martedì 27 gennaio 2004

il dottor Geoffroy

Repubblica edizione di Milano 27.1.04
IL DOCUMENTO
In ventinove pagine il ritratto di un malato che crede di essere sano
Nella sua mente c'è il delirio "Ho ucciso per la mia libertà"
di ANNALISA CAMORANI


«Il dottor Geoffroy è stato uno psichiatra tragicamente travolto dalle dinamiche affettive con cui si confrontava». Ci sono le due aggressioni di cui è stato vittima dietro il disturbo delirante che lo ha portato a uccidere. Aggressioni che non ha mai dimenticato e che lo hanno trasformato da vittima a carnefice. «L´atteggiamento del dottor Geoffroy - scrivono i professori Francesco Barale e Alessandra Luzzago - è sprezzante e apertamente polemico. La mimica vivace ed espressiva. La comunicazione implicita che dà è del tipo: sono un combattente estremo, non mi avrete mai. Combatterò fino alla fine».
È scritta in ventinove pagine la fotografia che i due periti incaricati dal tribunale hanno fatto ad Arturo Geoffroy per poi concludere che è incapace di intendere e di volere, incapace di stare a processo e pericoloso socialmente. Nella relazione la mente dell´ex psichiatra è descritta come «un universo ribollente e trainante di ira paranoicale». Situazione aggravata dal fatto che continua ad assumere farmaci antidepressivi che accentuano la sua malattia: «Il trattamento psicofarmacolocio che il dottor Geoffroy si è auto prescritto (un antidepressivo che i sanitari del carcere sono riusciti solo a diminuire nelle dosi) non è tale neppure da permettere di ipotizzare un minimo controllo sul disturbo».
Sulla dinamica che lo ha portato all´omicidio i due periti osservano: «È interessante notare che il dottor Geoffroy sembra essersi profondamente identificato con l´aggressore. Sembra aver agito ripetendo lo stesso scenario di aggressione di cui era stato vittima lui stesso nel ?97 quando era stato alcune ore sotto la minaccia di un paziente psicotico che rivendicava da lui il risarcimento per torti pensionistici subiti». Da quell´episodio parte la battaglia per ottenere il riconoscimento della causa di servizio. Di fronte al rifiuto, Geoffroy denuncia l´Asl, l´Inps, i pm e i giudici che non lo hanno ascoltato. E poi ancora i magistrati di cassazione, i membri del Csm, il ministero di Grazia e Giustizia, il presidente del Consiglio, il presidente della Repubblica. Anche i magistrati della procura di Genova, Milano, Brescia, Firenze e Torino finiscono nel suo mirino. Tra Geoffroy («che proviene da una famiglia benestante della medio-alta borghesia, con una importante tradizione militare risalente all´avo ufficiale napoleonico») e il resto del mondo, ormai, è guerra aperta. Lui, però, si ritiene una persona assolutamente sana di mente, tanto che rifiuta di sottoporsi a una perizia psichiatrica. Lui è sano, è il mondo che lo perseguita. In carcere, però, si trova bene. Tutto questo emerge chiaramente nella lettera che Geoffroy scrive allo psichiatra del carcere di Genova e che i due esperti allegano alla perizia «perché delinea con estrema chiarezza il suo pensiero in merito al reato».
«Le scrivo - spiega l´ex psichiatra - perché ritengo di dover immediatamente interrompere il nostro rapporto, oltretutto iniziato solo perché sollecitato, da chi non so, ma certo di cui per nulla sentivo il bisogno. Le mie condizioni psicofisiche, infatti, sono più che buone. Anche se tale buona condizione è relativa all´acquisizione da tempo della terapia che, essendo medico psichiatra, sono perfettamente in grado di gestire. Dormo bene, mi sveglio riposato, dopo pranzo faccio una siesta che spesso supera l´ora, mangio con appetito e più di quanto non facessi in libertà, la tonalità del mio umore è buona e anche stabile, l´iniziativa non mi mancava e non mi manca, i nessi associativi sono più che validi e saldi, il mio pensiero, in quanto a contenuti, seppure orientato a recuperare la mia legittima libertà, mi permette di affrontare discretamente qualunque situazione o argomento, mentre la mia affettività è coerente con i contenuti di pensiero, "s´intona"». Geoffroy si descrive sereno e tranquillo «e non certo - specifica - perché abbia fiducia nella giustizia, ché una tale affermazione da me proferita suonerebbe ben peggio che un paradosso, ma semplicemente perché ho fiducia in me stesso. Certo, come sempre, più di prima. Infatti la mia autostima (che "alcuni" vorrebbero vacillante, tanto che ancora molteplici sono i tentativi da parte di "terzi" di instillare in me sensi di colpa irrealistici e immotivati) in seguito ai fatti dell´otto agosto (l´omicidio, ndr) non ha potuto che accrescersi e rafforzarsi. Sono pentito solo per non avere agito con due anni d´anticipo, poiché già allora ricorrevano tutti gli estremi per farlo legalmente». Riguardo all´omicidio, Geoffroy scrive: «Posso dire che, se per ipotesi, avessi potuto riservare lo stesso trattamento contemporaneamente a dieci, dei cento e più che ancora affollano questa vicenda ripugnante, lo avrei fatto e avrei fatto bene. L´omicidio? Il mio primo atto destinato alla autotutela della mia incolumità e libertà che ha avuto successo». Parlando del suo processo e della detenzione in carcere, annota: «Desiderano altri morti? Altro sangue? Non lo sanno ancora che nessuno è tenuto a subire la violenza di altri, nemmeno io? Cosa vogliono, una strage? Chi delinque a mio danno risponde».