venerdì 14 maggio 2004

storia:
chi fu veramente Nerone, ricordato come il folle e feroce persecutore dei cristiani...

Il Gazzettino 14.5.04
NERONE. DUEMILA ANNI DI CALUNNIE E FALSITÀ


Con grandi strombazzamenti è annunciato per il 23 e il 24 maggio il kolossal televisivo "Nerone", prodotto dalla Lux, che andrà in onda su Rai Uno. Dalle anticipazioni, piene zeppe di errori anche puerili, si può star certi che si tratta della solita "patacca" che segue, sia pur con qualche aggiustamento, la "leggenda nera" di questo imperatore.
Sono tali e tante le fandonie e le sciocchezze circolate su Nerone che per smentirle tutte ci vorrebbe un libro. Io l'ho scritto, nel 1993, e si intitola "Nerone. Duemila anni di calunnie".
Cominciamo dalle più grosse. Non fu Nerone a incendiare Roma. Nessuno storico serio, né antico né, tantomeno moderno, lo ha mai sostenuto. Da quell'incendio, che fu casuale, Nerone, che si appoggiava soprattutto sul favore della plebe, aveva solo da perdere perché l'imperatore di Roma era considerato comunque il nume tutelare della città. È vero invece, come ammette lo stesso Tacito, che Nerone si impegnò con tutte le sue forze per domare l'incendio guidando personalmente i soccorsi con operazioni degne di una moderna protezione civile. E ricostruì Roma, che era una selva di pericolanti grattacieli in legno, in pietra ignifuga e secondo un piano che è il primo piano urbanistico organico per una grande città dell'antichità. Nerone non perseguitò i cristiani in quanto tali. In fatto di religione era tollerantissimo, secondo la migliore tradizione romana. Il fatto è che i cristiani, che allora erano dei fanatici estremisti, ebbero la cattiva idea di gioire per l'incendio (per loro Roma era Sodoma) e alcuni di metterci anche una manina per attizzarlo meglio. Per quello che le autorità avevano qualche ragione di ritenere un atto terroristico (il più grave di tutti i tempi), dei circa 3000 cristiani presenti a Roma ne furono inquisiti 300, un terzo venne assolto, gli altri condannati. Nel resto dell'Impero nessun cristiano fu toccato. Non si trattò quindi di una persecuzione religiosa.
Nerone non uccise, ubriaco, la moglie Poppea, incinta, con un calcio nel ventre. Nerone amava teneramente la moglie e desiderava ardentemente un figlio. Un atto autolesionista del genere è inimmaginabile in un uomo che - si vada a vedere la Domus Aurea - aveva una concezione solare e serena della vita.
E si potrebbe continuare. Ma il punto non è nemmeno questo. La realtà è che Nerone fu un grande uomo di Stato. Durante i quattordici anni del suo regno l'Impero conobbe un periodo di pace (due sole guerre, risolte più con l'appeasement che con le armi) di prosperità, di dinamismo economico e culturale, quale non ebbe mai né prima né dopo di lui. La sua politica si sviluppò su tre direttrici. Un riequilibrio sociale fra la classe dei senatori, proprietari di terre grandi come province e che non volevano far nemmeno la fatica di governare (Nerone li accuserà, in un famoso discorso, di "assenteismo"), la plebe diseredata e i cavalieri, vale a dire i mercanti, i banchieri, i finanzieri, che costituivano il ceto emergente e di cui Nerone favorì il dinamismo. La creazione, utilizzando i liberti, di una efficiente burocrazia che costituirà, sino alla sua caduta, l'ossatura dell'Impero.
Fu infine l'artefice di una arditissima rivoluzione culturale con la quale intendeva dirozzare i romani e indirizzarli verso la mentalità e i costumi ellenistici molto più civili e raffinati. Uomo colto dai gusti sceltissimi, quasi barocchi, portò nell'anfiteatro, al posto dei massacri fra gladiatori, la musica, la poesia, il teatro, il balletto: ci avrebbe infilato anche il cinema se fosse esistito. In questo quadro va intesa anche la sua partecipazione personale, come citaredo e come attore che avvenne comunque solo dieci anni dopo l'inizio del suo rinnovamento culturale. Che tutto ciò sia definito "arte degenerata" da un contemporaneo come Tacito è comprensibile, ma che almeno questo non sia apprezzato da una sensibilità moderna è sorprendente