domenica 29 febbraio 2004

vendette

La Stampa Tuttolibri 28.2.04
MILLENNI DI FAIDE PIU’ O MENO FAMOSE, DA ACHILLE ALLE DEE OFFESE DI OVIDIO, DA MEDEA A BUSH CHE SI SENTE AGAMENNONE, SINO AI FILM DI TARANTINO
di Bruno Ventavoli


PER qualcuno è un piatto freddo. Per altri un diluvio di torride efferatezze. Per Antonio Fichera la straordinaria occasione di spulciare la più antica e tenace delle passioni umane. Architetto di formazione, con eroica pazienza, ha compilato una "Breve storia della vendetta" (Castelvecchi, pp. 360, euro 18) che attinge al mito, alla letteratura, al cinema. Un libro sorprendente e gustoso, dove millenni di faide, più o meno famose, si intrecciano con un imponente apparato di suggerimenti bibliografici per costruirsi infiniti percorsi paralleli nel labirinto della furia umana. All'inizio dei tempi, in Egitto, c'era il giusto Osiris, dio della natura. Il fratello malvagio Seth lo uccise con l'inganno e disseminò il corpo smembrato in 14 luoghi lontani. Isis, moglie fedele, riuscì a ricomporre il marito e, infondendogli un non meglio definito soffio vitale, generò Horus. Il piccolo ebbe naturalmente un'infanzia difficile, ricercato dai nemici. Ma l’odio dei cattivi lo corroborò, crebbe forte, intelligente, giusto, con lo scopo di vendicare il torto subito dai genitori. Naturalmente ci riuscì. Prima evirò l'odiato avversario, poi infierì. E divenne il primo faraone d'Egitto, legittimando il suo regno con la sacrosanta vendetta.
Dopo la macabra impresa dell'egizio il catalogo è infinito. Achille offeso che cerca risarcimento per la schiava Briseide, il sovrano delle Mille e una notte che uccide le donne per dimenticare il tradimento della prima moglie finché non si lascia sedurre dai racconti di Sharazad, lo sdegno di Rosemunda costretta a brindare col teschio del padre. Vendette che servono a costruire imperi, come quello dei romani, che infierivano sui vinti consci che nulla è più dolce del supplizio inflitto a quelli che temevi. Vendette giustificate con le leggi di Dio, dai taglioni biblici a quelli islamici a quelli del Kanun albanese. Vendette disciplinate degli orientali, dagli eroi del Mahabarata ai samurai del Giappone. Le vendette cruente e disperate della mitologia nordica, quelle terragne del Decamerone, quelle intricate delle corti rinascimentali, quelle spietate dei papi contro i papi o contro gli eretici attraverso l'Inquisizione, quelle degli artisti contro i maestri, le accademie, i rivali. Vendette di dei, guerrieri, borghesi piccoli piccoli, incompresi, emarginati, sfortunati, scienziati pazzi, segretarie, poliziotti, deputati, dandy, madri, cavalieri, innamorati. Ripicche, punizioni, nemesi, rappresaglie, ritorsioni, beffe, duelli, massacri. Dall'alba dell'umanità l’arte della vendetta si è tramandata di padre in figlio come la ricetta del pane. In un’eterna, vana, lotta tra la perseveranza della memoria e la levità dell’oblio. La vendetta ha molte anime, molti scopi, molte giustificazioni. Ed è anche molto femmina. Gli esseri soprannaturali più furiosi e vendicativi erano, non a caso, le Erinni. Ovidio, con le sue Metamorfosi, ci ricorda che 13 delle 16 vendette più celebri dell’Olimpo furono compiute da dee offese. Senza dimenticare personaggi come Fedra, Ecuba, Medea, che per determinazione, crudeltà, freddezza, farebbero impallidire qualsiasi Charles Bronson Giustiziere della notte. Oltre che regalare piacere, pace, soddisfazione, la vendetta è anche bella. Per questo l'arte pullula di vendicatori. Dall'Odissea a Zorro, dai corsari di Salgari a Nicole Kidman in Dogville, dai vampiri ai fantasmi, dai maledetti del noir all’opera lirica, dai manga al western. Senza offese, senza eroi bramosi di soddisfazione, la letteratura sarebbe più povera. A dimostrare che tutti sono un po' rancorosi e vendicativi nonostante le apparenze, c'è l'illuminato Voltaire. Scrisse il trattato sulla tolleranza, ma aveva un caratteraccio tutt'altro che votato al perdono. Spesso si prendeva soddisfazioni con chi l'aveva offeso o avversato. e quando nel Dizionario filosofico scrisse la voce ebrei sparse veleno, non dimenticando che un farabutto banchiere giudeo l'aveva truffato. Anche la storia della politica, delle idee, ha un fondamento livoroso. E, per gli appassionati dietrologi, c'è un fertile filone di studi sui rivolgimenti sociali nutriti di spirito di rivalsa. Forse non dispiacerà al nostro presidente del Consiglio scoprire che uno dei più vendicativi rivoluzionari della storia fu Lenin. Da giovincello, gli uccisero un fratello cospiratore. Lui, furibondo, urlò "Me la pagheranno". Chi? chiesero gli amici. "Vedrete, vedrete, me la pagheranno". La promessa fu mantenuta. Ancora più sordido pare fosse il barbuto Marx, c'è chi sostiene che il suo comunismo fosse una folle, ambiziosa vendetta, addirittura contro Dio. La vendetta è certamente una forma primordiale di giustizia, un’azione giusta e necessaria per ristabilire un equilibrio perduto, un onore offeso, una pace sociale infranta. Nei codici antichi, nella cavalleria feudale, nelle regole dei samurai, nei sistemi giuridici delle società tribali, è una vera e propria forma di giurisprudenza. E secondo l’autore costituisce addirittura - forse con qualche eccessiva leggerezza ermeneutica - un modello per la legalità moderna. Poi la ribellione contro un’ingiustizia, che ha carattere personale, viene superata nella modernità dalla legge impersonale, amministrata dallo Stato, che diventa il garante della giustizia e il pompiere, quando può, dei nefasti furori individuali. Naturalmente il bisogno primordiale di ripicca non è stato annullato. È semplicemente passato altrove. Ha trovato una casa accogliente nell’arte, nella pittura, nella letteratura, soprattutto nel cinema, come motore di storie e di passioni. Diventando, paradossalmente, un nuovo modello di riferimento e di comportamento individuale. La furia di Brunilde è fascinosa. Le stragi trasversali della mafia molto meno. Nell’arte, come pensava Aristotele, la vendetta purifica lo spettatore. Nella realtà suscita piuttosto orrore, dolore. La “vendetta”, pur avendo accompagnato la storia dell’uomo, e pur possedendo un indubbia energia narrativa, è sicuramente un sentimento nefasto che la modernità ha cercato giustamente di estirpare. Pensavamo di avercela fatta. Credevamo che la lucidità di Kant e l’illusione di una pace perpetua fossero a portata di mano. Ma non è così. Lo spirito di vendetta primordiale è ritornato, travestito, nella modernità. Parole come giusta punizione, rappresaglia, ritorsione, sono di nuovo legittimate. Nell’amministrazione della giustizia, nelle private vendette personali della giungla metropolitana, nel codice di comportamento degli Stati, sembrano tornate le Erinni. Bush si sente come un Agamennone offeso, e rivendica il diritto alla guerra preventiva. Verso i terroristi che hanno commesso crimini orribili si giustifica la sospensione dei diritti umani. E così via, il mondo moderno, somiglia spesso a un noioso clone di Kill Bill, il film di Tarantino con Uma Thurman spietata vendicatrice. Leggere la Breve storia della vendetta è affascinante e mostruoso. L’arte ci consegna la memoria di una estenuante mattanza. Ognuno con le proprie motivazioni, più o meno giuste, ha sparso sangue. Ma è proprio così bello dare libero corso al rancore? Non possiamo davvero liberarci dal «piacere dell’odio» come sosteneva il brillante William Hazlitt a fine ‘700? Molti hanno predicato che la forma di vendetta più raffinata è il perdono. Non alzare la spada e offrire l’altra guancia può essere più bello che squartare il nemico, come nell’ultimo film di Olmi, Cantando dietro i paraventi. E così, nella vita dell’umanità e nella letteratura germinano numerose anche le storie di faide che raggiungono il culmine nella conciliazione. Se questi messaggini di fede e speranza possono aver perso fascino nella modernità muscolare e virilista, non bisogna dimenticare un dettaglio, molto pragmatico. Vendicarsi è sublime, ma anche faticosissimo. Per ottenere soddisfazione occorrono tempi lunghissimi, energie immense. Chissà se i grandi vendicatori del mito e della letteratura, una volta raggiunto l’obiettivo, si sono compiaciuti. Chissà? Forse nel silenzio della propria solitudine, al cospetto dell’eterno ritorno della violenza, hanno modestamente pensato che non ne valeva la pena. Il perdono sarebbe stato più semplice, più veloce, più gioioso. La vita è così breve per sprecarla con la determinazione di vendetta.