giovedì 27 maggio 2004

uno stato laico?
il patto Moratti - Ruini

il manifesto 27.5.04
Scuola e religione, il patto Ruini - Moratti
Ministro e capo dei vescovi firmano gli «obiettivi per l'insegnamento nella secondaria di primo grado»
Lode al governo La disciplina confessionale, commentano in Vaticano, si inserisce perfettamente «nel cammino di rinnovamento della scuola italiana»
MIMMO DE CILLIS


ROMA La chiesa italiana mette un altro puntello all'idea di scuola del ministro Moratti: dopo l'accordo siglato a ottobre 2003 sull'insegnamento della religione nella scuola dell'infanzia e primaria ed elementare, ieri il cardinale Camillo Ruini, presidente della Conferenza episcopale italiana, e il ministro dell'Istruzione Letizia Moratti hanno firmato un documento di intesa sugli «Obiettivi specifici di apprendimento per l'insegnamento della religione cattolica nella scuola secondaria di primo grado». Un passo decisivo - spiegano al ministero - per assicurare il pieno collegamento tra l'insegnamento della religione cattolica (Irc) e la riforma del sistema di istruzione e formazione varata con la legge del marzo 2003.
Ora, per completare l'opera, manca solo la firma per gli obiettivi relativi alla scuola di secondo grado, per la quale, promette la Cei, vi sarà un impegno congiunto tra funzionari del ministero e rappresentanti della chiesa. Si tratta di «un ulteriore passo avanti per il pieno inserimento dell'Irc nel cammino di rinnovamento della scuola in Italia», recita un comunicato della Cei, redatto in toni trionfalistici. «In questo modo anche l'Irc, nella propria specificità, potrà dare un significativo contributo per favorire la convivenza civile, che la riforma in atto considera come uno degli scopi principali della comunità-scuola».
Secondo la presidenza della Cei, «l'insegnamento della religione cattolica nella scuola ha lo scopo di favorire la conoscenza e il confronto con il cristianesimo. Intende aiutare i cristiani ad approfondire la loro appartenenza religiosa e induce quanti cristiani non sono a confrontarsi lealmente con la religione che ha contribuito in maniera significativa a dare all'Italia un volto e un'identità».
I vescovi italiani sbandierano con orgoglio «la competenza degli insegnanti di religione, avvalorata dalla recente legge concernente il loro stato giuridico e l'adesione di massa a tale insegnamento, scelto da oltre il 92% degli studenti». Eppure, secondo un recente sondaggio dell'Eures, sarebbe favorevole all'insegnamento della religione il 61,6% degli italiani. A ritenerlo importante sono soprattutto gli over 50 con il 65%. La percentuale dei favorevoli scende con l'aumento dell'istruzione dell'intervistato: infatti, nota l'Eures, dice sì il 73,5% degli italiani con la licenza media contro il 65,7% dei diplomati e il 52,1% dei laureati.
Ma quello che spicca, in questa assoluta sintonia istituzionale, è il rapporto di stretta funzionalità fra il disegno di riforma della Moratti e gli obiettivi della chiesa che, seguendo una sua logica interna (che la scuola pubblica assume come propria), mira a «far comprendere ai fanciulli e ai preadolescenti i principi del cattolicesimo, patrimonio storico del popolo italiano, e i loro significati religiosi e culturali». L'obiettivo è perseguito, recita il documento della Cei, «attraverso una adeguata conoscenza dei contenuti e della storia della fede cristiana, con opportuni confronti con altre religioni e sistemi di significato». Progetto, questo, che sembrerebbe la pista più interessante, ma che viene condotto con un approccio tutto di parte che, in qualche modo, ne condiziona l'efficacia.
E mentre i laici mettono in discussione la presenza di un insegnamento religioso confessionale all'interno della «scuola di tutti», va notato che, come si afferma nei programmi del 1985, l'insegnamento della religione cattolica dovrebbe assumere una prospettiva storica più che confessionale.
Ma, nonostante le intenzioni del legislatore, a causa dell'ambiguità del testo programmatico, la disciplina ha mantenuto fino ad oggi il proprio carattere confessionale. Lo ribadisce un professore di religione in un scuola secondaria di Roma, ricordando che «gli stessi superiori esortano il docente a offrire una testimonianza esemplare della propria fede cristiana nel corso dell'itinerario didattico e all'interno del mondo della scuola, oltre che a inserirsi nel tessuto ecclesiale parrocchiale e diocesano». Non per nulla l'insegnante di religione, pagato dallo stato italiano, deve avere necessariamente il placet del vescovo.