La Stampa Tuttolibri 10.4.04
Così davvero parlò Zarathustra, profeta di pace e tolleranza
La prima edizione italiana integrale dell’«Avesta», inni e preghiere di una religione in cui la rivelazione non è un dono divino ma una conquista del pensiero umano
di Anacleto Verrecchia
ANCHE l’Italia, finalmente, ha un’edizione dell’Avesta, il libro sacro dell’antichissima religione annunciata dal profeta Zarathustra! L’intero corpus avestico che ci rimane è qui tradotto per la prima volta integralmente in italiano. Il tutto si deve al bravissimo Arnaldo Alberti, un privato studioso che non ama il proscenio e per questo merita un doppio applauso. La figura di Zarathustra, come spesso accade con i fondatori di grandi religioni, è avvolta nel mito. Lo hanno definito il primo saggio dell’umanità, ma nessuno saprebbe precisare l’epoca della sua esistenza. Per i greci, che ne mutuarono gli insegnamenti, Zoroastro, come essi lo chiamarono, sarebbe vissuto seimila anni prima di Platone. Si tratta, evidentemente, di una datazione fantastica. Tuttavia, sull’onda del mito, si è quasi tentati di dire, all’ottava alta e in forma poetica, così: quando il sole non aveva ancora squarciato le tenebre che ricoprivano le nostre lande, sull’altopiano iranico risuonava solenne la parola del magnanimo Zarathustra. Ex oriente lux! Bisogna averlo percorso, quell’altopiano, per sapere quanto esso parli una lingua antica. Per secoli l’Avesta, come del resto il Rigveda e altri testi dell’alta sapienza orientale, fu tramandato oralmente. Si presume che una prima stesura sia stata fatta nel X secolo avanti Cristo. In seguito e fino alle soglie dell’era islamica, il nucleo originario, ossia l’Avesta antico, si accrebbe di nuovi inni e di nuove disposizioni liturgiche, che costituiscono l’Avesta più recente. Di tutto quell’insieme, a noi è giunto appena un quarto o un quinto, che si suddivide in sezioni: Yasna (ufficio divino) è un libro fondamentalmente liturgico e contiene le Gatha, inni sacri attribuiti allo stesso Zarathustra. Seguono il Khordah Avesta (libro di preghiere), il Videvdat (libro dedicato alle leggi e forse la parte più bella) e il Visperad (libro liturgico). Infine abbiamo frammenti di varia ampiezza di altri libri. Zarathustra non si limita a raccogliere la parola del suo dio, che chiama Ahura Mazda, «signore che crea con il pensiero», ma lo interroga con ritmo incalzante sui misteri del mondo. Vuole sapere ed esige delle risposte: «Questo io ti chiedo, o Ahura, e tu rispondimi apertamente. Chi, dando inizio al creato, è stato fin dall’inizio il padre di Asha, il Vero? Chi ha stabilito il cammino del sole e delle stelle? Da chi proviene il crescere e lo scomparire della luna? Questo e altro ancora, o Mazda, desidero sapere». Oppure: «Questo io ti chiedo, Ahura: le cose che io rivelo sono veramente la verità?
... Con queste domande io ti aiuto, o Mazda, a farti conoscere come creatore di tutte le cose». Giustamente l’Alberti scrive che nell’Avesta è l’uomo a interrogare dio e che la rivelazione non è «un dono spontaneo delle divinità, ma la conquista del pensiero umano». Non per niente nel cosiddetto Libro del consiglio di Zarathustra, un testo scritto probabilmente dopo il crollo dell’impero sassanide e che non fa parte dell’Avesta, si legge: «Sii diligente nell’acquisizione del sapere, poiché il sapere è seme della conoscenza, e il suo frutto è la sapienza». Si legga, per contrasto, ciò che Celso scrive sull’ignoranza voluta e proclamata dai primi cristiani. Piena di slancio è l’invocazione di Zarathustra al sole: «Su, sorgi e prendi a fare il tuo giro, tu Sole dagli agili cavalli, sopra la cima del
monte Hara Berezaiti, e dona la tua luce al mondo». Questa squillante preghiera può fare il paio con quella che il Prometeo legato di Eschilo rivolge agli elementi della natura o con l’inno alla luce della Brünnhilde wagneriana. Ma la parte più bella dell’Avesta, almeno per me, è l’amore, continuamente ripetuto, per gli animali, in modo particolare per i cani. Ahura Mazda, per bocca di Zarathustra, raccomanda di preparare una morbida cuccia per la cagna incinta e di assisterla amorevolmente fino a quando «i giovani cuccioli non saranno in grado di difendersi e di alimentarsi da soli». Guai a far loro del male! Chi uccide un cane, ammonisce il dio avestico, «uccide la sua stessa anima per nove generazioni» e non troverà salvezza. Sì, l’amore per gli animali, che sono i più indifesi, è una via che conduce al cielo. Nella dotta introduzione, che a volte è fin troppo tecnica e puntigliosa, Alberti nega il carattere dualistico dello zarathustrismo, mentre altri, come ad esempio l’iranista Robert Charles Zaehner, lo ribadiscono. A me sembra che con il dualismo le cose quadrino meglio. Di fronte ad Ahura Mazda sta Arimane, che nell’Avesta viene chiamato Angra Maynu. Son tutti e due puri spiriti eterni, anche se antagonisti, in quanto l’uno è uno spirito positivo e l’altro uno spirito negativo. Lo spirito buono, ossia Ahura Mazda, è costretto a creare il mondo come arma per sconfiggere, in una lotta cosmica, Arimane. Insomma fa un po’ come il ragno che tesse la tela per acchiappare le mosche. A parte questo, occorre dire che le religioni più funeste e pericolose, come la storia insegna, sono proprio quelle monoteistiche. E se ne capisce facilmente il motivo: un dio unico è geloso del proprio potere e quindi non ama dividerlo con altri. Di qui le guerre di religione che hanno insanguinato il mondo. Al politeismo invece, come insegna Hume, è sempre stata estranea l’intolleranza. Nella Roma pagana non si conoscevano guerre di religione e gli dèi vivevano pacificamente l’uno accanto all’altro. Negli studiosi occidentali c’è una certa tendenza a vedere l’Avesta con occhi cristiani. Bisognerebbe invece vedere il cristianesimo attraverso l’Avesta. Allora ci si accorgerebbe di quanto il cristianesimo sia indebitato con la religione iranica, dove c’è già tutto, dal messia al redentore, dagli angeli ai demoni, dal paradiso all’inferno. Ancora una cosa. Il nome di Zarathustra, che suona più musicale del pedantesco Zarathushtra, è diventato universalmente noto attraverso l’opera principale di Nietzsche. Non si creda, però, che Così parlò Zarathustra abbia qualche addentellato con gli insegnamenti del vero Zarathustra. E’ anche da escludere che Nietzsche abbia mutuato il nome del profeta dall’iranista Carl Friedrich Andreas, marito, per sua disgrazia, di Lou Salomé. La prima volta che il nome di Zarathustra figura negli scritti di Nietzsche risale all’agosto del 1881, quando egli non conosceva neppure la Salomé. L’avrà orecchiato da qualche altra parte per poi ripeterlo in modo puramente formale e stereotipato. Tutto qui.
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