sabato 10 aprile 2004

neohegelismo

Corriere della Sera
ELZEVIRO Le previsioni del filosofo
Kojève: silenzioso è il gioco del tiranno


Il discorso filosofico, diceva Alexandre Kojève in un’intervista del 1968, «si distingue da tutti gli altri nel senso che parla non solo di ciò di cui parla, ma anche del fatto che ne parla e che è esso stesso a parlarne». Proprio in quell’anno egli morì, lasciando una fama di acuto interprete di Hegel. Era però più di questo e lo si sapeva. Lo conferma ora il volume "Il silenzio della tirannide" (pp. 267, 29,50) , assai ben curato per Adelphi da Antonio Gnoli, cui si deve pure il titolo, felice nel coglierne il senso. Se ne ricava che, se vivesse nel mondo attuale, Kojève, pur avendone previsto molto, non si ritroverebbe facilmente a suo agio. Nel 1945 egli prevedeva, ad esempio, che l'unità politica dell’umanità era lontana, ma che «il periodo delle realtà politiche nazionali» era passato e che era ormai «il momento degli imperi, e cioè delle unità politiche transnazionali, ma formate da nazioni apparentate». Prevedeva pure che «l'impero anglosassone» (Usa e Inghilterra) era «la realtà politica efficace e concreta», di cui ormai far conto. Straordinaria è poi la previsione del dilagare delle scienze umane, tratta dall'idea hegeliana della «fine della storia» e, con essa, della filosofia. La fine della filosofia fa trionfare, peraltro, il «discorso infinito», che non conclude mai, perché «ogni frase può essere sempre seguita da un’altra frase», come fanno retori e sofisti (oggi, per Kojève, sociologi e storicisti). Muore così l'antica alternativa del discorso chiuso, il cui logico esito è però il silenzio, proprio anche della tirannide.
Il tiranno (il potere) sta fuori della sfera degli affetti; non vuole essere amato, ma riconosciuto, cioè accettato e obbedito come legittimo. Lo stesso vuole il filosofo che, saggio o utopista, vuole mutare il mondo. Ora, fra tutti i possibili principi, «il tiranno è senza dubbio il più adatto a recepire e ad applicare i consigli del filosofo», poiché ha bisogno di nobilitarsi e, con il suo potere illimitato, può tentare tutto. Se, dunque, non segue quei consigli, è per delle buone ragioni. La politica opera infatti nel presente e per il successo immediato. Il filosofo dovrebbe dare consigli realistici, per gli «affari correnti», dedicando a questi «affari» tutto il proprio tempo, come fanno i politici. Ma il filosofo non può farlo, se vuole mantenere la propria identità e influenza; ed è duro per lui che il tiranno, applicando i suoi consigli, possa accentuare la propria tirannide.
Di qui il «silenzio della tirannide», il suo applicarsi, al di là di ogni apparenza, a «una zona oscura, impalpabile, sfuggente», come dice Gnoli: la sfera di un potere che non vuole essere condiviso o controllato e opera tacendo anche a se stesso il suo vero essere.
Così, tutto diventa falso e infondato, e solo la storia potrà giudicare, «attraverso la "riuscita" o il "successo", le azioni degli uomini di Stato», che, «coscientemente o no», agiscono «in funzione delle idee dei filosofi, adattate alla pratica dagli intellettuali».
E’ un po' un coniglio che Kojève trae dal cappello a cilindro della sua capacità dialettica. Ma egli scriveva ancora col pathos drammatico ispirato dai totalitarismi degli anni Trenta e poteva credere che Hegel si fosse sbagliato nel giudicare Napoleone, che vedeva passare a cavallo sotto le sue finestre, l’autore della chiusura della storia, mentre autore ne era stato Stalin, un secolo e mezzo dopo. Questo, appunto, Kojève voleva annunciare (solo lo diceva, a differenza di Hegel, senza aver visto «passare Stalin a cavallo» sotto le sue finestre); e, con ciò, l'avvento del tempo in cui la dimensione ludica avrebbe dominato la prassi animale (ossia, il 99 per cento dell'uomo, secondo lui), ormai vagante, come spiega Gnoli, in un vuoto giuridico. E anche questa «dimensione ludica», come il «silenzio della tirannide» e i connessi rapporti tra filosofi, politici e intellettuali, è tra le intuizioni e idee di Kojève, che aiutano a capire, oltre i totalitarismi di ieri, anche il mondo di oggi, in tempi di libertà (sembra) facile, scontata, sicura.