domenica 28 dicembre 2003

il ruolo delle Università
nel confronto fra la cultura europea e le altre culture

La Gazzetta del Sud domenica 28 dicembre 2003
Le Università possono giocare un ruolo fondamentale nella diffusione dei saperi e nella integrazione non egemonica delle conoscenze
Interculturalità, una scelta obbligata
di Francesco Tomasello*


La conclusione di un anno solare e l'alba di uno nuovo, in questo difficile inizio di secolo, suggeriscono alcune riflessioni che inevitabilmente saranno sempre più arricchite, nell'immediato futuro, di ulteriori contributi e approfondimenti. La convivenza dei popoli passa anche attraverso nuove forme di incontro tra le diverse culture e, certo, le Università possono giocare un ruolo fondamentale nella diffusione dei saperi e nella integrazione non egemonica delle conoscenze. Troppo spesso si è fatto riferimento, negli ultimi tempi, a una dimensione di molteplicità degli orizzonti culturali accettabile solo fino a quando le rispettive identità possano restare ben distinte e separate. Laddove la distinzione e la consapevolezza della diversità rischiano di sottintendere però una prospettiva privilegiata da cui osservare gli altri e, forse chissà, riuscire a tollerarli. Occorre piuttosto porsi in un orizzonte interculturale dinanzi alle sfide che già oggi dobbiamo affrontare. Infatti, come asserisce un documento proposto da Pisanu e recentemente approvato nel corso dell'ultimo vertice europeo dai ministri degli interni dell'Unione, l'unica prospettiva sicura è nella cooperazione e nella capacità di stare insieme rispettando le differenze ma, anche, imparando a conoscere la feconda bellezza del patrimonio culturale altrui. D'Altronde un'area come quella euro-mediterranea è stata percorsa storicamente da flussi dinamici, non sempre facilmente codificabili, di culture, espressioni artistiche e metodologie filosofiche e da uomini ben disposti al riconoscimento reciproco. Gli abitanti delle terre di frontiera avevano il compito, in Sicilia come in altre aree del mondo medievale, di sorvegliare i confini e, al contempo, tuttavia, di facilitare la comunicazione tra Oriente e Occidente, tra Cristianità e Islam, tra mondi insomma solo apparentemente diversi e lontani. Sul versante cristiano, erano spesso gli ordini cavallereschi a svolgere questo ruolo delicato. In ambito musulmano, invece, questi guardiani del limes abitavano roccaforti ben protette chiamate ribat e così presero il nome di murabitum (che non suona estraneo, certo, in una terra in cui molti sono i «Morabito»). In questi luoghi rischiosi e privilegiati, protezione non significava chiusura, limite invalicabile, e la coscienza della propria identità non esigeva l'esclusione dell'«altro». Fioriva così in una terra come la Sicilia e la Spagna, un laboratorio mirabile di esperienze culturali. In un'epoca, considerata a torto, tenebrosa e feroce, gli uomini si intendevano più spesso di quanto oggi non si riesca a credere e, inserite in una prospettiva intellettuale sintetica e unitaria, le scienze (la medicina, la matematica, l'astronomia, la filosofia) erano patrimonio omogeneo e comune a diverse latitudini. In tal senso, il sovrano svevo Federico II poteva, nel XIII secolo, interpellare un maestro andaluso musulmano, Ibìn Sab'in, su argomenti (le note Questioni siciliane ) che appunto erano indirizzati alla retta comprensione della funzione e della finalità del sapere. Un medesimo anelito alla conoscenza muoveva gli uomini del tempo e costituiva il retroterra saldo di principi e intenzioni che, forse più del comune spazio geo-politico mediterraneo, poteva rappresentare il naturale impulso a un confronto e a un incontro sovente pacifico e arricchente. Le stesse Università devono la loro fondazione, nel XII secolo, nell'Occidente cristiano, così come le analoghe strutture precedentemente presenti nell'Oriente musulmano, alla consapevolezza di una dottrina che fungeva da lingua comune tra le differenti civiltà e grazie a quel passaggio di fonti testuali che aveva cambiato profondamente l'orizzonte dei saperi del tempo. È legittimo pensare che, in ambito euro-mediterraneo, la nascita e la proliferazione delle Università, specialmente nel XIII secolo, rappresentò il riflesso esteriore dei rapporti tra le élite occidentali e orientali. Certo, non è in virtù della nostalgica riabilitazione di una trascorsa stagione che si rievocano questi episodi, ma al contrario per ribadire la facilità di comunicazione e di trasmissione di elementi culturali importanti in tempi considerati travagliati e superati dal progresso vigente a partite dal Rinascimento. Perché, allora, il percorso proficuamente dialettico che è stato possibile compiere ancora sino alle soglie dell'alba della modernità, oggi sembra tanto più impervio? Forse perché c'è un momento a partire dal quale i rapporti, anche commerciali, con il Levante, che avevano tra l'altro contraddistinto la supremazia economica di Messina e del suo porto, cominciano lentamente a diradarsi almeno dal punto di vista della reciproca conoscenza culturale. Le manifestazioni previste per celebrare Antonello da Messina nel 2005, dovranno costituire l'occasione, nella quale l'Università degli Studi di Messina non potrà che giocare un ruolo di primo piano, per una riflessione complessiva anche su questa problematica fase di transizione. Il lavoro di Antonello si colloca, infatti, su un delicato discrimine cronologico, in un momento di svolta epocale per Messina e per tutta l'Europa del Mediterraneo: Costantinopoli era caduta nelle mani di Mehmet II e dei turchi ottomani, l'ultimo dei domini musulmani in Spagna sarebbe stato di lì a poco conquistato dai sovrani cattolici e gli ebrei di Sicilia e dell'Andalusia sarebbero stati espulsi per effetto dell'Inquisizione, lasciando questi territori irrimediabilmente privi di un inestimabile patrimonio culturale. Non si vuole, d'altronde, in questa sede ridurre le categorie della storiografia alla retorica di una mera comparazione, anche e soprattutto per non fare torto alla complessità gnoseologica che attiene all'assetto del mondo attuale e non solo intendendo in tale accezione le società occidentali e tecnologicamente più avanzate. I paesi in via di sviluppo continuano a pagare un forte ritardo dal punto di vista delle strutture d'istruzione di base e superiore e dal punto di vista del sapere tecnologico e scientifico. Tuttavia non si può negare che esista, in queste aree, una fortissima richiesta di formazione e una potenzialità intellettuale che va sostenuta affinché non prevalga nella mentalità di questi popoli un sentimento antioccidentale, storicamente non del tutto infondato, sul quale possa poi attecchire la malapianta del fondamentalismo di tutte le provenienze. È per tale motivo che occorrerà rilanciare e sviluppare progetti nell'ambito di felici iniziative già assunte unitariamente dalle tre Università siciliane, come il Politecnico del Mediterraneo. In questo ambito s'inserisce in modo credibile il progetto presentato, nel 2001, dalla Facoltà di Medicina e Chirurgia, ma coinvolgente altre Facoltà e settori scientifico-disciplinari dell'Ateneo di Messina, sul Polo della Salute del Mediterraneo che non rappresenta semplicemente, da parte del nostro Ateneo, la possibilità di un'offerta di competenze professionali e di strutture modernamente attrezzate alle Università e ai siti medici e ospedalieri del Mediterraneo, ma soprattutto una possibilità di relazione sul versante non solo tecnologico, ma anche umanistico. [...] Vi è certamente spazio per fare dell'Università di Messina uno dei siti privilegiati di cerniera tra le civiltà euro-mediterranee, vi sono grandi potenzialità che offrono nuove concrete opportunità alle nostre giovani generazioni affinché divengano protagoniste di questa nuova sfida del nostro secolo. In definitiva, questa proposta ha il suo perno in un rispettoso dialogo interculturale e nella ribadita convinzione che le genti che si affacciano su questo mare condividano le medesime radici di fondo. Proprio la coscienza dell'imprescindibile necessità di interpellare le radici religiose della nostra cultura deve spingerci al confronto con esse, anche e soprattutto, dinanzi alle sfide poste dalla bioetica. Sfide destinate ad abitare il versante frenetico della nostra quotidianità, ma con lo sguardo costantemente rivolto all'egida dei principi. In questo senso, la libertà della ricerca medica e filosofica va sempre più tutelata sapendo, per, che la questione della salute può e deve essere coniugata con una più complessiva prospettiva salvifica dell'essere umano. Il XXI secolo si apre sullo scenario di un mondo in cui l'ampia portata delle relazioni tra uomini darà spunto a sempre maggiori contatti tra le civiltà, richiedendo una rinnovata apertura intellettuale. Vi sono e vi saranno, sempre di più, civiltà che si intersecano a differenti livelli. La grande sfida del secolo, intorno alla quale si mette in gioco la nostra storia, è rappresentata dalla comunicazione globale fornita dai nuovi strumenti della tecnologia. La comunicazione primariamente deve veicolare formazione e ricerca come fattori di crescita civile e terreno di confronto culturale. Come tale, allora, essa non può essere un mezzo per sviluppare la tolleranza delle diversità, ma una grande opportunità di «comprensione», che letteralmente rimanda alla possibilità di «comprendere», in un'unica dimora, la pluralità che deriva dall'affascinante avventura del pensiero umano.

* Il prof. Francesco Tomasello è Preside della Facoltà di Medicina e chirurgia dell'Università di Messina