie convinzioni politiche. Si trattava di una vera e propria scelta di vita contraria e opposta a quella fatta nel momento dell'adesione al partito. Una scelta traumatica che metteva in gioco l'intera dimensione umana di chi decideva di imboccare l'«uscita di sicurezza». Con l'abiura, crollava un mondo intero, spesso anche la speranza per il proprio riscatto individuale. Il militante che si allontanava dal partito poteva farlo con protervia, con dolore, con ironia, con amarezza, ma sempre e comunque attraverso un totale coinvolgimento emotivo. Durante la giovinezza di Foa (e per tanti anni anche dopo) il settarismo, l'ostinata chiusura verso l'esterno, il «sospetto» assunto come norma anche nei rapporti umani e affettivi, una rappresentazione di se stessi legata all'interpretazione totalizzante della militanza incideva sugli stessi contorni esistenziali dei comunisti. La carica finalistica che li animava garantiva una solidarietà ideologica granitica e compatta; si sentivano depositari di grandi certezze e di grandi «verità», sorretti da una speranza di rivoluzione che era anche un progetto di complessiva palingenesi sociale. Avevano, insomma, una fede da testimoniare. Era questa la loro forza, il grande patrimonio a cui poteva attingere la loro linea politica. Ma c'era ovviamente un prezzo da pagare: gli avversari erano tutti «nemici»; i dissensi interni, le rinunce alla militanza politica, erano eventi altamente drammatizzati come sempre avviene nei gruppi fortemente centralizzati e con esasperati vincoli disciplinari. L'incubo degli «eretici» e dei «traditori» rendeva molto improbabile che un «compagno» potesse diventare anche un amico. Per Vittorio Foa, la militanza nella «cospirazione alla luce del sole» coincise con un'esperienza politica ed esistenziale completamente diversa: e sono proprio i caratteri originari di quella scelta ormai lontana a consentirgli oggi di riattraversare, sorridendo, gli errori, gli entusiasmi, le speranze deluse, gli slanci di un’intera vita.
Nato il 18 Settembre 1910 a Torino da una famiglia di origine ebraica, nel 1931 si laurea in Giurisprudenza e due anni dopo entra nel movimento di Giustizia e Libertà . Inizia così per lui un periodo di attiva cospirazione e di forte impegno politico contro il regime fascista. Proprio in quegli anni, Mussolini stava preparando, con un'intensa azione militare, diplomatica e soprattutto propagandistica, l'aggressione all'Etiopia. Questo fu il momento di massimo consenso popolare per il Duce e il suo regime. Il 15 Maggio 1935 Vittorio Foa, all'età di 25 anni, viene arrestato su segnalazione di un confidente dell'O.V.R.A. e denunciato al Tribunale Speciale Fascista che lo condannerà a 15 anni di reclusione , nel carcere di Civitavecchia . Suoi compagni di cella saranno Ernesto Rossi, Riccardo Bauer e Massimo Mila. L'Antifascismo sarà sempre per lui un modo di pensare, di agire, di vivere. Uscirà dal carcere il 23 Agosto 1943, all'età di 33 anni. Il governo Mussolini era caduto il 25 Luglio, ma ci vollero gli scioperi di Milano e Torino e le pressioni dei commissari sindacali perché il nuovo capo di governo, il vecchio maresciallo Badoglio, si decidesse a liberare Foa e i suoi compagni. Dal settembre del 1943, raggiunta la libertà, partecipa attivamente alla Resistenza come dirigente del Partito d'Azione .Il convinto europeismo, la necessità di un forte decentramento e il sostegno ad un sistema elettorale maggioritario, erano alcune delle idee fondanti di quel partito, erede diretto del Socialismo liberale dei fratelli Rosselli. Il 2 Giugno 1946 Vittorio Foa viene eletto deputato all'Assemblea Costituente e membro della “Commissione dei 70”. Gli art. 39 e 40 della nostra Costituzione , sulla libertà e organizzazione sindacale e il diritto di sciopero, in aperta antitesi con i valori fascisti, sono anche opera sua. Nel 1948 entra nella CGIL con incarichi di direzione dell'ufficio economico. Nel 1953 viene eletto deputato nelle liste del Partito Socialista e sarà confermato per altre due volte. Nel 1955 diventa segretario nazionale della FIOM e due anni dopo entra nella segreteria della CGIL. Nel 1970 Vittorio Foa decide di lasciare gli incarichi sindacali e di ritirarsi a studiare. Insegnerà Storia Contemporanea nelle Università di Modena e Torino, ma non cesserà di fornire il suo contributo al movimento operaio attraverso numerose pubblicazioni. Negli anni seguenti partecipa attivamente alle discussioni in atto nella sinistra italiana, che sfoceranno nella "svolta" di Occhetto del 1989. Il PCI si divide e Foa, che comunista non lo é mai stato, viene eletto senatore nel PDS nel 1991. Negli ultimi anni ha stabilito il suo domicilio a Formia (LT), dove vive con la compagna Sesa Tatò. L'11 Agosto del 1998, il Consiglio Comunale di Formia gli ha conferito, all'unanimità, la cittadinanza onoraria "per meriti civili e culturali".
«SEGNALAZIONI» è il titolo della testata indipendente di Fulvio Iannaco che - registrata già nel 2001 - ha ormai compiuto il diciottesimo anno della propria continua ricerca e resistenza.
Dal 2007 - poi - alla sua caratteristica originaria di libera espressione del proprio ideatore, «Segnalazioni» ha unito la propria adesione alla «Associazione Amore e Psiche» - della quale fu fra i primissimi fondatori - nella prospettiva storica della realizzazione della «Fondazione Massimo Fagioli»