martedì 27 gennaio 2004

il dibattito sulla psicoterapia in Francia:
un'intervista al genero di Lacan (!)

La Stampa 27.1.04
Appelli, manifesti, assemblee pubbliche, intellettuali in campo (da Bernard-Henri Lévy, a Philippe Sollers) come usava una volta,
un movimento antiautoritario animato da un déjà-vu sessantottardo che ha rotto il guscio di silenzio dentro cui viaggiava questa riforma
di Cesare Martinetti
corrispondente da PARIGI


ANGOSCIATI e nervosi. Parricidi alla ricerca di un padre. Ostinati regolatori dell’universo. Delusi da una patria che vorrebbero nazione eletta. Marianna è sul lettino dell' analista, ma intanto trangugia psicofarmaci: i francesi ne sono i primi consumatori del mondo. Lo dice il governo che vorrebbe regolare per legge anche l’informe mondo del disagio esistenziale. A psicoterapeuti e psicanalisti si pensa di imporre l'esame di Stato. Dai 14 anni in su i ragazzi dovranno riempire a scuola un questionario sui propri disagi psichici. Come per il velo islamico, la disoccupazione, la prostituzione. Controllare, regolare, approvare una legge. Sorvegliare e punire, diceva un indagatore dell’anima francese come Michel Foucault.
Jacques-Alain Miller è, per così dire, il capo degli psicanalisti francesi che in gran parte sono «lacaniani» e cioè seguaci di quella corrente del freudismo elaborata da Jacques Lacan. Anzi, Miller è genero di Lacan, avendo sposato sua figlia. Lui ha condotto la battaglia della psicanalisi francese contro la nuova legge della sanità che vorrebbe inquadrare e controllare gli psicanalisti. Un emendamento approvato in una di quelle sedute notturne a cui partecipano sparuti gruppi di deputati ha scatenato quello che Libération ha chiamato «una ventata di Maggio ’68 nel gelido inverno raffariniano», (da Raffarin, il primo ministro in carica). L’emendamento puntava a mettere ordine nel creativo universo della «psy» francese accordando solo a medici o psicologi la patente di psicanalisti, previa verifica dallo Stato. Il contrario del lacanismo che è invece fondato sull’autolegittimazione, dopo anni di analisi a cui l’analista (non per forza medico o psicologo) deve sottoporsi prima di diventare tale.
La proposta del governo è stata stoppata. Appelli, manifesti, assemblee pubbliche, intellettuali in campo (Bernard-Henri Lévy, Elisabeth Roudinesco, Philippe Sollers) come usava una volta, un movimento antiautoritario animato da un déjà-vu sessantottardo che ha rotto il guscio di silenzio dentro cui viaggiava questa riforma, ma che sta anche cominciando a riflettere su quest’aria regolatrice che avvolge la Francia. Jacques-Alain Miller ce ne offre una lettura lacaniana.
Professore, cos’è questa vostra psicanalisi?
«Io la chiamo un "cuscino compassionevole", un ascolto alla sofferenza, uno spazio che necessariamente si sviluppa in modo non regolato ma che è indispensabile all’equilibrio sociale. È uno spazio di libertà».
Perché siete contrari alla regolazione di questo spazio?
«Perché se viene violato con le armi del controllo sociale si va a squilibrare la società. La sofferenza esiste indipendentemente dalle decisioni del governo e ha bisogno di essere ascoltata. Il risultato di un controllo dall'alto sarà l'aumento della clandestinità».
Però il governo intendeva dare più sicurezze ai pazienti e combattere gli psicoterapeuti ciarlatani. Non pensa che debba esistere una garanzia per chi si vuole rivolgere a uno psicanalista?
«Infatti noi accettiamo che si costituisca un collegio deontologico, anche inquadrato dalla legge, ma autoregolamentato. Imporre agli psicoterapeuti una formazione universitaria, non risolve il problema. Ci sono medici perversi e psicologi esibizionisti. Quella che conta è la formazione personale sul divano attraverso l’analisi, cosa che nessuna università può garantire. L’analisi è una relazione di fiducia, confidenziale e segreta».
Questa battaglia per la libertà di divano sembra allargarsi. Che cosa vede lei dietro l’offensiva del governo sugli psicanalisti?
«Secondo noi questa faccenda rivela il desiderio dell’amministrazione della salute di cambiare molto profondamente le cose. E cioè si vuol passare dalla tradizione clinica francese del caso per caso ad un approccio statistico ed epidemiologico che propone di governare la società attraverso regolamenti universali dello Stato. È una specie di nuovo totalitarismo della salute».
Addirittura?
«Sì, nel campo della psicoterapia è una tendenza nata curiosamente in Quebec e che si sta diffondendo in Francia e in Europa. Lo sfondo di tutto ciò è che la società del rischio, come è stata chiamata, si rivela essere una società della paura alimentata oggi anche dal terrorismo che esprime un desiderio di sicurezza totale. Per questo si va diffondendo oggi il principio di precauzione che però sta restringendo gli spazi di libertà».
Non è un punto di vista un po’ sessantottino?
«Molti noi vengono dal 68, ma io sono convinto che ci troviamo di fronte a un vero pericolo, uno stato etico, lo stato della regolamentazione illimitata e generale che si serve della paura per imbrigliare il desiderio di libertà».
Mi faccia un altro esempio.
«Il ministero dell’Istruzione ha appena diramato una circolare che prevede di accertare la salute mentale dei ragazzi. A tutti gli allievi della "troisième", che hanno 14 anni, sarà dato da riempire un questionario in cui gli si chiede di quali disturbi mentali soffrono. Questa è follia amministrativa. È "igienismo", l’instaurazione di uno stato burocratico a tendenza totalitaria. Naturalmente dicono che è per il nostro bene, dicono che è per la salute mentale dei giovani e vogliono distribuire questi questionari a tutta la popolazione. È ridicolo».
Eppure in tutta Europa c’è oggi una tendenza politica liberale, le politiche sociali tendono a rompere i vincoli e le sicurezze. Non è contraddittorio con quel che lei dice?
«È paradossale, certo, siamo in un momento storico liberale. Ma l’amministrazione è più forte degli uomini politici. E l’amministrazione è del tutto illiberale, l’igienismo è necessariamente autoritario».
In questa tendenza c’è una specificità francese? Per esempio, si dice che i francesi siano i maggiori consumatori al mondo di psicofarmaci. È vero?
«Sì, è vero. Per molti anni qui da noi ha dilagato l’alcolismo, ora si può pensare che la fiducia negli psicofarmaci abbia rimpiazzato l’alcol. Bisogna credere che esiste un’angoscia francese».
Può definirla?
«Mi piacerebbe trovare una bella formula... forse è il prezzo che i francesi pagano per aver tagliato la testa al re. È un popolo parricida».
Che però è alla continua ricerca di un padre, con un presidente della Repubblica che assomiglia ad un re.
«Sì, un popolo parricida angosciato e che dunque ha bisogno di qualcuno che lo protegga dalle proprie angosce. Un popolo nervoso, con un’attitudine rivoluzionaria, che ha dispiegato straordinarie energie nella Rivoluzione e con Napoleone. Uno Stato che era la più grande potenza d’Europa e persino del mondo con Luigi XIV e che ha fatto di se stesso una nazione eletta, ha voluto essere il suo stesso ideale. E siccome non è realistico... ora vive nell’angoscia».
Anche questa ostinazione contro il velo islamico, questa determinazione nel voler fare una legge che lo proibisca ha a che fare con l’angoscia?
«Dalla caduta del Muro di Berlino e dal crollo del partito comunista che nella società giocava un grande ruolo conservatore, le religioni hanno preso grande forza. E così la vecchia tradizione laica cerca una soluzione per mettere un colpo di freno. Il problema è che questa legge sta già creando una grande confusione prima ancora di essere votata».
Una difesa della propria identità?
«Sì, come il voto a Le Pen che appare un rifugio contro i cambiamenti. La destra francese resta tradizionalista, un liberale liberista e innovatore come Alain Madelin non trova consensi. Una destra antiamericana che vive sulla speranza di poter fermare le accelerazioni della Storia».
E voi lacaniani a che gioco giocate?
«Siamo il nocciolo duro della libertà».