giovedì 22 aprile 2004

storia: chiesa e Stato

ELZEVIRO Chiesa e potere temporale
E’ tutta colpa di Costantino
di LUCIANO CANFORA


Nel serafico «Dizionario politico ad uso della gioventù italiana» che l’Editore Pomba di Torino (l’antecedente della Utet) pubblicò nell’anno 1849, libro pieno di moderazione e di cristiana pietà ma anche di moderato patriottismo, la cosiddetta «donazione di Costantino» appare alla voce «Dota o Dote». Qui dopo il chiarimento preliminare, che «la dote è propriamente ciò che la moglie apporta al marito per sostenere i pesi del matrimonio», l’autore ricorda come «la più celebre di queste dotazioni», quella che si pretese fatta da Costantino Magno alla Chiesa e di cui scrisse Dante: «Ahi Costantin, di quanto mal fu matre, non la tua conversion, ma quella dote che da te prese il primo ricco Patre!». Non una parola di più, ma è evidente che il pur timorato autore fa propria la celebre invettiva di Dante con implicita considerazione negativa del potere temporale dei papi o meglio della nascita di uno Stato della Chiesa come Stato tra gli Stati, potenza tra le potenze che fu la forza ma in ultima analisi la debolezza della Chiesa innanzi tutto di fronte al suo «gregge». Giovanni Maria Vian ha appena scritto un agile e denso libretto intitolato La donazione di Costantino , che segue la vicenda dalla sua origine (trascura però di ricordare il commento che ne fece Fozio nel secolo IX). Esso è in realtà una storia dei rapporti tra Stato e Chiesa in Italia e perciò viene presentato dal Mulino appunto nella collana L’identità italiana (pagine 240, 13). Vian ricorda la reazione di un insigne esponente del cattolicesimo liberale, Alessandro Manzoni, di fronte all’occupazione militare piemontese dello Stato pontificio (1860). È la testimonianza della figlia Vittoria che Vian riferisce: «Quando in settembre arrivarono le notizie della spedizione di Romagna, papà non stava più in sé dalla contentezza: Piangeva, rideva, batteva le mani gridando Viva Garibaldi! Papà era convinto che la perdita del potere temporale dovesse essere una misura provvidenziale per la Chiesa, la quale liberata da ogni cura terrena, avrebbe potuto meglio esercitare il suo dominio spirituale».
Vian non nomina mai Rosmini - che pure di Manzoni, in questo campo soprattutto, fu quasi un alter ego - il quale nei suoi importanti scritti sulla Rivoluzione francese si era posto appunto la domanda cruciale: per quale mai ragione l’alto clero (e lo stesso pontefice) avessero abbracciato la causa dell'«ancien régime» pur non avendo, egli opinava, interessi veri da difendere schierandosi da quella parte. Ma la «fortuna» di Rosmini è ancora in bilico.
Nel seguire il filo della vicenda dal tempo del nebuloso, e forse insignificante papa Silvestro (il «Patre» cui fa cenno Dante in quei celebri versi) fino al secolo XX, l’autore riconosce il gesto importante di Togliatti nel condurre i parlamentari-costituenti del Pci (tranne Concetto Marchesi, a rigore) a votare l’articolo 7, ma al tempo stesso puntualizza che quei voti non furono «decisivi» (pag. 213) ai fini dell’approvazione del contrastatissimo articolo che così profondamente divise i comunisti dai socialisti e dal partito d’azione.
Vian è certamente un moderno ammiratore della forza - sia politica che morale - che il «falso documento» propiziò ai papi. Studioso di vaglia qual è, coniuga in sé appunto modernità e passione. Si potrebbe discutere a lungo intorno alla sua visione continuista. Certo la Chiesa cattolica, nonostante alcune «scuse pubbliche» adottate dall’attuale pontefice come via d’uscita da un passato talora molto pesante, non ha mai compiuto strappi nella lettura del proprio passato. Non avrebbe mai organizzato un «XX Congresso»!
Ma forse aveva visto giusto il Manzoni e con lui, e più di lui, Rosmini: la vitalità del cattolicesimo in mondi immensi, e lontani dalla continuità curiale-romana, nulla deve al remoto retaggio del potere temporale.