mercoledì 31 marzo 2004

gulag

Corriere della Sera 31.3.04
ANTEPRIMA
Il saggio della Applebaum su origini e storia dei lager sovietici
Nuovi documenti e immagini sull’arcipelago del Terrore Stalin lo ereditò e ingrandì, portandolo al limite estremo


Quanti erano i gironi dell’inferno sovietico? Molti, e descritti da Solgenitsin. Dal primo all’ultimo cerchio, una discesa senza ritorno. Ma forse dovremo rivedere quel giudizio: secondo Anne Applebaum, gironi e cerchi erano molto più numerosi, e l’arcipelago dei gulag molto più esteso. Nel suo monumentale studio sui lager sovietici che oggi esce anche in Italia, la studiosa americana, commentatrice del Washington Post , espone una teoria davvero impressionante: l’intera Unione Sovietica si poteva considerare un solo, sterminato gulag che abbracciava due continenti. Chi stava dietro ai fili spinati e chi era formalmente in libertà condivideva in realtà l’appartenenza all’identico sistema carcerario, con una semplice differenza di gradazione. Il gulag vero e proprio, invece, era una «espressione quintessenziale» del sistema, non una sua «deviazione», né un’espressione degenerata.
L’imponente volume della Applebaum, che si può considerare il più documentato sull’argomento, non ha l’ambizione di modificare l’immagine ormai consolidata sui campi di sterminio comunisti, né di entrare nella discussione riguardo al numero complessivo delle vittime (ottanta o duecento milioni dal 1918 ad oggi nel mondo secondo Il libro nero : ma chi può contare le lapidi dalla Cina all’Etiopia?). Piuttosto, la Applebaum traduce la sua enorme ricerca documentaria in una serie di ritratti: descrive il clima che si respirava nei campi, le manifestazioni pratiche del terrore, le tecniche repressive, gli arresti e gli imprigionamenti, il lavoro quotidiano, le punizioni e le malattie, fino alla liquidazione finale.
Ma anche attardandosi a descrivere un panorama così vario, l’autrice si concede alcuni giudizi complessivi. Anzitutto attribuendo la paternità dei campi di lavoro e sterminio non a Stalin, ma allo stesso Lenin, e in fin dei conti alla rivoluzione bolscevica, dal momento che fu Gorbaciov a chiudere gli ultimi gulag. Stalin resta il peggiore, ma l’idea di concentrare i dissidenti in lager apparteneva già a Lenin: la conseguenza, secondo la Applebaum, fu una specie di mondo a parte. Il gulag, dunque, non fu solo il culmine del bolscevismo ma anche qualcosa di diverso: col tempo generò una specie di mondo a parte, una «civiltà separata» con le sue leggi, usanze, morale e persino gergo e letteratura differenti da quelli «normali». Lo scopo primario non era uccidere, ma far lavorare i prigionieri: i massacri furono, per così dire, un sottoprodotto involontario.
Questo rende i gulag meno terribili dei lager nazisti? «Diversi, ma non meno terribili», risponde l’autrice. Ma alcune delle sue domande rimangono senza risposte. Quando si avrà il coraggio, nei paesi post comunisti, di istituire commissioni d’inchiesta per punire i responsabili dei crimini? E quando arriverà un altro Spielberg, un regista capace di tradurre il genocidio sovietico in film memorabili?

Il libro di Anne Applebaum, «Gulag», editore Mondadori, pagine 607, 25 euro