giovedì 11 marzo 2004

Marco Bellocchio e il suo nuovo Rigoletto /2

Repubblica 11.3.04
Il regista cinematografico debutta nella lirica mettendo in scena l'opera verdiana al teatro di Piacenza, la sua città. La "prima" il 19 marzo
"Il mio Rigoletto tra i vitelloni anni 50"

l'ambientazione Provocazione? No, sposto i personaggi nei miei ricordi
l'opera è perfetta, equilibrata, il mio orecchio si è formato lì
di NATALIA ASPESI


PIACENZA - Prima o poi i registi cinematografici arrivano all´opera, e l´evento diventa una specie di medaglia solenne nella loro carriera, una sfida, un gioco, una pausa per riflettere sul loro mestiere. Tocca adesso a Marco Bellocchio che per la prima volta affronta l´adorato Verdi per le celebrazioni del bicentenario del bel teatro municipale della sua città, dove è nato 64 anni fa e ha vissuto sino ai 15 anni. «Verdi per forza, qui, si sa, sono tutti verdiani e io stesso non potrei avventurarmi nella musica di altri compositori. Nel mio documentario "Addio del passato" c´era qualche battuta su questa nostra passione, sul contrasto molto giocoso tra Piacenza e Parma per impossessarsi del Maestro, e qui gli si attribuisce una sostanziale piacentinità, per quel suo carattere chiuso, riservato, parsimonioso». Il Rigoletto l´ha scelto lui, «perchè è un´opera perfetta, equilibrata, anche breve, e l´italiano di Piave può far ridere ma non è insopportabile. Poi il mio orecchio musicale si è formato, dopo gli inni in chiesa, su "Caro nome", su "Tutte le feste al tempio", che mia madre canticchiava leggera». All´opera non lo portavano, «perché noi eravamo una famiglia di benessere recente, mio padre era avvocato ma veniva dalla campagna, non avevamo insomma il palco come le famiglie aristocratiche o antiche. Però l´opera la seguivo al cinema, c´era sempre nei primi anni ?50 un film su Verdi, o su Puccini».
Ha diretto, in teatro, spettacoli che definisce «medi, non mediocri», un "Simone d´Atene" con Salvo Randone, un "Macbeth" con Michele Placido, ma questa è la sua prima opera. «E´ un lavoro che mi ha consentito di riprendere i fili con la mia città, dove non sarei mai tornato solo per passeggiare sul corso o sedermi in un bar. Ed è una esperienza nuova, una rinascita. Qui le competenze sono doppie, del direttore d´orchestra e del regista, anche se forse il regista alla fine ha più responsabilità. Certo è molto diverso che col cinema: per un film riesco a strappare dieci settimane di lavorazione, qui le tre stabilite mi sembravano assurdamente brevi, ma mi ci sto adattando. Mi è difficile mettermi nei panni dello spettatore, decidere a quale distanza creare la scena, mi mancano molto i primi piani. Temevo anche di non riuscire a superare la gestualità convenzionale dei cantanti, e invece ci stiamo riuscendo, sino a un certo punto».
Però i cantanti sono giovani e belli (Alberto Gazale, Rigoletto, Gladys Rossi, Gilda, David Miller, il duca di Mantova) e anche il direttore, Gunter Neuholt, è giovane e disponibile. Non ha fiatato per esempio su un Rigoletto ambientato negli anni ?50, con un Duca di Mantova elegante come Amedeo Nazzari e una Gilda immaginata come una commessina alla Brunella Bovo. Dentro a un grande albergo di stile mussoliniano, ci sarà una gran festa di Carnevale alla Fellini, si ballerà il valzer. Ci sarà anche un lieve riferimento a "L´ora di religione" con la presenza di una Madonna simile a quella che i frati di San Sisto vendettero al re di Polonia. «Non è una bizzarria né una provocazione, ho ricordi adolescenti di una Piacenza molto provinciale e chiusa, con vari tipi di vitelloni appostati in diversi bar. Io ci passavo davanti e sentivo i loro discorsi, parlavano di conquiste femminili e di verginità, allora fondamentale virtù delle donne e roccaforte da espugnare. C´era sempre il più ricco e il più bello, e quello che per entrare nel gruppo si faceva servo, buffone».
C´erano quindi le Gilde e i duchi di Mantova e i Rigoletti, in quella Piacenza del dopoguerra come nell´opera ambientata nel XVI secolo. «Ricordo le due fazioni contrapposte, i bianchi e i rossi, i cattolici e i comunisti. Riempivano le piazze, si scontravano, mio fratello Piergiorgio, più grande di me, nel ?48 andava con i ragazzi dell´Azione cattolica ad attaccare manifesti, a prelevare le suore di clausura per portarle a votare. Mio padre era stato un fascista molto riservato, mia madre era molto religiosa, mia nonna era terrorizzata dai comunisti e quando vinsero i democristiani pianse di felicità. Nelle scuole arrivavano preti e frati a incitare a un´eventuale guerra civile se mai il Pci avesse vinto le elezioni. Io studiavo dai barnabiti e ci spaventavano a morte: forse per quello, anni dopo e per pochi mesi, mi iscrissi all´Unione dei comunisti marxisti leninisti».
Il Rigoletto andrà in scena per tre sere, il 19, 21 e 23 marzo, poi Bellocchio tornerà a casa, a Roma, a rioccuparsi di cinema. Intanto, il suo ultimo film, il Leone d´Oro mancato alla Mostra di Venezia, "Buongiorno notte", sta avendo molto successo in Francia e andrà anche negli Stati Uniti. «Ormai sono passati mesi, ma allora mi era spiaciuto davvero molto. È chiaro che un riconoscimento ufficiale gli avrebbe facilitato la strada. Poi è andato bene. Alla fine sarà anche un´operazione commerciale positiva, pagheremo tutti i debiti. Mi fa piacere il riconoscimento che i francesi danno non solo al mio film ma anche a quelli di Giordana e di Bertolucci, per aver saputo affrontare in modo nuovo i nostri anni difficili, mentre loro ancora non l´hanno fatto». In un prossimo film tornerà «sulla dimensione rivoluzionaria, con radici cattoliche, della politica, non sul terrorismo. Anche sul presente voglio fare un film, su quel disastro che è Berlusconi, su cosa è la sinistra oggi». Intanto ha già il titolo del prossimo copione "Il regista dei matrimoni", storia di un regista importante che dovrebbe girare una reinterpretazione dei "Promessi sposi", ma non ce la fa e scappa in un paesino del sud: dove incontra un vero regista di matrimoni, quelli che filmano gli sposi a pagamento. Un ricco signore chiede al regista importante lo stesso servizio e lui lo farà riuscendo a mandare a monte le nozze previste e facendo fuggire Lucia Mondella con don Rodrigo. Autobiografico? «In parte sì, ma sarà una storia grottesca, simbolica, sul momento di angoscia in cui si decide di sposarsi senza necessità, solo per rientrare nell´ordine».