domenica 29 febbraio 2004

psichiatria darwiniana?

Il Sole 24 ore Domenicale 29.2.04
L'approccio evoluzionistico alle malattie mentali, un antidoto ai dogmatismi del legislatore
La depressione? Curiamola con Darwin
di Gilberto Corbellini


Una persona su quattro sul pianeta viene colpita in qualche momento della vita da un disturbo psichiatrico o neurologico. Le stime dell'Oms dicono che oltre mezzo miliardo di persone soffre di disturbi mentali o neurologici, e prevedono che nel 2020 la depressione sarà la seconda causa di disabilità a livello mondiale (al primo posto ci saranno le malattie cardiovascolari). Gli Stati Uniti valutano in 148 miliardi di dollari all'anno il costo economico dei disturbi neurologici e psichiatrici. Insomma, le malattie mentali sono un'emergenza sanitaria. E forse ne è prova il fatto che sono già argomenti di abuso giornalistico.
Per affrontare l'emergenza "depressione" nei giorni scorsi è stato anche presentato alla Camera un disegno di legge sulle «malattie psichiche». A parte la stima d italiani depressi, che non si capisce su quali basi clinico epidemiologiche sia stata fatta e che induce all'amara considerazione che da popolo di «eroi, poeti e navigatori» ci staremmo riducendo a un popolo di depressi, dalla lettura dei testo e dai commenti di alcuni autorevoli psichiatri sembrerebbe che la psichiatria abbia in pratica raggiunto una comprensione dell'eziopatogenesi e della clinica delle malattie mentali paragonabile a quella delle malattie infettive. Il che non è vero. È quindi auspicabile che si metta bene in chiaro che non si vuole medicalizzare anche ogni forma di difficoltà personale o comportamentale, più o meno clinicamente riconoscibile e spesso del tutto naturale. E che in ogni caso, l'azione medica dovrà mirare a un potenziamento dell'autonomia decisionale delle persone, non a inventare nell'interesse della "collettività" fittizi e pericolosi criteri prescrittivi per un «accertamento sanitario obbligatorio».
Speriamo anche che la psichiatria migliori rapidamente il proprio statuto scientifico, avvalendosi delle tanto attese ricadute della ricerca molecolare e delle tecnologie del brain imaging. Oggi gli psichiatri dispongono di trattamenti farmacologici che danno buoni risultati in una significativa percentuale di casi, ma di fatto mancano di criteri diagnostici validamente fondati. In un fascicolo di «Science» dell'ottobre scorso questa attesa viene analizzata per quanto riguarda ad esempio una possibile radicale revisione dei Dsm (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders), il testo clinico di riferimento mondiale. Finora il suo successo è dipeso dalla scelta di definire le malattie attraverso un elenco di sintomi che consentono di applicare una particolare etichetta diagnostica al paziente quando questi presenta un numero sufficiente dei manifestazioni associate alla malattia. Ovvero dalla decisione presa due decenni fa (Dsm-III) di evitare ogni riferimento a ipotetici meccanismi causali della malattia, che allora non avrebbe trovato d'accordo due psichiatri. Una parte degli psichiatri statunitensi ritiene sia venuto il momento di introdurre criteri genetici, neuro biologici, comportamentali e terapeutici per migliorare l'efficacia diagnostica.
Dato il contesto, il libro di McGuire e Troisi disponibile in edizione italiana a cinque anni dalla pubblicazione di quella inglese, si propone come una della novità e degli stimoli culturali più importanti per la psichiatria da diversi decenni a questa parte. Non è un testo facile. Ma è ben scritto e argomentato, nonché straordinariamente ricco e originale a livello teorico. Con spunti interessanti anche sul piano clinico. Se una critica viene da muovergli, a scopo dialettico, è che risulta un po' troppo condizionato da un'impostazione etologica. Se questo da una parte lo salva dalle banalizzazioni di certa psicologia evoluzionistica e di certi ideologismi riduzionistici, dall'altra riduce la capacità di cogliere negli sviluppi di alcuni approcci neuroscientifici delle importanti corrispondenze con la fenomenologia comportamentale colta all'interno della cornice darwiniana.
Gli autori propongono una complesso quadro teorico che pone attenzione ai meccanismi psicologici, all'analisi funzionale, alle emozioni e al ruolo della comunicazione e del riconoscimento. Quadro puristicamente ricco e in grado di fornire spiegazioni plausibili dei disturbi mentali a livelli multipli e complementari. I modelli di comportamento normale e anormale vengono elaborati a partire da concetti presi non solo dalla teoria draconiana dell'evoluzione ma anche dall'etologia cognitiva e dalle scienze della comunicazione. Per mostrare come l'approccio evoluzionistico fornisca le basi per comprendere il comportamento quotidiano e molti aspetti dei disturbi mentali.
La grande utilità di un approccio darwiniano alla malattia mentale sta nel richiamare l'attenzione degli psichiatri sulla variabilità individuale dei tratti comportamentali, non solo quelli normali ma anche quelli cosiddetti patologici. Ovvero a metterli in guardia circa il fatto che l'unico criterio valido per distinguere trai salute e malattia mentale implica una valutazione della funzionalità di una particolare strategia comportarnentale rispetto a un contesto. Nel giudicare le capacità funzionali non si può quindi non tener conto dell'ambiente in cui l'individuo vive. Sofferenza, devianza dalla norma statistica e lesione fisica sono correlati frequenti delle malattie mentali ma, in assenza di conseguenze "disfunzionali", nessuno di questi criteri è sufficiente per considerare una condizione psicologica o comportamentale come una malattia psichiatrica.
Una corretta applicazione dell'evoluzionismo in psichiatria, come in ogni altro settore della medicina, non porta alla conclusione che l'intervento terapeutico deve limitarsi alle condizioni che mettono a rischio l'adattamento biologico. Lo scopo principale della medicina è alleviare le sofferenze individuali. Ma per riuscire bene in questo obiettivo, bisogna avere ben presente come le pressioni selettive che hanno agito nel corso della filogenesi hanno plasmato la nostra fisiologia organica dal livello biochimico a quello comportamentale. Ansia, depressione, disturbi della personalità non sono entità cliniche associabili a cause immediate specifiche, né sono tratti necessariamente svantaggiosi in quanto hanno verosimilmente anche delle cause remote (evolutive). Ne consegue che si possono anche fare dei danni se si pretende di definire un disturbo mentale credendo di disporre di una legge patologica per discriminare tra una terapia giusta e una sbagliata. in tal senso, sarebbe auspicabile che gli psichiatri e gli psicologi familiarizzassero con il pensiero darwiniano, che suggerisce cautela e pragmatismo nella scelta delle strategie terapeutiche. Ma soprattutto rilancia su basi concettuali nuove e del tutto plausibili la riflessione teorica, e quindi anche la ricerca psichiatrica.

Michael T. McGuire e Alfonso Troisi, «Psichiatria darwiniana», Giovanni Fioriti Editore, Roma 2003, pagg. 424, euro 32,00