Correre della Sera 11.3.04
Bellocchio, dopo il caso Moro un Rigoletto storico-politico
Il regista debutta nella lirica con l’opera di Verdi: «Sullo sfondo le tensioni a Piacenza negli anni ’50»
di Giuseppina Manin
La prima Gilda che ricorda aveva le fattezze di sua madre. «Lei amava l’opera, ci andava spesso. Poi a casa accennava le arie... Tutte le feste al tempio , Caro nome , erano le sue preferite». Forse l’amore per il melodramma di Marco Bellocchio è nato lì, in quei momenti di tenerezza domestica. Certo non occorre scomodare Freud per capire perché il celebre regista ha scelto, per il suo debutto lirico, proprio Rigoletto. «E’ l’opera della mia fanciullezza, una storia a forti tinte, una musica trascinante. L’impatto emotivo era inevitabile», spiega lui in una pausa delle prove a Piacenza, la sua città, dove, al Teatro Municipale, lo spettacolo andrà in scena il 19 marzo (repliche il 21 e il 23) con l’Orchestra della Fondazione Toscanini diretta da Gunter Neuhold. Nel cast Alberto Gazale (Rigoletto), Gladys Rossi (Gilda), David Miller (il Duca), Riccardo Zanellato (Sparafucile). «Rigoletto - prosegue Bellocchio - non mi ricordava solo la mia educazione lirica ma anche la mia Piacenza d’allora, anni Cinquanta. Una città molto provinciale, molto isolata, molto chiusa. Avvolta nei nebbioni della bassa e in un clima politico molto teso. Era il momento delle grandi lotte tra comunisti e democristiani. La paura serpeggiava tra i possidenti del posto, terrorizzati di perdere tutto. I "rossi", assicuravano, avrebbero espropriato le terre, portato via le case, sottratto i bambini alle famiglie, obbligato i credenti a rinunciare alla fede...»
Uno scenario a fosche tinte che ora Bellocchio fa rivivere come sfondo per l’opera verdiana, ambientata proprio in quegli anni piacentini. Dopo l’Italia del caso Moro raccontata nell’applauditissimo Buongiorno notte , un’altra personalissima esplorazione nella nostra storia del Novecento.
«Sfogliando il libretto, quelle atmosfere, quelle angosce inculcate allora, mi sono tornate davanti. Le ingiustizie e la protervia di quei ricchi padani nei confronti di una classe di piccoli borghesi, impiegatucci, artigiani, non sono troppo lontane dal dramma di un poveraccio, buffone per divertire i potenti e sbarcare il lunario, la cui unica figlia viene sedotta e poi ammazzata per il piacere crudele di quegli stessi potenti su cui lui credeva di trovar appoggio. Un dramma dell’800 credibile anche in quegli anni. Gettare un ponte tra la Piacenza della mia infanzia e quel mondo a forti tinte verdiano, per me è stato naturale».
Così il Duca di Mantova qui somiglierà, svela il regista, a «un Vitellone di Fellini, bello e arrogante» e la festa mascherata del primo atto, anziché in una corte secentesca, si svolgerà «in uno di quegli alberghi di finto lusso anni ’50, tutto lampadarioni, marmi, vetri colorati». E a rendere più evidenti le allusioni, una tv potrebbe rimandare immagini in bianco e nero dell’epoca. Ma su questo Bellocchio non ha ancora deciso. Come ancora non è certo, ma probabile sì, un altro Rigoletto per il cinema. Con Muti come direttore.
Di certo, ancora una volta la musica di Verdi lo riporta alle sue radici. Dopo Addio al passato , il filmato sulla Traviata trasformato in omaggio alla sua città, adesso è Rigoletto a spingerlo di nuovo verso la piacentinità, categoria dello spirito con cui continua a fare i conti dai tempi de I pugni in tasca , il suo primo film. «La lirica compariva già lì - ricorda -. Lou Castel moriva cantando Sempre libera . Ne La Cina è vicina invece Glauco Mauri intonava Dormirò so l nel manto da Don Carlos ». Arie che Bellocchio conosce benissimo. «Da ragazzo avevo una discreta voce tenorile. Poi invece, con la crescita, la voce è cambiata. Le porte del canto mi si sono chiuse e anche quelle della recitazione. A quel punto non mi restava che fare il regista».
LA CARRIERA
il personaggio
REGISTA Studi filosofici
Marco Bellocchio è nato a Piacenza il 9 novembre 1939. Studia Filosofia a Milano e nel 1959 si trasferisce a Roma per frequentare il Centro sperimentale di cinematografia. Studia cinema anche a Londra
LA FILMOGRAFIA
Dal 1965 a oggi
Nel 1965 il suo esordio con I pugni in tasca . Poi arrivano, tra gli altri, La Cina è vicina (1967), Nel nome del padre (1972), Diavolo in corpo (1986), La balia (1999), L’ora di religione (2002). Il suo ultimo film è stato Buongiorno, notte sul caso Moro
«SEGNALAZIONI» è il titolo della testata indipendente di Fulvio Iannaco che - registrata già nel 2001 - ha ormai compiuto il diciottesimo anno della propria continua ricerca e resistenza.
Dal 2007 - poi - alla sua caratteristica originaria di libera espressione del proprio ideatore, «Segnalazioni» ha unito la propria adesione alla «Associazione Amore e Psiche» - della quale fu fra i primissimi fondatori - nella prospettiva storica della realizzazione della «Fondazione Massimo Fagioli»