giovedì 8 gennaio 2004

Forugh Farrokhzad, poetessa e cineasta persiana

una segnalazione di Daniela Venanzi

il manifesto 8.1.02
Poesie per una rivoluzione

La rivista francese «Cinéma» rilancia la figura di Forugh Farrokhzad, poeta e cineasta morta a Tehran in un incidente d'auto nel 67, a trentadue anni. Massacrata dalla critica iraniana ufficiale per le sue scelte radicali d'arte e vita, i versi che parlano d'amore e desiderio, le immagini che scavano nelle pieghe invisibili dell'Iran ai tempi dello scià, è ancora oggi un mito e un riferimento per le generazioni di artiste che vogliono inventare nuovi spazi di libertà
di CRISTINA PICCINO


La rivista Cinéma (dirige con invenzione in progress Bernard Eisenchitz, e-mail: editionsleoscheer@wanadoo.fr) pubblica nel suo ultimo numero, imperdibile anche perché accompagnato da un dvd con rari corti di Jean Eustache, Le Jardin des delices de Jerome Bosch e Offre d'emploi, due articoli a firma di Chris Marker e Jonathan Rosenbaum dedicati a Forugh Farrokhzad cineasta e poetessa iraniana morta in un incidente d'auto nel 67, a trentadue anni. Il primo, Délivrée des méprises (Libera dal disprezzo) è infatti un ricordo scritto in quell'occasione, Marker aveva incontrato Forugh a Tehran: «nera, brusca, bruciante. Queste parole vaghe la descrivono in modo così preciso che la riconoscerai fra mille mi avevano detto». E più avanti: «Forugh era uno dei più grandi poeti persiani contemporanei e era anche una cineasta... In lei si mescolavano magia e energia, era una regina di Saba scritta da Stendhal. Coraggiosa, non cercava né alibi né difese, come i professionisti del dolore conosceva da vicino l'orrore del mondo e come gli esperti della giustizia sentiva la necessità della lotta senza mai tradire la sua ispirazione profonda» In Forugh Farrokhzad e La casa è nera pensato in occasione di un convegno su "Donne e cinema iraniano" all'università della Virginia curato tra gli altri proprio da Farzaneh Milani (vedi intervista, ndr) Rosenbaum, occhio autorevole della critica americana (Filmcomment, Trafic...) individua nel percorso artistico di Forugh l'origine di quella che sarà la nuova onda del cinema iraniano, in particolare del cinema di Abbas Kiarostami anche se La casa è nera rimane l'unico film della regista. Ma la potenza (e la seduzione) di Forugh che in Iran, ci dice ancora Rosenbaum è un mito tanto che tutti la chiamano per nome, ha radici ancora più lontane: è nel cinema, il fatto ad esempio che sia la prima a usare il suo in presa diretta - pure se ne attribuiscono la «scoperta» a Ebrahim Golestan autore del Mattone e lo specchio (1965), altro film di riferimento per il cinema iraniano contemporaneo - nei suoi poemi e soprattutto in quell'urgenza irrequieta di sperimentazione che mescola senza confine arte e esistenza.

Golestan che in Iran traduce Cecov, Hemingway, Faulkner è il produttore della Casa è nera, i due sono complici nella vita e nel lavoro, Forugh è la sua assistente sul set, firma il montaggio dei film di Golestan a cominciare dal Fuoco, un documentario girato nel 1959 vicino Ahvaz durante l'incendio di un pozzo di petrolio che brucia per due mesi finché non arrivano a spegnerlo i pompieri americani. Prima studia inglese e produzione in Inghilterra, ha esperienze come attrice, produttrice, riprende il quotidiano con la superotto. Non è casuale insomma che Forugh sia artista amata da un cineasta come Marker, stessa imprevedibilità, stessa onda-nouvelle vague di scoperta, dolcezza provocatoria, curiosità, radicalismo di linguaggi.

Quando gira La casa è nera Forugh Farrokhzad ha ventisette anni. Il soggetto fa paura: protagonisti sono i lebbrosi, la macchina da presa entra in un istituto dove vivono nascosti al resto del mondo e libera volti, corpi, ossa, mani deformi senza clamori, con la compassione della sensibilità e quella distanza necessaria a un'immagine poetica-politica. La critica iraniana accusa la regista di strumentalizzare i malati, di usarli per scrivere una metafora dell'Iran ai tempi dello scià, un luogo di isolamento e repressione. Ma di sicuro Forugh sarebbe stata in prima linea anche contro ogni oscurantismo religioso-politico a venire. Il punto è che l'ufficialità la odiava già per le sue poesie, è la prima donna in Iran a scrivere di amore, desiderio, sensualità, e questo è intollerabile. Come il fatto che nell'arte entri sempre il vissuto senza compiacimenti ma come gesto di libertà. Perché quel vissuto mescola erotismo e religione, parla di privilegi e povertà trasformando la poesia in uno spazio politico senza perdere il piacere della scrittura. È insomma importante questa riscoperta (La casa è nera era stato presentato due anni fa a Parigi, al festival del documentario Cinéma du réel) come la geografia di memorie e affinità che cercano quelle artiste tra cui Milani, al centro di nuove esplosioni di immaginario. Un bel punto di partenza in Iran e nel resto del mondo.