il manifesto 24.6.04
EUROPA
Le radici disperse e la sconfitta del Papa
FILIPPO GENTILONI
Le fonti ufficiali del Vaticano hanno parlato di «rammarico» per l'assenza delle «radici cristiane» nel testo della nuova costituzione europea. «Non si tagliano le radici dalle quali si è nati». Probabilmente rammarico è troppo poco: il Papa ha criticato la costituzione con una certa violenza, parlando in polacco al di là del testo ufficiale. Una irritazione, questa del Vaticano e personalmente del Papa, sulla quale vale la pena di riflettere. Almeno tre gli interrogativi ineludibili. Il primo è storico: sono veramente cristiane le radici dell'Europa? Il secondo è politico: non sarebbe meglio difenderle in altro modo le supposte radici? E ancora: come mai questa insistenza vaticana - insolita, a dir poco - su un tema che lo vede perdente?
La storia è ben nota. Ed è, a dir poco, complessa. Molte le radici della nostra Europa, e fra queste quelle cristiane non sono certamente dominanti. E sono anche «sporche»: i cristiani si sono violentemente combattuti fra di loro mentre cercavano a fatica di affermarsi sulle altre radici. Basti pensare a quelle della cultura greca. In quanto all'Europa moderna, poi, le sue radici si riconoscono molto più nei principi della rivoluzione francese che in quelli del vangelo. La lettura vaticana è, a dir poco, parziale e faziosa.
Ma qui si inserisce il secondo interrogativo. A che cosa gioverebbe la contestata menzione delle presunte radici cristiane? Non sarebbe meglio se il presunto spirito cristiano dell'Europa unita fosse letto nella vita degli europei più che nel testo di una costituzione? E' qui, nella vita, il vero testo. Ma qui si legge tutt'altro. Si legge di un'Europa che negli ultimi secoli si è voluta imporre sugli altri, che si è distinta per le guerre e il potere, non certo per lo spirito delle beatitudini. Lo si chieda, quale è il volto dell'Europa e quali sono le sue radici, a tutti i colonizzati schiacciati, dall'India all'Africa. La loro voce conta molto più di un testo redatto a tavolino dai diplomatici di turno. Per non parlare degli ebrei, ai quali sarebbe bene chiedere quale è la loro presenza e il loro ruolo in un'Europa che si vanta delle sue radici cristiane. Forse addirittura antisemite.
Anche oggi , mentre si parla di globalizzazione e di immigrazione, l'Europa non mostra certamente un volto «cristiano»: si provi a rivolgere il discorso non tanto ai deputati di Strasburgo ma agli immigrati sbattuti sulle coste del Mediterraneo e poi rinchiusi nei lager.
Come mai, allora, nonostante tutto ciò, il Vaticano insiste? Non sarebbe meglio chiedere perdono, come il papa ha fatto con coraggio a proposito dell'Inquisizione? La diplomazia vaticana, d'altronde, non cerca sempre di evitare le sconfitte? Si può cercare di rispondere ricordando quanto il discorso sull'Europa sia caro a Wojtyla. Fin dai primi tempi del pontificato il papa parlava di Europa «dall'Atlantico agli Urali»: unita e cristiana. Il crollo dei muri, però, non favorì quel sogno. Nasceva una Europa unita più dal capitalismo filoamericano che dalle sue presunte radici cristiane. Oggi, con la costituzione dell'Europa a 25 il sogno wojtyliano si è ripetuto, ma se ne sta ripetendo il fallimento. L'Europa a 25 nasce più laica che cristiana: le sue radici non sono certamente nella rivoluzione d'ottobre, come forse qualcuno aveva sperato, ma neppure nelle pagine del vangelo, come ha sperato il Vaticano. Caso mai, piuttosto nelle rivoluzioni borghesi del sette e ottocento. Con i loro vantaggi e i loro limiti.
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