Corriere della Sera
Un saggio di Barbour affronta il nodo della fisica moderna: coniugare la teoria della relatività con quella quantistica
Il tempo: somma di istanti che accadono in mondi paralleli
di EDOARDO BONCINELLI
«Sono convinto che il tempo non esista affatto e che il moto sia una pura illusione». Questa la singolare affermazione che si può incontrare all'inizio del libro di Julian Barbour "La fine del tempo". Su pochi temi si è detto e scritto tanto quanto sul tempo e pochi temi si presentano altrettanto sfuggenti. Sappiamo misurare il tempo con la precisione di miliardesimi di secondo, con orologi che perdono o guadagnano meno di un secondo ogni dieci milioni di anni, ma non sapremmo dire che cos'è il tempo, né, soprattutto, perché scorra, inesorabilmente, in una sola determinata direzione. La vera natura del tempo - lineare o circolare, contenitore vuoto o incarnazione della successione degli eventi, schermo inerte o nastro trasportatore - è stata da sempre oggetto di innumerevoli riflessioni. E la nostra epoca non è stata da meno: a tutte le indagini di natura essenzialmente filosofica del passato si sono aggiunte infatti quelle basate sulle recenti acquisizioni delle scienze fisiche. Le grandi rivoluzioni concettuali della fisica del XX secolo, la relatività di Einstein e la meccanica quantistica offrono in realtà due visioni piuttosto diverse e inconciliabili della natura del tempo e del suo scorrere. La relatività cementa il tempo e lo spazio in un unico blocco e offre la visione di un «tempo bloccato» dove la distinzione fra passato, presente e futuro «è solo un'illusione, per quanto dura a morire», come Einstein stesso ebbe a scrivere alla vedova di un caro amico; mentre il grande matematico Hermann Weyl andava dal canto suo affermando che: «Il mondo non accade, ma semplicemente è».
Nella visione della fisica quantistica, invece, ogni osservazione introduce un elemento d'irreversibilità nello stato del mondo, almeno quello microscopico, così che il procedere del tempo, ben lungi dall'essere bloccato o reversibile, assume l'aspetto di una continua serie di «scelte» e di biforcazioni, per definizione irreversibili. Il tempo scorre irreversibilmente quindi e il futuro è aperto.
È noto che ciò che i fisici di tutto il mondo sognano è una nuova grande teoria che possa comprendere tanto la relatività quanto la meccanica quantistica. Questo è appunto quanto si ripropone di fare il nostro autore, avanzando una nuova, sincretica visione del tempo: il tempo sarebbe allo stesso tempo congelato e aperto. Secondo questa visione, da lui chiamata interpretazione atemporale dei molti istanti, ci sarebbero un numero infinito di universi leggermente diversi l'uno dall'altro e a ogni evento si passerebbe da un universo a un altro. L'evoluzione nel tempo, insomma, non è un film ma un insieme di fotogrammi fissi e ciascuno di questi appartiene a un universo differente. «Il nostro passato è semplicemente in un altro mondo - dice Barbour e - ogni Adesso di cui facciamo esperienza è nuovo e distinto». In questa visione delle cose «i gatti non saltano. Esistono e basta»; e ancora: «L'istante non è nel tempo: è il tempo a essere nell'istante».
Non si può negare che l'autore abbia del coraggio e che non cosparga il suo libro, in effetti un'appassionata esposizione della sua visione, di belle frasi, come quando inneggia all'«atto sempre inaugurale dell'esistere» o quando afferma «anche se non siamo tanto saggi da rendercene conto, siamo già in paradiso». Sorprendente casomai il fatto che voglia appoggiare tutto questo alla fisica, e per giunta a quella più aggiornata. Certo, il prezzo pagato per l'esorcizzazione dello scorrere del tempo è piuttosto alto: non c'è un mondo ma un pulviscolo di mondi; il mio domani non è qui, ma in un altro mondo e in un altro mondo ancora ero ieri. Riuscirà a persuaderci? Può darsi, ma ci vorrà del tempo...
Per parte mia, di ben diverso calibro e stile trovo la riflessione del grande fisico Erwin Schrödinger sul destino del nostro io, quella «trama» personale che ci accompagna attraverso tutte le vicende della nostra vita. Per lui questa trama è intrinsecamente imperitura. «In nessun caso vi è una perdita di esistenza personale da deplorare. Né mai vi sarà».
Il libro: Julian Barbour, «La fine del tempo», Einaudi, pagine 354, 23
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