una segnaazione di Daniela Venanzi
il manifesto 8.1.03
Iran, la ragazza che danzava tra i girasoli
Intervista con Tahmineh Milani, vincitrice al festival di Ginevra con «La quinta reazione»
di NICOLA FALCINELLA
GINEVRA. Non ha la popolarità internazionale della giovanissima Samira Makhmalbaf, né è stata una apripista come Rakhshan Bani-Etemad. Tahmineh Milani, nata nel 1960, laurea in architettura, cinque lungometraggi all'attivo, è una delle più significative registe iraniane. I suoi film, avversati in patria (la cineasta è stata pure imprigionata nel 2001) e di circolazione limitata all'estero - dove rare volte sono usciti al di fuori dei circuiti festivalieri - raccontano sempre storie di donne e sono denunce della condizione femminile nel suo paese. Il suo lavoro più recente, La quinta reazione ha vinto la nona edizione di Cinema Tout-Ecràn a Ginevra. È la vicenda di un'insegnante di Tehran rimasta vedova che, secondo la tradizione, dovrebbe abbandonare la casa e i figli al suocero. La donna trova la forza di ribellarsi e di intraprendere una lunga fuga in compagnia di un'amica. Nella città svizzera abbiamo incontrato Tahmineh Milani.
La scena centrale del suo film simboleggia una illusione di libertà che dura pochissimo. È d'accordo?
Fereshteh, donna in fuga che si vede danzare tra i girasoli, è libera ma lo è per pochi istanti. Poi sente l'arrivo del camion e subito il suo pensiero ritorna al suocero che la insegue. Assapora appena uno stato d'animo positivo e subito viene richiamata alla sua condizione difficile...
L'inizio del film ha un tono da commedia ma volge al dramma quando entra in scena uno dei mariti.
All'inizio mostro cinque donne divertenti che sembrano spensierate e felici, si dicono quanto amano i rispettivi mariti, quanto i loro uomini sono gentili e generosi con loro. Quando nel locale dove stanno pranzando compare il marito di una di loro in compagnia della segretaria e le ordina di andare subito a casa, tutto cambia. Basta un niente e le loro vite reali escono fuori. Di solito le donne iraniane non parlano di loro stesse, parlano di tutto tranne rivelare la loro infelicità. Ho voluto mostrare le due facce delle donne nella nostra società. In fondo sono tristi, ma quando sono fuori indossano delle maschere e nascondono ciò che le tormenta.
Quali sono i problemi delle donne iraniane?
Le donne non hanno tutte lo stesso tipo di problemi, anche se la maggior parte sono riconducibili alla società patriarcale. Ad esempio non possono divorziare, anche quando sarebbe necessario e lo desiderano, perché la società le giudica. Il caso della mia protagonista Fereshteh è diverso. Lei è una donna povera perché ha perso il marito che amava e ora il suocero le vuole portare via il figlio. Il suo non è un problema con il marito ma con una mentalità. Tutto per lei crolla con la morte del suo uomo e la domanda da porsi è: «perché»? Perché deve succedere questo a una donna?.
Sta cambiando qualcosa?
Le donne iraniane sono rimaste in silenzio per molto tempo, solo ora cominciano a farsi sentire e a protestare. Adesso sanno che possono cambiare le cose. Il premio nobel a Shirin Ebadi è stata una notizia bellissima. È un sostegno importante, un incentivo, ha reso le donne consapevoli di essere forti, che qualcosa può cambiare. Io sono convinta che cambierà molto.
Come avverrà il cambiamento?
Il cambiamento è lento, sarà lento. Non credo alle rivoluzioni, tutto va fatto attraverso le riforme.
Eppure, nel suo film precedente, «La metà nascosta», aveva raccontato i guai di una giovane militante comunista poco dopo la rivoluzione islamica nel '79.
Un anno dopo la rivoluzione chiusero le università per quattro anni e uccisero molti oppositori politici, soprattutto comunisti. Altri fuggirono in occidente da rifugiati. Mi interessava raccontare quel periodo, ancora non capisco perché li condannassero. Però è la mia generazione, anch'io ero all'università all'epoca a studiare architettura, è un periodo che conosco bene. È stata la nostra rivoluzione e abbiamo pagato. Quelle uccisioni e quelle repressioni sono rimaste tabù, il governo di allora non voleva che se ne parlasse.
Anche negli ultimi mesi ci sono state proteste degli studenti. La voce di chi chiede cambiamenti potrà essere soffocata a lungo?
Non si possono più schermare le giovani generazioni. Sono collegate con tutto il mondo, sono preparate, vogliono farsi sentire. Non è giusto che non possano esprimersi. Ma la situazione ora è diversa, le cose devono trasformarsi. Con gradualità, ma sono convinta che ciò accadrà.
E la posizione del presidente Khatami?
Khatami è ok, non è forte abbastanza per riuscire a cambiare, ma può andare bene...
Conosce di persona il premio nobel Shirin Ebadi?
Conosco Shirin Ebadi, è una persona fantastica. Ci sono due donne incredibili in Iran, l'altra è Mehrangir Kar, che ora sta a Washington e ha il marito in prigione nel nostro paese. Le ammiro molto perché cercano di cambiare la situazione delle donne e dei bambini in Iran. Hanno scritto libri e sono state in carcere più volte e a lungo. Io solo una settimana.
L'ha colpita questa esperienza?
No, mi sento forte e l'incarcerazione mi ha irrobustita nelle mie convinzioni e nel mio impegno.
Come sono i suoi rapporti con le altre registe del suo paese?
Amo le altre registe iraniane, ho ottimi rapporti con tutte loro. Abbiamo bisogno di tante voci differenti. Io faccio film in maniera diversa, ma l'obiettivo di tutte è lo stesso: vogliamo cambiare la situazione in Iran attraverso il nostro lavoro.
Negli ultimi anni alcuni registi iraniani, penso a Jafar Panahi, hanno cominciato a fare film sulle donne...
Sì, qualche regista ha fatto film sulla condizione femminile in Iran. È un buon segno ma non è una tendenza, l'ultimo film di Panahi, Sangue e oro, non parla di donne ma di uomini. Il cerchio mi era piaciuto ma ciascuno fa i film sui temi che gli interessano. Qualcuno sulla guerra, o sui bambini poveri oppure su altri problemi della società. A me premono i diritti delle donne e racconto storie su di loro. Sono lo spunto di tutto il mio cinema.
«SEGNALAZIONI» è il titolo della testata indipendente di Fulvio Iannaco che - registrata già nel 2001 - ha ormai compiuto il diciottesimo anno della propria continua ricerca e resistenza.
Dal 2007 - poi - alla sua caratteristica originaria di libera espressione del proprio ideatore, «Segnalazioni» ha unito la propria adesione alla «Associazione Amore e Psiche» - della quale fu fra i primissimi fondatori - nella prospettiva storica della realizzazione della «Fondazione Massimo Fagioli»