mercoledì 14 gennaio 2004

Sergio Givone,
sulla bellezza e "l'orrore del bello senza vita"

La Repubblica 14.1.04
TRA RELIGIONE E POLITICA SI È INSERITA L'ESTETICA
BACIATI DALLA GRAZIA, IL TOCCO MAGICO DELL'ARTE
di SERGIO GIVONE


Se di qualcuno o di qualcosa dico che è "grazioso", non gli sto facendo un gran complimento. Anzi. Del concetto estetico di grazia resta ben poco. In origine esso alludeva al fatto che bellezza e verità sono tutt'uno e sono realtà vivente. Ma ora?
Leopardi, capace come nessun altro di scorgere nei mutamenti della lingua i mutamenti del pensiero, sosteneva che "grazioso", in tempo che ha fatto indigestione di bellezza, è diventato sinonimo di gusto estenuato ed ipereccitabile. «E forse la massima parte delle cose che oggi si hanno per graziose, e lo sono, non debbono questa qualità che alla svogliatura di questo secolo».
Discorso chiuso, dunque? Al contrario. Secondo Leopardi è proprio la grazia a risolvere il contrasto di natura e cultura, istinto e ragione. C'è una bellezza che è tutta razionale: è armonia, proporzione, perfetta disposizione delle parti. E c'è una bellezza che è creatività, invenzione, manifestazione di forze profonde. Benché in certe epoche storiche, come nella nostra, la bellezza naturale sia oscurata dalla bellezza artificiale, essa tuttavia è custodita dalla natura e da lì muove il mondo, attingendo a una potenza misteriosa che non dà ragione di sé, ma è gratuita, è «per grazia».
Con ciò Leopardi si rifaceva alla tradizione classica. All'interno della quale si era sviluppata un'estetica della grazia che Plotino avrebbe trasmesso all'occidente cristiano. Chiedeva Plotino: chi è così cieco da non vedere quant'è bello il fuoco? E chi è così pazzo da negare che sia bella la stella del mattino? Ma la stella del mattino e il fuoco sono corpi astrali, dunque non sono composti di parti. Questo significa che la bellezza che si manifesta in essi non può essere «governata dal numero»: dove non ci sono parti non ci sono leggi matematiche che regolino il rapporto fra le parti stesse. E allora? La risposta di Plotino era che la bellezza, prima di essere espressione di un ordine oggettivo, è rivelazione della vita stessa di Dio: che è libertà, gratuità, in una parola grazia.
Idea, questa, destinata a segnare l'intera estetica occidentale - salvo che il processo di secolarizzazione avrebbe progressivamente immiserito il suo significato. Ha ragione Leopardi: se ancora parliamo di grazia, è solo per via di una certa «svogliatura». Eppure Leopardi ha ragione anche nel ricordare che la storia di questo concetto è antica e tutt'altro che finita. Se il Settecento ne aveva dato una versione fortemente riduttiva, il romanticismo lo rilancerà ben oltre l'orizzonte di provenienza.
E oggi? Secolarizzazione ed estetizzazione sono in fondo la stessa cosa. La grazia secolarizzata è la grazia ridotta a fatto estetico e identificata con quel "grazioso" di pronto consumo che è il bello senza verità né profondità né anima. Ci sono oggi artisti che si fanno complici di questo processo all'insegna di una ossessiva smania di bellezza, per cui solo il bello è degno di esistere (e intanto il brutto trionfa). E c'è chi ci gioca, chi si adatta, chi si lascia incantare.
Ma c'è anche chi si oppone. Ed è l'arte come resistenza all'orrore del bello senza vita. Dove va quest'arte, con furia e con disperazione iconoclasta, se non verso la grazia sprofondata nel cuore del mondo?