mercoledì 14 gennaio 2004

dal Paese dove l'Islam ebbe inizio

una segnalazione di Licia Pastore

La Repubblica 14.1.04
Si stanno anche epurando i testi scolastici dallislamismo più aggressivo
Il governo annuncia le prime elezioni per i consigli comunali di alcune città
Riad, il sogno di modernità della monarchia saudita
La patria dell'Islam è stretta tra riforme e difesa dei dogmi

DAL NOSTRO INVIATO
GUIDO RAMPOLDI



Con la bolgia irachena e l'esercito americano alle porte, la dinastia dei Saud non può mancare questo appuntamento cruciale con la storia. Da pochi mesi è perfino tollerata una stampa critica con l'assolutismo ma le leve del potere rimangono nelle mani della famiglia reale.
A centinaia di imam esagitati è stata revocata la licenza di predicare. Altri invece provengono dalla sterminata famiglia reale, quattromila discendenti diretti di re Abdulaziz e trentamila parenti acquisiti. Un pullman li ha prelevati sotto il grandioso portale del complesso regio e li portati al palazzo dove il Reggente tiene la Majlist, termine beduino per "riunione". Dal tempo del primo regno saudita (1744-1818) la coreografia della Majlist s'è adeguata ai tempi, e la tenda bianca della tradizione oggi è una sala bianca che ha l'aspetto d'un lussuoso cineclub, con sei file di poltroncine dirimpetto alla scrivania dove il Reggente riceve. Quand'è il suo turno ciascuno dei presenti va a sedersi su una sediola bassa davanti al principe, gli consegna un incartamento e parlotta con lui per spiegargli il proprio caso, a bassa voce, trattandosi di questioni private. Malgrado alcuni si sorreggano su un bastone, il Reggente, col pizzo così nero che sembra laccato, non guarisce gli infermi come i re europei del Duecento; ma può aiutare la madre d'un condannato a morte a salvare il figlio dalla spada, risolvere la disputa per un pascolo, sanare l'ingiustizia commessa dallo Stato o da un principe. La sera la sonnolenta tv saudita dedica alla Majlist cinque minuti senza commento, con l'Eroica di Beethoven per sottofondo. Seguono scene da due mondi non sempre separati: una moschea in preghiera, una lunga sequenza di volti sauditi e yemeniti, i ricercati per terrorismo.
Ci sono due modi di guardare a queste udienze reali di cui l'Europa ha perso memoria. Il modo ovvio suggerisce l'idea d'un assolutismo ormai fossile, superato dalla storia e destinato ad essere travolto dal popolo che aspira alla democrazia. E così intendono l'Arabia saudita alcuni pensatoi neo-cons americani, nelle cui fosche profezie Riad comincia a sospettare un programma d'azione. Irriformabile, la monarchia sarebbe avviata a trascinare la nazione nel proprio crollo; in quel caso il regno, conclude un'analisi che circola al Pentagono (l'ha prodotta la cerchia di Richard Perle), dovrà essere tripartito: a ovest la liberale Gedda, a sud la conservatrice Riad, a est i pozzi petroliferi e la minoranza sciita, verosimilmente sotto protezione statunitense. Se si può tripartire l'Iraq, una proposta di cui a Washington si discute, perché non l'Arabia saudita? Vista però con occhi indigeni la Majslit non rimanda ad una Versailles saudita, con la corte che balla il minuetto mentre i sanculotti si accalcano ai cancelli, ma ai metodi informali d'un capo beduino che comanda non tanto per diritto divino, quanto perché sa ascoltare e guidare la tribù. Così era nella tradizione cui la vetusta casa reale sta tornando, con anni di ritardo ma anche con giovanile audacia. Reggente e fratelli ministri stanno patrocinando trasformazioni impensabili fino a ieri, ci ripetono anche i più impazienti - principi liberali, politologi specializzati nelle università statunitensi e donne stufe del rigido segregazionismo saudita. In pochi mesi la stampa è diventata così spregiudicata che adesso il liberale al-Watan può permettersi di paragonare il fondamentalismo al maccartismo, smentire su materie religiose uno dei più prestigiosi teologi islamici, dedicare paginate alla questione femminile. Il governo annuncia le prime elezioni, sia pure soltanto per la metà dei consigli comunali di 14 città; e procede alla revisione di testi scolastici tuttora pervasi da un islamismo aggressivo. Infine e soprattutto: in dicembre alla Mecca, per la prima volta l'integralismo saudita ha accettato di discutere con liberali, donne, mussulmani sufi e minoranza sciita. Tuttora la sua ala più dura considera sufi e sciiti dei ripugnanti eretici, i liberali la quinta colonna degli infedeli, e le donne che reclamano diritti delle svergognate da consegnare alla Muttawa, la polizia coranica. Una delle dieci donne invitate alla Mecca, Hend al-Khuthaila, pedagogista della King Saud University, s'era preparata ad uno scontro duro con i religiosi wahabiti. Ma quelli l'hanno sorpresa per la flemma con cui hanno accolto la sua veemente arringa per i diritti delle donne. L'indomani l'al-Khutaila è stata avvertita da un amico di quanto andava dicendo un estremista influente: "Quella ha bisogno di due pallottole, e c'è già chi sta provvedendo". Allora s'è trasferita per alcuni giorni in una casa sicura; ma i primi ad esprimerle solidarietà, ci racconta, sono stati i religiosi incontrati alla Mecca. Adesso è convinta che sia possibile trovare un accordo con gli islamisti per riformare l'Arabia saudita, però "dentro il nostro contesto culturale".
Il Reggente aveva organizzato la riunione attraverso il suo Centro per il Dialogo nazionale. "Abbiate pazienza", ha ripetuto tre volte quando gli è stata consegnata la petizione riformista approvata quasi all'unanimità dai sessanta convenuti. Così è stato chiaro che nel prossimo futuro le 17 riforme richieste (tra l'altro: diritti per minoranze e donne, riforma dell'istruzione, sindacati, elezioni) saranno realizzate solo gradualmente e all'inizio in forma parziale. Ma ugualmente l'incontro della Mecca è un punto di svolta, per i motivi che ci spiegano alcuni tra i partecipanti. Dopo secoli i religiosi sunniti hanno perso il monopolio della verità (Fawzia al-Bakr, docente universitaria: "Dove prima vigeva solo l'alternativo tra dio e l'inferno, ora si accetta che l'Islam possa avere interpretazioni diverse", anch'esse legittime). Inoltre "gli argomenti di cui abbiamo discusso ne trascinano a cascata altri, tuttora non sfiorati, e la mentalità riformista si espande" (Sultan al Bazie, imprenditore). Il dialogo della Mecca introduce principi che spartiscono con quanto le democrazie occidentali conoscono come pluralismo, diritti umani, Stato di diritto liberale. Non sembra più impossibile una lenta convergenza verso un terreno condiviso. E poiché tutto questo avviene nel Paese della Mecca, il tempio verso il quale ogni giorno pregano 1300 milioni di musulmani, l'evoluzione saudita potrebbe sprigionare un islam dialogante, disarmando i profeti occidentali o musulmani dello "scontro tra civiltà". Le ricadute sarebbero enormi. Ma la potente teologia sunnita accetterà la direzione verso cui dirige la monarchia?
In dicembre l'ala più dura ha contrattaccato sul terreno cruciale, l'istruzione. Una commissione governativa sta epurando i libri di testo dai passaggi insultanti verso ebrei, cristiani e musulmani non-sunniti. La Shura, un Consiglio di nomina reale, ha approvato una legge che capovolge il metodo d'insegnamento (Abdulaziz Mansour, capo-dipartimento del ministero dell'Educazione, "al momento il docente parla senza mai fermarsi per paura di perdere il controllo della classe. In futuro dovrà interagire con i suoi alunni per formarne lo spirito critico"). Tutto questo suona intollerabile alle orecchie dei 156 teologi e predicatori firmatari d'un appello alla mobilitazione dei genitori contro "la cospirazione delle forze internazionali degli infedeli", palesatasi nel progetto di riforma scolastica, quella "grave concessione al nemico". Parte dei 156 sono noti per scritti violenti e sermoni spiritati che omettono di condannare il ricorso alla "guerra santa" contro gli infedeli. Molti sono di scuola salafita, la fazione più intransigente dell'arcigno e puritano Islam saudita, noto agli occidentali col nome che gli imposero gli ottomani: wahabismo. Rappresentano una rete ben organizzata, anche attraverso Internet; godono della fama d'uomini pii; e hanno un certo seguito nelle schiere di laureati delle accademie islamiche (uno studente universitario su quattro negli anni Novanta) che oggi sono insegnanti, predicatori nelle ventimila moschee, giudici nelle corti della sharia e poliziotti del Dipartimento per la prevenzione del vizio e la propalazione della virtù. Ma come ha confermato la reazione veemente dei principali giornali sauditi, oggi una parte crescente dell'opinione pubblica non è più disposta a riconoscere in questi o altri dotti l'incontestabile fonte della Vera Fede. "Le parole e le opere del Profeta - ha scritto al-Watan, demolendo il manifesto integralista - provano che l'Islam non ha mai ordinato ai mussulmani un atteggiamento aggressivo" verso i non musulmani.
Invece il grosso della corporazione religiosa ha dato un assenso preventivo alla svolta saudita nel gran consulto di teologi sunniti convocato dal Reggente in estate, sul tema: come l'Islam deve interagire col mondo. Uno dei più influenti tra quei pensatori era il conservatore (moderato, precisa) Abdurrahman al Madrudi, viceministro per gli Affari islamici. Dice: "L'Arabia saudita sta cercando un nuovo volto, una nuova era". Un nuovo Islam? No, l'Islam resta quello di sempre: ma va separato dagli equivoci prodotti dalle scuole radicali, e da costumi sociali non prescritti dal Corano. Un equivoco, spiega, è la "guerra santa": il Corano rifiuta le guerre d'aggressione. I costumi sociali, revocabili se così vuole la popolazione, sono ad esempio la polizia coranica e molte tra le infinite proibizioni rovesciate sulle donne. È Islam la decapitazione o la lapidazioni degli adulteri. Ma nella pratica i requisiti richiesti dalla Sharia (quattro testimoni che abbiano assistito alla penetrazione, la confessione della colpevole reiterata tre volte a distanza di tempo) rendono impossibile comminare la condanna, infatti non più applicata.
Il grosso della corporazione religiosa si muove su due direzioni. Da una parte asseconda il riformismo e l'offensiva governativa contro i predicatori più esagitati, a centinaia dei quali ? stata revocata la licenza per predicare. Dall'altra frena, e pare riuscita a silurare il progetto per ampliare l'orario delle materie scientifiche a danno delle materie religiose, oggi un quarto dell'insegnamento complessivo. Così il Reggente deve far dialogare attori diversissimi, dai liberali al complicato arcipelago religioso. Anche i liberali concedono che riforme affrettate potrebbero allarmare una società assai conservatrice, in parte incline a simpatizzare con bin Laden fin quando non s'è ritrovato il terrorismo in casa (le stragi di maggio e novembre 2003). Il problema è trovare la velocità ottimale del nuovo corso. Nel 1951 il re chiuse un giornale che si batteva per l'istruzione delle bambine con un decreto motivato così: "È troppo presto"; ma dieci anno dopo mandò l'esercito a proteggere le prime scuole femminili dai lapidatori. Nel 1991 Fawzia al-Bakr partecipò al corteo delle donne-automobiliste che reclamavano la possibilità di guidare. "Era troppo presto", ammette oggi (il risultato fu un decreto reale e una fatwa che tuttora proibiscono quel diritto elementare). Ma se il riformismo fosse troppo lento, "molta gente perderà la speranza", ci dice la figura trainante del liberalismo saudita, il principe Abdullah bin Faisal, presidente della società per la privatizzazioni. Con la bolgia irachena ai confini e le ideuzze neocons in circolazione, la dinastia dei Saud non può permettersi di fallire questo appuntamento cruciale con la storia.