mercoledì 17 settembre 2003

***un articolo sul manifesto del 16.9.03

(ricevuto da Adele Irianni)

POLITICA O QUASI
Moro, emozioni e fermezza
IDA DOMINIJANNI


Torno su Buongiorno, notte, il film di Marco Bellocchio sul sequestro Moro, spinta dalle polemiche che si sono lette sui giornali dell'ultima settimana, segnatamente il Corriere della sera e la Repubblica, nonché dalle critiche di un lettore del manifesto a «Politica o quasi» di martedì scorso, che già parlava del film da un'angolatura peraltro molto parziale. Il lettore, in una e-mail firmata Antonio, mi rimprovera fra l'altro di aver avallato una lettura troppo soggettiva dell'assassinio di Moro, «basata su un libro pieno di rivisitazioni compiacenti» e su un uso strumentale dei sentimenti che banalizza questioni politiche razionalissime. E col peccato emozionale del film se la prendono anche, sia pure con toni assai diversi fra loro, Francesco Merlo sul Corsera di mercoledì e Mario Pirani su Repubblica di giovedì scorsi. Merlo non ne può più della «psicologia degli assassini» che trasforma in «mostriciattoli sognatori» dei mostri autentici che riuscivano a ideologizzare perfino l'inconscio sognando le panchine di Lenin; a Pirani non piace «l'operazione ambigua» di umanizzazione dei terroristi, che finisce col presentarli allo spettatore come poveri diavoli tormentati dal dubbio. L'obiettivo politico di Pirani è ribadire il teorema della fermezza contro l'ipotesi della trattativa che il film sposa; Merlo si accontenterebbe di silenziare per sempre i brigatisti e di rimetterli al posto loro, che non è la politica bensì la criminologia. Si potrebbe osservare en passant quanto siano diverse queste reazioni al film da quelle ben più positive apparse a caldo sugli stessi giornali (Curzio Maltese su Repubblica, Paolo Franchi sul Corsera). Indice di pluralismo, va da sé; come osserva lo stesso Bellocchio nella sua replica su Repubblica di ieri, il suo film divide e rompe i fronti. O anche, per restare in tema, indice della ragion politica che punta di nuovo i piedi dopo un cedimento emozionale? All'operazione di Bellocchio si può anche dire di sì in prima battuta, ma poi bisogna rimettere i puntini sulle i. E sul caso Moro i puntini, a distanza di un quarto di secolo, sono inquietantemente sempre due e sempre gli stessi. Primo, i terroristi non erano esseri umani ma mostri, non avevano un, sia pur perverso e delirante, atroce e devastante disegno politico ma solo un disegno criminale. Secondo e conseguente, il tabù della fermezza non si tocca, perché coi mostri non si tratta e trattare avrebbe significato promuoverli da mostri a interlocutori politici. Con il che il cerchio si richiude, e la memoria è di nuovo bloccata e messa sotto sequestro dalla ragion di stato.

Ora non è tanto interessante inserirsi nello stesso gioco della ripetizione, e ribadire le ragioni della trattativa che con ben altra autorevolezza sono state sostenute nel corso del tempo da questo giornale (casomai c'è da chiedersi come stiano tuttora assieme, nell'altro campo, la difesa asserragliata della fermezza e l'evocazione dell'arte politica della mediazione di Aldo Moro). Dal momento che stavolta il dibattito riparte da un film, che per quanto sia un film politico è pur sempre un'operazione dell'immaginario, mi interessa di più restare sul piano dell'immaginario, e del rapporto fra immaginario e politica. Nella sua replica su Repubblica, Bellocchio ha già detto l'essenziale: proprio perché non pretende di essere del tutto aderente alla verità storica il film può restituire una verità più profonda; proprio perché sceglie un'angolatura parziale, può illuminare diversamente l'intero quadro; proprio perché cerca e suscita un coinvolgimento emozionale, non gli si può rispondere con la replica schematica di un discorso politico autocentrato. Proprio perché è un'operazione dell'immaginario, aggiungo io, sgancia l'immaginazione dalla verità ufficiale, le consente di aprirsi a un'altra elaborazione del lutto, a altre interpretazioni possibili di come andarono le cose, a un'altra speranza su come avrebbero potuto o potrebbero andare in futuro. La tragedia della passione e morte di Aldo Moro è una tragedia nazionale che appartiene alla memoria collettiva, ed è ad essa che va restituita accettando il rischio di riscritture discordanti da quella ufficiale. Ma alla fine, è sempre dell'immaginazione che il potere ha paura.