domenica 4 aprile 2004

Ebla

La Repubblica 3.4.04
Intervista a Paolo Matthiae
La città introvabile che è diventata una realtà
Lunedì un convegno a Roma celebra la fine di un grande enigma L'archeologo la scoprì nel '64: gli scavi ricchi di sorprese durano da allora. I recuperi non finiscono mai: dalla terrazza dei leoni all'immenso archivio. Fu il re degli Ittiti Mursili I nel 1600 a.C. a farla sparire per sempre
di SERGIO FRAU


C'era una stella nel III millennio avanti Cristo: Ebla. Si era persa nel fango, però. Eclissata da almeno 3600 anni. Ne era rimasto giusto qualche bagliore - fossilizzato con le sue roboanze d' epoca - nei testi d'Oriente del XXIV secolo a. C.: «Mai dalla fondazione dell' umanità nessun re tra i re aveva preso Armanum ed Ebla...». Altre due, tre righe in cuneiforme e poco altro. Sembra quasi una fiaba questa di Monsieur Ebla, al secolo Matthiae Paolo: scopritore della «città che non c'era più». Invece, ormai, è storia, questa sua. Una storiona vera, ma di quelle ottocentesche alla Vivant Denon, alla Schliemann... Inizia giusto 40 anni fa, nel 1964. Per questo, da lunedì, Roma gli fa festa con un convegno di orientalisti. Allora, il professor Matthiae, mica era ancora accademico dei Lincei, né preside della facoltà di scienze umanistiche de La Sapienza dove oggi ha la cattedra di archeologia del Vicino Oriente. No: era solo un laureato di 24 anni. Ma allievo prediletto di Sabatino Moscati che l'aveva spedito giù in Siria per cercarvi il posto giusto dove aprire un nuovo cantiere archeologico per la facoltà. Zona di tesori, quella levantina... All'inizio degli anni '30 del 1900 - con i francesi di Schaeffer - era saltata fuori Ugarit. A metà di quello stesso decennio André Parrot aveva cominciato a estrarre sorprese da Mari. Alla fine del Trenta, Leonard Woolley ritrova Alalakh, «il regno dimenticato». Matthiae: «Fu quella una scoperta importantissima: con le sue architetture, la sua urbanistica, la sua arte segnalò al mondo l'esistenza di una cultura paleosiriana del tutto sconosciuta prima». Queste cose Matthiae - allora, giù in missione - se le era appena studiate con passione. Non solo: già due anni prima, nel 1962, all'Archeologico di Aleppo si era lasciato affascinare da un poderoso bacino lustrale a due vasche assai ben scolpito che tutti, lì, datavano al primo millennio. Lui capì che, invece, era da collocare tra la fine del III e gli inizi del II e che era indizio forte di una realtà palaziale e di un grande potere. S' informò sulla sua provenienza: Tell Mardikh, gli fu risposto. Un'ora di pista sabbiosa e... Gli era poi bastato camminarci sopra, a quella collina calcarea disseminata di antichi cocci, per rendersi conto che valeva la pena di tenerla a mente. Matthiae: «La ricordo come fosse ieri, quella prima perlustrazione: avevo appena terminato la mia tesi sull'arte figurativa siriana nell'età del medio e tardo bronzo, e quel bacino lustrale, quei frammenti sul tell, mi riportavano alle epoche alte che avevo schedato per laurearmi. Il posto mi affascinò all'istante: si capiva che sotto sotto nascondeva un possente insediamento...». Pensare lì Ebla, però, non era lecito, allora: il fior fiore dell' orientalismo, infatti, si era già pronunciato, sentenziando su tre collocazioni differenti dove la città scomparsa potesse essere rintracciata. Questione apertissima, dunque. «Sembra strano dirlo oggi» racconta il professore «ma io misurando a grandi passi quel colle ho avuto immediatamente la sensazione che potesse trattarsi della città perduta e mai ritrovata: la misteriosa Ebla. Ero poco più di un ragazzo, però, allora. E quei grandi sacerdoti - tracciando le loro rotte di ricerca possibile - avevano disegnato un arco che andava dal nord-est al nord-ovest di Aleppo. Quel mio sito, invece, era proprio agli antipodi di tutte quelle loro certezze: 60 chilometri a Sud di Aleppo». Ci sono voluti anni, 14 anni, per passare dalla sensazione alla certezza: «Man mano che scavavamo, ci rendevamo conto che - come cronologia, come struttura, come posizionamento - Tell Mardikh era quasi la materializzazione di quel poco che di Ebla si sapeva: che fosse proprio lei, Ebla? Non c' erano prove». A volte - si sa - il cielo aiuta... Quella volta, nel 1968, ci pensò Ishtar, la dea sacra dell' amor profano di lì, a venire in soccorso agli archeologi italiani: grazie al torso di una statua in basalto che le era stata offerta, con tanto di iscrizione integra, si uscì dal dubbio. In cuneiforme c'era la dedica del donatore a Ishtar: Ibbit-Lim, Re di Ebla. Matthiae: «Uno dei maggiori misteri della topografia storica dell' Antico oriente era ormai risolto». Così, dal 1968, Ebla c'è: c'è di nuovo. Quei 70 ettari, per un quarto già scavati, hanno ricominciato da tempo a raccontarci la loro storia: se ne sanno i fasti; si conoscono, ormai, le elaboratissime processioni dei reali che riempivano giorni interi di simbolismi e cerimoniali; è riapparso il palazzo reale, e anche il loro pantheon con un superdio - Kura - ancora enigmatico; se ne sanno i traffici, le alleanze... Ora si sa pure che è stato Sargon il primo a piegarla, e suo nipote Naram-Sin a tenerla poi con pugno di ferro. Sarà però Mursili I, re degli Ittiti, a calare giù dalla Turchia, nel 1600 a. C. e farla sparire per sempre. Sia Matthiae che lo squadrone di specialisti che ogni anno, per 100 giorni l'anno, lo affianca negli scavi d'estate, sanno bene che lì, le sorprese non finiscono mai: una volta saltano fuori recipienti con nomi di faraoni; un'altra la terrazza dei leoni; d'improvviso riappaiono archivi di 17 mila tavolette; un'altra ancora un vero tesoro di lapislazzuli... Altri stupori, poi - d'inverno - dalle traduzioni, dalle riflessioni, dalle analisi, come quella che ha certificato afghani i lapislazzuli trovati lì... Quarant'anni di scavi e sorprese. Portati bene, però: e ora è venuto il momento di festeggiare. Si è già cominciato al Pergamon Museum di Berlino, lunedì scorso, con un convegnone rituale di studi di archeologia orientale di cui gli italiani sono stati promotori nel 1998. Si prosegue lunedì, qui a Roma - nell'Aula Magna de "La Sapienza", il 5; il 6 all' Accademia dei Lincei - dove 17 specialisti (solo stranieri, arrivati da ogni parte del mondo) spiegheranno come questa missione italiana abbia ridisegnato non solo le conoscenze della Siria Interna ma anche l'antichissima civiltà che - solo 40 anni fa - non c'era più. Non c'era ancora... Ignace J. Gelb, un grande dell' antichistica, sintetizzò: «Gli italiani a Ebla hanno scoperto una nuova storia, una nuova lingua, una nuova cultura». Matthiae: «Forse è questa la soddisfazione maggiore che Ebla mi ha regalato in questi anni: ci ha permesso di restituire - innanzitutto ai Siriani, ma anche al mondo degli studiosi - un polo di ricerca in più. La ricordo bene la Siria dei miei 20 anni: «terra di passaggio e nient'altro» si era sempre detto tra gli archeologi...». Crocevia di carovane, noi: gente buona a chiedere tariffe e fornire viveri» si descrivevano loro stessi, i Siriani. Con Ebla e le sue scoperte è cambiato tutto: prima, a sorpresa, è arrivata la consapevolezza popolare di esserci già, nel III millennio a. C. Poi - man mano che il ventre della città ci restituiva testi elaborati, sculture raffinatissime, primati architettonici - si è radicato lì, un po' in tutti, anche il momento dell' orgoglio: «Non solo c'eravamo anche noi, nel III millennio, ma eravamo grandi, grandissimi»...». Talmente grandi che, a un certo punto, Ebla e i suoi portenti cominciarono, persino, a dare fastidio. Il mondo degli studiosi da quasi un secolo era sotto shock per quello che saltava fuori dagli scavi d'Oriente: tavolette cuneiformi che raccontavano diluvi assai precedenti ai copyright biblici, il dio El già presente nella fenicissima Ugarit... E ora, quest'altra Ebla, un oggetto misterioso che - quasi a dispetto di ogni sapere consolidato - non solo restituiva un tempio come quello di Salomone (con tanto di tripartizione e Sancta Sanctorum), più antico di oltre un millennio; ma anche frasi, déi e racconti tipicamente biblici: da Sodoma e Gomorra in su... «Il tempio era vero» racconta il professore, «Le frasi bibliche, invece, no: soltanto una svista dei traduttori». C'era, comunque, il fatto che quest'Ebla dei primati architettonici era stata distrutta nel 1600 a. C. E, rimasta sigillata sottoterra, non poteva certo aver avuto rapporti con gli Ebrei stanziati lì sui monti della Palestina almeno mezzo millennio dopo, dal 1100 a. C. in poi... Già c'era quella storia assai scomoda riportata dalla Bibbia su Salomone che, per costruirsi il tempio, aveva dovuto chiederlo ai Fenici di Tiro... E quell'altra, allora? Con Abramo che affittava il terreno dai locali per poterci seppellire la moglie Sara... Roba tutta verbalizzata nella Bibbia, però, quella: ormai digerita e metabolizzata. Erano, invece, tutte queste antichissime sorprese che potevano arrivare da Ebla a riaprire, lì in zona, il triste gioco del «c'ero prima io», ormai spietato in quelle terre dolenti... Dava fastidio, insomma, Ebla. Matthiae: «Passai anni a smorzare quelle «leggende» di una Bibbia eblaita. Ora - adesso che finalmente 10 volumi raccolgono un quarto di quel che il cuneiforme della città ci ha restituito - polemiche e avversioni si sono placate. Del resto l'archeologia è scienza che unisce, non divide: riscoprendo antiche connessioni spesso avvicina anche gli studiosi diversissimi che se ne occupano. L'amore di sapere, di confrontare dati, di integrare conoscenze differenti, costringe a metter da parte casacche politiche per ragionare in libertà. Era quest'aspetto che affascinava Sinopoli...». E la voce si fa rimpianto per quel suo studente-mecenate, scomparso il giorno prima di laurearsi con lui, con una tesi sulle origini dell'architettura in Mesopotamia. Se è un sogno, questa archeologia del rispetto che Matthiae propugna, è comunque un gran bel sogno. Il professore prosegue così: «Proprio qui da noi, nel Mediterraneo, sarebbe indispensabile capirlo del tutto quel nostro passato comune: l'archeologia può farsi strumento primario di fratellanza, di rispetto, di convivenza. Possibile che non tutti lo capiscano?».