Il Sole 24ore 28.12.03
Chi aveva ragione, Eraclito o Parmenide? La risposta nella prossima rivoluzione in fisica
Tutto scorre. Anzi, tutto è fermo
Julian Barbour: una sorprendente teoria cosmologica alternativa alle superstringhe
di Armando Massarenti
Che cos'è il tempo? Ecco una classica domanda filosofica, ma buona anche per il senso comune, la cui risposta più sensata sembra essere rimasta quella di sant'Agostino: «Se nessuno me lo chiede, so cos'è, ma se mi si chiede di spiegarlo, non so cosa dire». Sul tempo in realtà si possono dire molte cose, ma spesso sono poco precise, forse perché tendiamo a darlo, per scontato. Lo associamo naturalmente al cambiamento, alla crescita, alla corruzione, alla nascita e alla morte. Ma allora ci sono altre domande cui dare una risposta. Il tempo è come una freccia? Si muove cioè sempre solo in una direzione, dando vita a un presente in costante cambiamento? Oppure è circolare? Il passato continua a esistere?, E se sì, dov'è finito? Il futuro è già determinato? Possiamo conoscerlo in qualche; modo?
Secondo il fisico teorico inglese Julian Barbour nessuna di queste domande può essere elusa, ma bisogna avere il coraggio di partire da quella più generale - cos'è il tempo? - e affrontarla direttamente.
Cosa che, stranamente agli occhi di Barbour, i suoi colleghi fisici raramente hanno fatto. Colpa della ingombrante eredità di Newton e Einstein, gli artefici delle più importanti rivoluzioni della storia della fisica. Per Newton il tempo è. «un mattone al pari dello spazio, un elemento primario». Per l'Einstein della relatività generale, va fuso con lo spazio per creare uno spazio-tempo a quattro dimensioni. Ma, sostiene Barbour, se in fisica avverrà la nuova, rivoluzione che molti si aspettano - Steven Hawking l'aveva annunciata nel 1979, prevedendo entro un ventennio la “fine della fisica" e la nascita di una Teoria del Tutto - questa avrà appunto a che fare con la nozione di tempo, e dovrà sfidare su questo terreno quei due mostri sacri.
La Teoria del Tutto dovrebbe unificare le forze della natura e trovare una coerenza tra la teoria einsteiniana della relatività e la fisica quantistica. Materia per i prossimi vent'anni, ha rilanciato Hawking. Intanto Barbour propone di far finire non la fisica, ma il tempo, fornendo così una soluzione al dilemma che da settant'anni occupa i migliori fisici: perché la teoria quantistica (che spiega così bene ciò che avviene a livello atomico) e la fisica classica e einsteiniana (ottima invece per gli eventi macroscopici dell'universo) forniscono due visioni del mondo inconciliabili tra loro?
La fine del tempo è insieme un libro di fisica, di filosofia e di cosmologia. Barbour risale all'antico scontro tra il tutto scorre di Eraclito e la confutazione del tempo e del moto di Parmenide. «Ben pochi pensatori, nelle epoche successive, hanno preso sul serio le idee di Parmenide; io invece sosterrò qui che l'eterno fluire eracliteo forse non è che una radicata illusione. Vi condurrò in un punto in cui il tempo finisce».
Anche Einstein poco prima di morire aveva detto: «Per noi, fisici di fede, la separazione tra passato, presente e futuro ha solo il significato di un'illusione, per quanto tenace».
Ma questa affermazione non e coerente con l'interpretazione da lui stesso fornita delle sue famose equazioni. Nel 1963 il giovane Barbour lesse un articolo sul giornale in cui.si diceva che Paul Dirac aveva negato che «l'esistenza di quattro dimensioni sia un requisito essenziale in fisica». Comprese che si stava mettendo in discussione proprio la fusione di spazio e tempo nello spazio-tempo. Decise allora che la fisica doveva essere rifondata basandosi sull'idea che «il mutamento misura il tempo e non viceversa: il tempo non è una misura del mutamento».
Barbour ha lavorato a questa tesi per quarant'anni, autofinanziandosi, traducendo testi di fisica dal russo per sfuggire alla logica del "pubblica o muori", ma mantenendo un costante dialogo con la comunità dei fisici, dalla quale è ammirato e riconosciuto. A suo parere le equazioni di Einstein non descrivono la geometria di uno spaziotempo a quattro dimensioni, bensì l'evoluzione di spazi tridimensionali, fissati in una dimensione del tutto atemporale. Dunque, come nel quadro di Turner che Barbour elegge a metafora: delle propria posizione [William Turner, L’Ariel nella tempesta (1842) - guardalo qui - ndr], deve esistere qualcosa di statico che ci fornisce costantemente l'illusione del mutamento. Pensa a una terra di innumerevolì Adesso, battezzata Platonia, i quali ci forniscono la sensazione illusoria del passato e del futuro, della storia e del mutamento. Persino dell'identitá personale. Gli Adesso (simili a monadi leibniziane) non possono essere inscritti nella visione tradizionale di un prima e di un dopo presenti in un tempo oggettivo o assoluto. Oggettivi e reali sono invece proprio gli Adesso.
Barbour disegna questo "quadro” a partire dai risultati di fisici come Arnowitt, Deser e Misner. E soprattutto di Wheeler, nella cui equazione (che permette di calcolare la probabilità di un particolare universo) il tempo non figura. Riesce a risolvere il dilemma dell'inconciliabilità tra relatività e fisica quantistica sposando una certa interpretazione di quest'ultima, quella che viene chiamata «a molti mondi», e l'idea della «gravità quantistica». Configura così, sul piano cosmologico, una teoria rivale della più nota teoria delle superstringhe, di cui parla Brian Greene ne L'universo elegante.
Benché le conclusioni di Barbour possano sembrare, agli occhi del senso comune, paradossali o stravaganti, le sue argomentazioni sono rigorose, la sua conoscenza della fisica indubitabile, la sua scrittura limpida e avvincente, il tono a volte un po' entusiastico ma mai dogmatico. Se avesse avuto una risposta definitiva alla domanda sul tempo; ci avrebbe proposto la teoria del tempo, non una teoria, spiega Barbour, il quale ci fornisce un bell'esempio di come la filosofia (e in particolare l'ontologia e la logica dei mondi possibili) possa dare ottimi frutti quando sa coniugarsi con le più accreditate teorie scientifiche. In definitiva, una lettura raccomandabile. Anche se la sua, teoria si rivelasse del tutto infondata, e se prevalessero le superstringhe, o qualche altra. ipotesi ancor più sorprendente, Barbour ci avrebbe comunque regalato uno dei modi più raffinati e produttivi per "ammazzare il tempo".
Julian Barbour, «La fine dei tempo. La rivoluzione fisica prossima ventura», Einaudi, Torino 2003, pagg. 354, € 23,00
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