domenica 13 giugno 2004

Carlos Fuentes
intervistato da Luciana Sica

Repubblica 13.6.04
Io, realista visionario
intervista allo scrittore messicano

"Il dolore peggiore la perdita di mio figlio"
"il mio modello letterario è Balzac"
Tra i più grandi protagonisti della letteratura latinoamericana sarà giovedì a Roma ospite del Festival di Massenzio È appena uscito il suo nuovo romanzo "L'istinto di Inez" giocato sulla memoria e l'impossibilità dell'amore
di LUCIANA SICA


«Appartengo alla letteratura della Mancha, quella che è nata e si è sviluppata tra la Spagna e l´America latina nel nome di Cervantes. Mi considero un discendente del barocco spagnolo e della colonia messicana». Si presenta così Carlos Fuentes, scrittore nato settantasei anni fa a Panama, tra i più grandi testimoni della letteratura latinoamericana e, più in generale, di lingua ispanica.
Gentleman colto e incline alla battuta di spirito, fabulatore e visionario, cosmopolita ossessionato dalle radici messicane, ambasciatore in Francia negli anni Settanta - una vita intensa dominata dall´erranza ma soprattutto dal grande amore per il suo Paese fatto di sogni e di fame -, Carlos Fuentes sarà a Roma giovedì per una lettura al Festival di Massenzio.
Celebre ovunque grazie a romanzi come “La morte di Artemio Cruz”, a raccolte di fantasiosi racconti come “L´albero delle arance”, ma anche a saggi importanti come “Geografia del romanzo” o “Tutti i soli del Messico”, di Carlos Fuentes è appena uscito un nuovo libro - molto struggente - dal titolo “L´istinto di Inez” (Marco Tropea, traduzione di Ilide Carmignani, pagg. 154, euro 13,50).
«Non avremo nulla da dire sulla nostra morte», è l´incipit di questo breve romanzo che ha per protagonisti un uomo, una donna e un´opera musicale: l´eminente direttore d´orchestra francese (di madre italiana) Gabriel Atlan-Ferrara, una soprano messicana - l´istintiva Inez - ma anche “La damnation de Faust”, la drammatica leggenda di Berlioz che ogni volta li fa incontrare e ogni volta ineluttabilmente separare, in un amore lungo una vita e tragicamente irrisolto. A rendere impossibile l´unione di Gabriel e Inez è un elemento del tutto irrazionale, è l´attrazione di lei per un ragazzo visto in una foto: un giovane bellissimo che non si sa più dove sia finito. Del fantasma dai tratti angelici s´ignora ogni cosa tranne che negli anni dell´adolescenza era stato un amico fraterno proprio dello chef d´orchestre (come lui ama definirsi con civetteria).
Nell´immagine fatale che rapisce Inez per sempre, Gabriel è «abbracciato a un altro ragazzo, il suo esatto contrario, il sorriso aperto, senza enigmi... Era impossibile vedere la fotografia del giovane senza provare qualcosa per lui, amore, inquietudine, desiderio erotico, intimità forse, o forse un certo gelido disdegno... Indifferenza no». Ma questa vicenda, strana e dolorosa come la musica di Berlioz che sembra inondarla del suo ritmo indiavolato, s´intreccia con una storia parallela che racconta l´amore di due esseri assolutamente primitivi, un uomo e una donna persi e confusi nella natura e fatti innanzitutto di corpo. Di istinto.
Carlos Fuentes è in arrivo a Roma da Londra, la città dove passa almeno metà dell´anno perché per scrivere - tutti i giorni, dalle sei del mattino a mezzogiorno - ha bisogno di tranquillità e di concentrazione, le sole due cose che a Città del Messico gli sono sempre mancate. Ci siamo sentiti al telefono: questa è la sintesi della nostra conversazione.
All´estero “L´istinto di Inez” - giocato sulla memoria e l´impossibilità dell´amore - è stato accolto come un ritorno alla sua migliore letteratura fantastica. E´ un´osservazione che condivide?
«No. Francamente non vedo nessun "ritorno", lo sarebbe se avessi abbandonato questo genere letterario, cosa che non mi pare di aver mai fatto... Anche il mio ultimo libro non ancora tradotto in italiano, “Inquieta compañía”, è fatto di racconti di pura immaginazione dove si parla addirittura di angeli, demoni, fantasmi, vampiri...».
Ma è stato notato come “L´istinto di Inez” rimandi piuttosto a suoi "vecchi" romanzi come “Aura” o “Le relazioni lontane” piuttosto che a opere più recenti...
«Sono libri che appartengono tutti al genere fantastico, ma credo anche che ciascuno di questi romanzi abbia connotazioni sue proprie, una sua personalità, un suo profilo, e che insomma sia un´opera a sé... I critici sono spesso a caccia di etichette un po´ facili».
Un po’ facili perché, come del resto capita in ogni scrittura letteraria, ha costantemente mescolato realismo e fantasia, o meglio ancora: ha introdotto il fantastico nel reale... Lei però preferisce parlare dell´esistenza di una realtà "soggettiva" e di una "oggettiva", o sbaglio?
«Preferisco parlare soprattutto di una realtà collettiva, che le riunisce tutte e due... Come dire: la realtà soggettiva non è completamente soggettiva e neppure quella oggettiva lo è del tutto. Il filo che ci fa interagire con gli altri è la comunità, il luogo in cui l´elemento soggettivo coesiste con quello oggettivo. A meno che non si voglia pensare alla realtà politica come a una dimensione immersa nell´immaginario...».
Più di una volta ha detto che il suo principale modello letterario è stato Balzac. Si sente in debito nei confronti dell´autore francese?
«Sì, ho un debito enorme nei suoi confronti, trovo il suo realismo visionario assolutamente sorprendente. "Moi je vais porter une société dans ma tête" (ho un´intera società nella mia mente): da un lato l´autore della “Comédie humaine” si presenta come uno scrittore realista, ma al tempo stesso è capace di offrire novelle straordinarie di genere fantastico come “La pelle di zigrino” o anche “Louis Lambert”».
Pieno di elementi bizzarri è anche “L´istinto di Inez”... Il ragazzo della foto e l´uomo primitivo sono la stessa persona?
«Inez è alla ricerca di un uomo di cui innamorarsi, un uomo che non viva però nella sua stessa epoca. E lo cerca in un passato molto remoto o in un futuro lontanissimo... Ma il lettore può immaginare quello che vuole, ha la porta aperta, è libero di pensare quel che crede, lo considero coautore dell´opera».
Si può dire che la storia tra quei due esseri primitivi è un sogno di Inez?
«Potrebbe esserlo: se le fa piacere, l´autorizzo a pensarlo».
Spesso al centro dei suoi romanzi ci sono donne, come ne “Gli anni con Laura Díaz”. Le piace esplorare una cultura ancora profondamente in contrasto con quella maschile?
«Sì, del resto sono cresciuto in un paese prettamente maschilista. In Messico, in America latina, e forse in tutto il mondo, il machismo è molto forte, e io mi sono sempre ribellato a questa cultura. L´ho sempre contrastata, perché le donne io le amo molto, mi piacciono moltissimo: penso a mia madre, a mia moglie, alle mie figlie... Penso soprattutto al dato statistico che indica come il 53 per cento del lavoro umano venga svolto dalle donne e non dagli uomini».
Nella sua lingua, Inez fa rima con vejez, con vecchiaia. Nel romanzo l´allusione è esplicita, anche se naturalmente nella traduzione italiana l´assonanza si perde...
«Si perde, purtroppo... Mi torna in mente un´immagine stampata da sempre nella mia memoria: la Callas che canta “La Traviata”. Quando si avvicina alla scena finale, fa una cosa straordinaria, la Callas: anticipa la sua morte, diventa una vecchietta, can-ta-tut-ta-co-sì, è qualcosa di estremamente emozionante... In ogni caso ho sempre pensato alla donna giovane e alla donna vecchia come a un´unica persona. Il dato anagrafico non è assoluto, dall´infanzia fino alla nostra ultima stagione portiamo l´età riempiendola di noi stessi, di quello che siamo profondamente».
Inez, vejez: più che il racconto di due storie d´amore parallele, il suo è un trattatello metaforico sulla tragedia dell´invecchiamento?
«Può darsi, ma provi a pensare a un Tolstoj o a chiunque altro: noi scrittori dobbiamo fare sempre i conti col passare del tempo, con la gioventù perduta, con la vecchiaia...».
“In questo credo” è il suo dizionario autobiografico che Il Saggiatore pubblicherà da noi in settembre. Lì si parla della sua lunga frequentazione con Buñuel. Cosa le è rimasto del grande cineasta?
«A Città del Messico ci vedevamo tutti i venerdì dalle quattro alle sette, mai più tardi perché Buñuel aveva abitudini monacali. Con lui avevo l´impressione di dialogare con l´intera storia dell´estetica del ventesimo secolo... Però ”En esto creo” non è un catalogo di personaggi, anche se ci sono capitoli dedicati ad alcuni scrittori che sento particolarmente vicini: a Balzac e a Cervantes naturalmente, e poi a Kafka, a Faulkner, a Shakespeare...».
“Contro Bush” s´intitola invece, molto seccamente, un altro suo libro non ancora uscito in Italia. È un pamphlet politico?
«È un lungo viaggio intorno a fatti riguardanti la presidenza di Bush, un uomo che considero pericoloso per molte ragioni serie... ma poi, come possiamo affidarci a un uomo che cade così spesso dalla bicicletta e che rischia di rimanere soffocato mangiando un biscotto?».
Lei ha detto: come messicano, non faccio distinzione tra la vita e la morte. Tutto è vita, inclusa la morte. Non sarà uno dei tanti modi consolatori per rimuovere il terrore di non esserci più?
«No, no, è un fatto molto reale: non abbiamo modo migliore per comprendere la morte, per accettarla, viverla e anticiparla se non attraverso la consapevolezza che fa parte della vita, come la nascita».
Signor Fuentes, un´ultima domanda molto delicata, sempre che voglia rispondere. “L´istinto di Inez” è dedicato al suo "adorato" figlio Carlos, scomparso nel ´99 all´età di venticinque anni. Cosa ha significato questa perdita nella sua vita di uomo e di scrittore?
«Questa perdita è il dolore peggiore, uno strazio che non assomiglia a nient´altro, e credo che - seppure inconsapevolmente - emerga nella mia scrittura... Carlos aveva molto talento, era un poeta e un pittore, e non solo lo ricordo con amore infinito, ma lo sento ancora vicino: la sua è una presenza, non un´assenza, e sono anche capace di ridere per le cose che diceva... Mi sembra di fare molte cose in nome di mio figlio, e in fondo vivo nella sua ombra».