lunedì 2 febbraio 2004

la religione americana/3:
Nathan Englander

Repubblica 2.2.04
Il Dio che c'è in fondo al mio cuore
Intervista allo scrittore
la religione degli americani

Non saprei dire davvero se credo in Dio. Sarei portato a dire no, se non avessi paura della sua reazione
Nella vita come nei libri cerco di rigettare ogni assolutismo religioso So che la vita è più complessa
Fondamentalismo, ecco una parola che somiglia molto ad alcolismo
Della Bibbia ciò che affascina è la capacità di parlare la lingua dell'eternità
di ANTONIO MONDA


NEW YORK. Nathan Englander accetta di parlare del suo rapporto personale con la religione mentre si sta occupando della traduzione in ebraico di Per alleviare insopportabili impulsi. Il misto di amore e ribellione che contraddistingue il suo rapporto con Gerusalemme e la propria cultura, e le controversie suscitate dal libro all´interno della comunità ortodossa lo hanno frenato per ben quattro anni dal tradurre il testo nella lingua dei suoi padri, e ora che ha finalmente deciso, dopo essere tornato a vivere al di là dell´Atlantico, ha impostato il lavoro con la precisione certosina di chi attribuisce alla parola un valore assoluto, religioso.
Lo incontro nel giorno del suo trentaquattresimo compleanno, nel quale ha deciso di tagliarsi i lunghissimi capelli che scendevano al di sotto delle spalle: «Mi sono reso conto di essere più anziano di Cristo», dice mentre ammira sorridendo la foto che lo ritrae sul retro del libro, «e credo che a questa età solo Gesù possa permettersi di portare dei capelli così lunghi». Il tono con cui pronuncia la frase è meno scherzoso di quanto possa apparire e, come nei suoi racconti, l´ironia svela un rapporto intimo e controverso con la religione, che appare lungi dall´essere risolto.
Non mi aspettavo di iniziare questa conversazione cominciando da Cristo.
«Perché, ritiene che sia un patrimonio esclusivo dei cristiani?»
No, tutt´altro. Ma non è esattamente il primo riferimento che ci si aspetta da chi ha scritto un libro come il suo ed è stato educato secondo i dettami più rigidi dell´ortodossia ebraica.
«Posso risponderti che sia nel libro che nella vita ho cercato di rigettare ogni assolutismo religioso, scoprendo che la vita è più varia, più ricca e più misteriosa di quanto potessi immaginare all´interno di quegli insegnamenti. Anche Cristo appartiene a questa scoperta».
Mi sta dicendo che si sta convertendo al cristianesimo?
«No. Solo che cerco di vedere con sguardo sereno tutto quello che mi circonda, compreso le altre religioni. Per quanto riguarda il cattolicesimo ho voluto documentarmi sul Concilio Vaticano II e ne sono rimasto molto colpito, ed ho sempre creduto in una specie di intima coalizione tra ebrei e cristiani. Ma nello stesso tempo so bene, in fondo al mio cuore, che per gli ebrei e forse anche per me stesso rimarrò sempre un ebreo».
Quando visitò la Sinagoga di Roma, il Papa definì gli ebrei i "nostri fratelli maggiori"
«È una definizione che per alcuni versi mi commuove, ma indica anche una divisione. Mi chiedo se non possa essere altrimenti, e mi vengono in mente i dibattiti su Israele della carne e dello spirito».
Come hanno reagito i suoi genitori alla sua decisione di abbandonare l´ortodossia?
«Li ho sentiti vicini, anche se ho capito che per loro deve essere stato un autentico trauma. Come per mia sorella, che tuttora osserva ogni singolo rito con una fede assoluta».
La sua raccolta di racconti è stata accolta ovunque da uno straordinario successo e da molte polemiche da parte delle comunità ortodosse.
«Mi ha felicemente sorpreso il primo dato, ma non il secondo. Le mie storie cercano di immortalare la confusione che provo rispetto degli insegnamenti che ruotano tutti attorno ad un dato religioso e in molti casi anche politico».
Come definirebbe il rapporto che ha attualmente con la religione?
«Quello di una persona che si è spogliata di tutto, ne prova l´eccitazione ma forse non sa come relazionarsi con la propria nudità».
Ma lei crede in Dio?
«Non lo so. Sarei portato a dire di no se non avessi paura di una sua reazione».
Lei è tornato a vivere a Gerusaleme, ma poi ha scelto di nuovo l´America.
«Il motivo è soprattutto politico: in Israele mi sono trovato a constatare quotidianamente che le mie posizioni divengono automaticamente di estrema sinistra. A molti potrà sembrare paradossale, ma qui in America mi sento meno critico nei confronti del paese, e nello stesso tempo provo un maggiore senso di libertà. Sono tornato poco prima dell´undici settembre ed ho imparato ad amare New York proprio in quella occasione: sono estremamente orgoglioso della mia città».
I tragici conflitti in corso affondano le proprie radici nella religione...
«Nel fondamentalismo, che è proprio quello che rifiuto. Ritengo che il fondamentalismo sia come l´alcolismo: un eccesso assolutamente pericoloso. Sono andato via da Israele quando ho visto in Sharon e Arafat lo stesso tipo di atteggiamento autodistruttivo. So bene che potremmo parlare a lungo dell´estremismo che è presente anche in questo paese, del fatto che è assurdo anche linguisticamente parlare di guerra al terrore e agli estremi, ma prima di ogni altra cosa qui in America c´è la religione della libertà. Ed è questo il motivo per cui non riesco ad accettare i riferimenti a Dio di chi è chiamato a governare questo paese».
La sua infanzia è stata segnata da rigorosi insegnamenti spirituali.
«Le dico con serenità che all´epoca ritenevo che quella fosse la fede. Ripetevo meccanicamente per ore le preghiere che ancora oggi conosco a memoria, ma non ne capivo neanche il senso. C´è stato un momento in cui ho capito che per me si trattava solo di un rito».
Legge ancora i testi sacri?
«Sta scherzando? Certo che li leggo. E li considero l´opera più bella mai scritta: chiunque abbia scritto la Bibbia è Dio».
Conosce anche il Nuovo Testamento?
«Non come l´Antico, ma rimango sempre turbato dall´incipit del Vangelo di Giovanni: "In principio era il Verbo. E il Verbo era presso Dio. E il Verbo era Dio"».
Lo dice da scrittore o da uomo di fede?
«A volte mi chiedo se c´è una differenza. Ma se intende dire quanto è rimasto dentro di me del ragazzo educato alle scritture, le dico che quando richiudo la Bibbia la bacio e sto ben attento alla posizione in cui la colloco nella mia libreria».
Cosa c´è che l´affascina particolarmente della Bibbia?
«La sua complessità, e la capacità di parlare nel linguaggio dell´eternità».
Sta lavorando da cinque anni ad un romanzo, ed attribuisce una importanza fondamentale alla parola scritta.
«Ne ho il massimo rispetto. Di fronte alla scrittura ho un approccio intransigente, imprescindibile, assoluto».
Insomma, è finito in un altro tipo di fondamentalismo...
«Accetto la provocazione, ma so di vivere questo atteggiamento con quel minimo di controllo che non mi fa cadere nel fanatismo. Direi che mi comporto come un monaco che è in grado di resistere all´intolleranza con se stesso. E spero di non essere mai come quelle personalità che vedi passare nel giro di poco tempo dalla dipendenza dal sesso a quella della droga, e poi li vedi improvvisamente con lo yarmulke che invocano Dio in Sinagoga».
Mi sa citare uno scrittore religioso che ama particolarmente?
«Sono molti: la prima persona che mi viene in mente è Isaac Singer, per la sua mescolanza di carnalità e spiritualità. Ma trovo una profonda spiritualità in Kafka, e perfino in Gogol. Ieri sera ho passato un´ora al telefono con Donald Antrim a parlare di quanto alcuni scrittori abbiano nascosto un anelito di spiritualità e forse di divinità all´interno di tematiche che sembrano parlare solo della fragilità umana o della corruzione dello spirito».
Luis Buñuel diceva di essere ateo per grazia di Dio.
«Mi sento di condividere, e sono pronto a rubare la battuta.
Ritiene che ci sia una vita dopo la morte?
«È una domanda che mi mette in crisi. Ancora una volta sarei tentato di dire di no, che si tratta di un´illusione e forse anche di una buffonata, ma se mi chiede dove credo che sia in questo momento mio nonno le rispondo: in paradiso».