segnalato da Marco Lucchetti
Repubblica 13.5.04
Lettere
La psichiatria e il tabù dell´elettrochoc
CORRADO AUGIAS
Caro Augias, sono uno "psichiatra di campagna" passato da una realtà romana a una di provincia altrettanto difficile; il tutto all'interno del Servizio sanitario nazionale. Apprezzo il suo interesse per la psichiatria, perciò sottolineo quella che a mio avviso è una pericolosa generalizzazione così riassumibile: la psichiatria in Italia non va bene perché la riforma non è stata bene applicata. È una parte della verità, non tutta, che ignora un'evidente realtà: anche in psichiatria, come in ogni branca della medicina, ci sono meccanismi sconosciuti, dunque casi incurabili. Se così non fosse non ci sarebbero centinaia di modelli psicoterapeutici e migliaia di farmaci e noi psichiatri faremmo tutti le stesse cose.
Il problema sono proprio i casi incurabili la cui caratteristica è spesso la non consapevolezza della malattia. Chi sostiene che questo drammatico ostacolo alle cure sia superabile con opportune tecniche è in malafede e spaccia illusioni. Chi non sa di essere malato non può essere curato se non contro la sua volontà: la collettività si assume così la drammatica responsabilità di intervenire violando la libertà dell'individuo per il suo bene, curandolo suo malgrado con un "Trattamento sanitario obbligatorio". A volte si riesce, a volte si fallisce. La normativa italiana finge con ipocrisia forse ideologica che i fallimenti non esistano e abbandona la loro gestione a familiari disperati e a operatori spesso impotenti.
L'abolizione dell'ospedale psichiatrico (che non necessariamente è un "manicomio") è una peculiarità tutta italiana, nessun altro avendoci seguito. Comporta l'abolizione (e l'abbandono) di una fascia di malati non guaribili che nessuno, per legge, può curare più che tanto.
Fare questo discorso è considerato disdicevole ma è soprattutto doloroso per chi è in buona fede e ha anche la convinzione di essere di sinistra: è doloroso perché ancora non si può fare senza essere bollati di fascismo, come fasciste sono anche certe cure. Ho visto coi miei occhi migliorare pazienti altrimenti irrecuperabili con un trattamento elettro convulsivante: devo fare autocritica come ai tempi della "banda dei quattro" di Pechino o devo smettere di considerarli strumenti utili per non tradire l"ortodossia"
Lo vede lei un gastroenterologo dare del nazista a un suo collega perché invece di curare coi farmaci un'ulcera gastrica ritiene più utile in quel caso un intervento chirurgico?
Luciano Delzotti, Roma
delzot51@liberoadsl.it
Questa lettera non è politicamente corretta, al contrario va decisamente contro la dottrina prevalente in Italia. La sua evidente onestà, basata su un'esperienza d'ospedale, la rende conturbante proprio perché controcorrente. Quando, grazie all'insegnamento della "nuova psichiatria", i "manicomi" sono stati aboliti, abbiamo anche tolto di mezzo l'ospedale psichiatrico. Per di più non abbiamo mai finito di completare quella rete di presidi che avrebbero attutito l'impatto di una riforma radicale e repentina.
Il risultato sono le tragedie di cui ogni tanto si legge nelle cronache. Non entro nel merito degli argomenti per manifesta incompetenza, tanto meno sulla cura "elettroconvulsivante" che, se capisco bene, sarebbe l'elettrochoc. So solo questo: il problema esiste, nessuno se ne cura, è una delle vergogne nazionali.
«SEGNALAZIONI» è il titolo della testata indipendente di Fulvio Iannaco che - registrata già nel 2001 - ha ormai compiuto il diciottesimo anno della propria continua ricerca e resistenza.
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