martedì 27 gennaio 2004

la lotta di liberazione delle donne islamiche:
la testimonianza di Emma Bonino

Corriere della Sera 27.1.04
Emma e l’Islam: la mia campagna per la libertà
di GOFFREDO BUCCINI


IL CAIRO - La liberazione a volte è un flashback femminista. «Insomma, due anni fa mi ritrovo in un convegno a Kabul, finalmente senza talebani, e c'erano tutte queste donne islamiche in un teatro delabré che pareva tanto la via Pompeo Magno della mia epoca. Parlavano dal palco e non si sentiva un accidente: microfono guasto. E allora una di loro, col velo e tutto quanto, ha gridato: "Meglio così, il microfono è un simbolo fallico!". Beh, mi sono emozionata e m'è venuto un tale sorriso di tenerezza! Perché anche noi le dicevamo, queste stupidaggini, e ci pareva tanto alternativa una riunione senza ordine del giorno, senza presidenza».
Magari senza microfono. «Appunto». Ritorno al passato. «Sì, questo pezzo della mia vita è così. E d'altra parte ogni viaggio che abbia un senso è anche un viaggio interiore». La casa madre, in questo viaggio interiore di Emma Bonino dentro l'Islam al femminile e sulla sponda Sud, spesso dimenticata, dei diritti umani, sta al Cairo, in una strada di cui lei stessa non ricorda il nome («boh, potrebbe essere El Mazad, El Sewersy, comunque la trova di fronte al Marriott, venga tranquillo»), al quarto piano di un palazzo che guarda il Nilo, sull'isolotto di Zamalek. Alla decima sigaretta e al primo nescafè del mattino l'eurodeputata che s'è fatta sparare e chiudere in galera dai bar budos del mullah Omar, arrestare in nome delle libertà individuali a New York come nella natia Bra (provincia di Cuneo), s'è tuffata nell'umanità dolente in Jugoslavia come in Ruanda e nello Zaire e s'è guadagnata da commissaria europea l'ammirazione di mezzo mondo - alle Canarie le hanno intitolato una strada, per i francesi è «Emma Courage», gli spagnoli la amano più della Carrà - dice infine che «è come da noi negli anni Settanta». Cioè? «Cioè anche qui le donne scardineranno tutto, sono un fattore rivoluzionario. Ho detto mille volte che il femminismo è il ventre molle dell'islamismo». Non sarà un po' forte il parallelo tra fanfaniani antidivorzisti e muftì col Corano nella fondina? «Al contrario. Pensi che un intellettuale musulmano moderato come Gamal Al-Banna mi chiede sempre se gli trovo in inglese una storia della Dc, "di questi cattolici che hanno saputo trasformarsi in un partito sempre più laico"». Ottimista? «Le cose marciano. L'Islam politico è già fallito». E nuvole di democrazia scorrono nel cielo di Emma, fresca trionfatrice della conferenza di Sana'a, dove, davanti al triplo dei delegati attesi alla vigilia, ha costretto un tipo come Amr Moussa all'impensabile: «Sappiamo che dobbiamo cambiare, finora siamo stati incapaci di cogliere i processi in movimento», ha ammesso il segretario della Lega Araba. Nel salotto pieno di luce, davanti a una foto con autografo di Aung San Suu Kyi, la Nobel perseguitata dalla dittatura birmana, la Bonino fa a cazzotti con alcuni nugoli di zanzare del Nilo e sorride dolcemente: «Allora come adesso, non è che le realtà me le invento: ci sono...». E lei le fa esplodere come un detonatore? «Eh, l'immagine del detonatore mi piace, sì». Al Cairo c'è arrivata la prima volta un po’ per caso ad aprile 2000, sulle piste d'una femminista qui molto famosa, Nawal El-Saadawi, processata per apostasia: «Una con cui non siamo d'accordo su molto, lei è comunista, nasserita e antiamericana. Però al processo si difendeva in un modo che m'è piaciuto. L'apostasia comporta automaticamente il divorzio, perché il marito non può restare con una donna non più musulmana. E lei diceva: "Dopo quarant'anni di matrimonio avrei ottime ragioni per divorziare, ma no n perché me l'imponete voi". Ho cominciato a capire che l'Egitto non era amico e moderato come ce lo raccontavano. Poi ho conosciuto Saad Ibrahim, pure lui sotto processo. Aveva infangato l'Egitto, dicevano: in realtà aveva denunciato brogli elettorali. Lui è un vulcano, mi ricorda molto Marco, sì, Marco Pannella. In Italia le elezioni del 2001 ci erano andate malissimo. Ho pensato: quasi quasi resto qua a studiare l'arabo». Ancora sta studiando. Nel frattempo, qualche altra cosetta la fa. Lavora con Mona El-Tobgui, ginecologa, figlia di una ginecologa che trent'anni fa girava villaggio per villaggio battendosi contro l'infibulazione. «La prima volta che l'ho incontrata aveva il velo. Mi ha detto: "Copre la testa, mica ostruisce il cervello". Insieme abbiamo pensato che, villaggio per villaggio, nel 4000 stavamo ancora qua a batterci contro le mutilazioni sulle donne. Com'era per me e la Faccio trent'anni fa davanti a 400mila aborti clandestini l'anno, il problema è politico. Così nasce il p rogetto, con l'Aidos e otto organizzazioni non governative africane e arabe». Una lobby. «Sì, advocacy di donne, per le donne, per cambiare la politica, rompiamo le scatole a governatori, presidenti, vogliamo leggi, facciamo convegni, ci aiutano pure la moglie di Mubarak e la regina di Giordania. Io non credo nell'esportazione della democrazia, ma nel sostegno a quei pochi che si battono per averla, sì. Nawal ha scritto un libricino bellissimo contro l'infibulazione, Fidhous . Sihem Ben Seedrine, tunisina, impegnata in una Ong, l'hanno arrestata per attentato contro l'immagine del suo Paese. Democrazia e diritti delle donne qui vanno insieme. Salwa, la mia insegnante di arabo, mutilata da bambina, mi ha raccontato che quando faceva pipì sua madre la metteva nella tinozza dell'acqua tiepida perché l'urina non le bruciasse sulla ferita. Mi ha detto: "Ci mettevo ore per una pipì". Sono rimasta senza parole». Al ricordo la voce le si fa roca, ma potrebbero essere le sigarette. Apre sul computer il sito del partito radicale, le foto di lei a Sana'a, «con le pinguine», le donne velate che le stanno attorno («c'è chi mi ricorda la Tullia Carrettoni, chi la Maraini, chi me stessa», dice). «La prossima partita è in Arabia Saudita, ha un peso enorme». Al Forum di Gedda, giorni fa, un gruppo di imprenditrici s'è presentato senza velo, chiedendo riforme: «Le donne sono il motore della crescita economica», ha detto la manager Loubna Olayan. «E il gran mufti è andato fuori dalla grazia di Dio», ridacchia la Bonino: «Per adesso il ruolo della comunità internazionale non si vede. Noi siamo troppo soft e gli americani pensano di poter risolvere con la guerra pure i problemi politici». E' improbabile che avrà modo di dire queste cose a Ginevra, come Alto commissario Onu per i diritti umani: il nostro governo non sgomita troppo per sostenere la sua candidatura. «Vede, quando nel '99 presi l'8,5 per cento alle europee, Berlusconi mi chiamò e mi fece: "Se mi autorizza a dire che i suoi voti si sommano ai nostri, possiamo dichiarare la vittoria". Io risposi che mi pareva difficile autorizzare alcunché. Cinque anni prima lui mi aveva indicato come commissario europeo su pressione di Pannella e cinque anni dopo, tornando, io mi sono "rubata" quell'8,5 per cento. Credo che questo reato di lesa maestà non se lo sia scordato. Ma non mi pare un grosso problema. Mi sono appena iscritta a un altro corso di arabo».