lunedì 28 giugno 2004

scuola e cristianesimo, due articoli di Simona Maggiorelli:
cosa ci cucina Moratti per il prossimo anno scolastico

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Scuola market
La riforma Moratti e i cambiamenti dal prossimo anno scolastico
di Simona Maggiorelli


Sono appena finite le lezioni, ma per studenti e professori non c’è di che rilassarsi. A settembre troveranno una scuola profondamente mutata nei propri connotati fondamentali. Genitori e studenti si troveranno ad avere a che fare con una scuola in complesso molto più povera di contenuti culturali. E povera anche sul piano delle risorse materiali da investire nei corsi, visto il forte taglio di risorse deciso dal Ministero. «Una scuola molto diversa da quella che hanno conosciuto, mutata nei suoi aspetti costituzionali», denuncia il sindacalista Enrico Panini. «Sulla scuola secondaria superiore si stanno accentuando le attenzioni del Ministero e del governo e nei prossimi mesi – preconizza il segretario generale della Cgil Scuola - ci saranno grandi manovre di cambiamento». Intanto non esisterà più l’obbligo scolastico previsto dalla Costituzione, con l’attuazione del decreto legislativo che prevede l’introduzione di un più vago ”diritto-dovere all’istruzione e alla formazione”. E diventerà percorribile un’alternanza fra scuola e lavoro che, al nocciolo, significa, a partire da 15 anni, lavoro in fabbrica, normale lavoro di attività produttiva, con l’aggiunta di un ridottissimo rapporto con l’istruzione. Per questo gli istituti potranno stipulare convenzioni con le camere di commercio, con le imprese e con enti pubblici e privati. Ci saranno periodi più o meno lunghi di tirocinio in azienda e le esperienze di lavoro frutteranno crediti formativi riconosciuti dalla scuola. «In pratica si reintroduce la separazione tra scuola vera e propria e avviamento al mestiere - dice Piero Bernocchi, portavoce nazionale Cobas scuola - come accadeva prima della riforma del ’62, con in più l’aggravante, che oggi chi esce da questi percorsi non arriva a praticare un mestiere, perché la scuola non fornisce una vera abilità professionale e le aziende vogliono soprattutto manovalanza senza pretese, apprendisti flessibili e sottopagati da mantenere in una perenne precarietà».
Non tutte le regioni italiane, però, sono disponibili a fare questo salto. E non tutte le scuole, anche all’interno di una stessa regione o provincia, accettano di applicare la Legge 53, portando l’orario a 27 ore, più alcune ore facoltative, introducendo la figura del tutor (insegnante coordinatore che dovrebbe funzionare da raccordo fra scuole e famiglie e che i sindacati vorrebbero poter contrattare con il ministro), le materie facoltative e il portfolio di valutazione, insomma tutte le novità previste dalla Moratti. La riforma del titolo V della Costituzione ha permesso, nel bene e nel male, ad alcune regioni - alla Toscana, all’Emilia Romagna, alle Marche, all’Umbria in primis - di dire un primo no. È accaduto durante la conferenza unificata Stato Regioni del dicembre scorso. Ma gli effetti concreti di quella opposizione ancora non si vedono. E in ogni caso si potrebbe arrivare a un sistema scuola decisamente a macchia di leopardo, con differenze sostanziali, fra istituti anche a pochi chilometri gli uni dagli altri.
I nuovi programmi
All’orizzonte autunnale, oltre alla riforma dei cicli, si profila soprattutto un rimescolamento e una disarticolazione complessiva dei programmi e delle materie di studio, con tagli e vistose lacune. Preoccupa l’idea di “sapere” che si legge in filigrana nei programmi Moratti che hanno cominciato a circolare. Partiamo dalle maltrattate scienze. Bene, si scopre che l’ostracismo che la Moratti ha scatenato contro Darwin e la teoria dell’evoluzionismo nel decreto legislativo dello scorso febbraio non è affatto rientrato. Allora il ministro scriveva: «Le indicazioni nazionali privilegiano le narrazioni fantastiche, i miti delle origini ...». Sono partite da qui le reazioni forti dell’Accademia dei Lincei. Ai ripetuti appelli dell’intellighenzia della scienza italiana che paventava un ritorno al creazionismo e a teorie di fede ascientifica il ministro Moratti ha risposto con promesse di passi indietro. Istituendo una commissione di saggi e invitando Rita Levi Montalcini a guidarla. Ma passati più di tre mesi, la commissione non si è ancora riunita. E non si parla più di modificare i programmi.
Nel corpo della storia
I programmi di storia sotto la scure Moratti. Sparisce il colonialismo, spariscono le crociate e l’inquisizione. «L’insegnamento della storia – denuncia lo storico Adriano Prosperi – si trasforma in una favola edificante, cucita intorno all’Europa cristiana, che non sarebbe mai stata percorsa da conflitti».
E di questo passo, addio all’insegnamento di storia antica alle medie, dove, invece, tornano taglio, cucito e ricamo, insieme alla dominanza delle tre famigerate “i”: informatica, impresa e inglese in ottemperanza alle logiche del mercato. Ma, anche in questo caso, non senza contraddizioni e ombre, visto che al contempo si tagliano i fondi alle scuole (in tre anni tagli del 60 per cento dei contributi sul funzionamento della scuola, una media del 20 per cento in meno all’anno) e dunque sarà difficile poter acquistare computer e attrezzature per l’insegnamento di nuove tecnologie. L’aumento di ore di studio della lingua internazionale per antonomasia poi è, alla resa dei fatti, più presunta e auspicata, che reale. Alle elementari che hanno in programma lingue straniere, per esempio, le tre ore oggi obbligatorie di inglese si ridurranno a una. Le altre due dovranno essere richieste dalla famiglia fra le attività facoltative. Così anche alle medie dove le ore di inglese passano dalle attuali 99 annuali a 54, per far posto, in parte, alla seconda lingua (francese, spagnolo e tedesco). E da più parti - dai sindacati, dai genitori e insegnanti che più volte sono scesi in piazza in questi mesi - è anche e soprattutto quest’idea di una “scuola flessibile” ad essere criticata, una scuola dove le famiglie potranno acquistare come al supermarket quei percorsi formativi più adatti ai loro figli, o più semplicemente quelli che si potranno permettere dal punto di vista economico. E questo mentre la qualità e i contenuti culturali dei programmi continuano a inabissarsi.
Si starà a scuola, forse, più o meno per lo stesso range di ore, ma il tempo pieno diventerà sempre più “dopo scuola”, con più ore per la mensa e la ricreazione e meno per l’insegnamento e con il tentacolare espandersi di quelle materie di cosiddetta educazione alla “convivenza civile” che va dall’educazione stradale, a quella ambientale, dall’educazione alimentare a una generica educazione all’affettività, che ancora il ministro deve spiegare di che si tratti e chi la insegnerà. Ma soprattutto, la vera reginetta sarà “l’educazione cattolica”, ombra lunga sottesa a tutte le materie umanistiche e non, declinata fra ore di religione e insegnamento della più volte evocata “antropologia cristiana”, mutuata dalla Conferenza episcopale.
Scuola e religione
«Il ministro ha firmato con il Cardinale Ruini un’intesa sui programmi di insegnamento di religione cattolica in cui si dice che la scuola deve assumere come punto di vista l’antropologia cristiana. Da una scuola laica andiamo a una scuola confessionale - rilancia il dirigente della Cgil Panini - siamo di fronte a una chiara scelta, tutte le indicazioni fornite dalla Moratti sono più o meno infarcite di un’ottica confessionale. La Legge 53 sulla riforma della scuola fissa al capitolo primo, l’educazione ai valori spirituali».
Questo riguardo ai contenuti culturali. Sul piano economico, come incentivo, la Moratti offre bonus alle famiglie che scelgono le scuole private parificate, in maggioranza cattoliche. «A dire il vero - conclude Panini - la scuola privata è l’unico grande amore del ministro Moratti. È arrivata perfino a modificare le norme in modo tale che queste scuole possano fare come credono meglio. Da qui il boom dei diplomifici a cui stiamo assistendo. In un momento di tagli per la scuola pubblica, i soldi per le private il ministero riesce a trovarli. E questo indubbiamente grida vendetta». Insomma quando il ministro dice che l’Italia, diversamente dal resto dell’Europa, ha un monopolio che è quello della scuola pubblica, denuncia chiaramente quali sono le sue intenzioni. «Ma - commenta il sindacato - dimentica di dire che il ruolo della scuola pubblica è sancito dalla nostra Costituzione».

Avvenimenti in edicola
Scocca l’ora di religione
Remo Ceserani: “La scuola della Moratti falsifica la storia”.
di Simona Maggiorelli


Insieme a Lidia De Federicis, una ventina di anni fa mise insieme uno dei manuali più stimolanti per la scuola superiore, Il Materiale e l’immaginario, una serie di sette volumi che invitavano lo studente, durante il triennio, a ricercare fra letteratura e storia, a ritagliarsi, con i professori e via via sempre più autonomamente, propri percorsi critici, all’interno di una materia letteraria che allargava lo sguardo oltre i confini della vecchia Europa. «Ancora oggi - racconta Remo Ceserani, docente di letterature comparate all’Università di Bologna - mi capita di incontrare persone che lavorano nell’editoria, giornalisti, ma anche avvocati e gente che fa i mestieri più diversi che mi dicono: a quel tempo ho imparato moltissimo su quei libri».
Nella scuola di oggi che accoglienza ha quel suo manuale laboratorio?
Anche se continuano ad esserci delle scuole che lo adottano, oggi sarebbe molto difficile proporlo su larga scala.
Cosa è cambiato?
Allora ci fu un momento di tensione ideale che non era solo del nostro manuale, era della scuola nel suo insieme. C’è stata una classe di insegnanti che si è entusiasmata per un tipo di lavoro un po’ diverso dal solito che richiedeva collaborazione fra colleghi, programmazione, e studio, lavoro in proprio. Che viveva la scuola come momento di comunicazione, di crescita comune.
Per gli studenti, anche se giovani, significava provare per la prima volta il piacere di fare ricerca?
Il Materiale e l’Immaginario era un modo di fare ricerca a livello della scuola superiore. Un elemento che è andato perso.
Con un’idea nuova di letteratura.
Ci credevo allora e continuo a crederci oggi, la letteratura non è un messaggio spirituale che viene dalla pura e semplice intuizione come avrebbe voluto Croce, ma nasce in un rapporto forte con la materialità della vita, con le sofferenze, con il lavoro. Adesso si parla tanto di studi culturali, quello era già un tentativo di collegare gli studi letterari a quelli culturali e sociali. Era il tentativo di imbastire un tipo di storia plurima che, per altro, non avevamo inventato noi ma ci veniva da alcuni modelli, dalla scuola francese di Les Annales, per esempio.
Il modello di scuola proposto dalla Moratti, sembra preferire una cultura tecnica parcellizzata e al tempo stesso, un po’ come all’epoca di Bacone, un patto forte con la Chiesa, come a dire a voi demandiamo le cose dell’anima noi ci occupiamo solo delle cose fattuali.
Mi viene in mente un articolo di Pietro Citati, alcune settimane fa, su Repubblica. Un intervento cartina di tornasole, che dimostra profonda incompetenza, mettendo Berlinguer e la Moratti sullo stesso piano, cancellando ogni differenza.
La crisi della scuola non data già dal ministero Berlinguer?
Come ministro Berlinguer ha fatto alcuni errori. Sbagliato il modo in cui è stato calato nella scuola, senza sufficienti mezzi, senza adeguata discussione e preparazione. Ma non era un progetto di un incompetente.
E la Moratti?
Non esito a dirlo, è a tutti i livelli un’incompetente. Il suo modello di scuola è una combinazione fra una scuola privata delle Orsoline e un college americano per fanciulle stile Vassar. Un mix micidiale. E la cosa che mette più in allarme è che si è circondata di pedagogisti di scuola cattolico-americana, una delle correnti della pedagogia, a mio avviso più pericolose.
In che senso pericolosa?
Perché hanno un’idea della pedagogia e della didattica molto tecnica e semplicistica, quando l’educazione, sempre di più, è un’operazione complessa. E poi propugnano uno spiritualismo molto piatto. Non so se ha visto i programmi della Moratti.
Al centro pongono la questione dell’educazione spirituale, religiosa, mentre c’è stata una discussione e poi un’esclusione di tutto questo dalla Costituzione europea. I francesi, in modo particolare si sono impuntati, hanno preteso che fosse dato un profilo laico all’Europa, in questo programma che io ho davanti c’è scritto il contrario. Si dice che: «un ragazzo ha consapevolezza sia pure in modo improduttivo delle radici storico giuridiche, linguistico letterarie e artistiche che ci legano al mondo classico e giudaico cristiano e dell’identità spirituale e materiale dell’Italia e dell’Europa». Io sono per un’idea di Europa esattamente opposta, cioè un’Europa delle differenze, un’Europa che è ricca proprio perché ha tante culture e tante spiegazioni del mondo e che ha tante diverse spiritualità, tante diverse materialità; questo, mi pare, dovrebbe essere la base di una moderna collettività europea.
E questi richiami a una vaga antropologia cristiana che, secondo il ministro Moratti, dovrebbero diventare il contenuto sotteso a differenti discipline umanistiche?
Quella frase che leggevo poca fa prosegue in maniera ancora più esplicita, dice: l’educazione di un ragazzo «colloca la riflessione sulla dimensione religiosa dell’esperienza umana e l’insegnamento della religione cattolica impartito secondo gli accordi cofondatari e le successive intese». È evidente che qui è al primo punto l’insegnamento della religione. È considerato il profilo fondativo e fondamentale della nuova scuola.
In questo contesto difficile pensare a una libera ricerca. E questo aspetto riguarda la scuola media superiore, ma anche l’Università?
Il mondo si sta sviluppando in modo molto rapido. In questo orizzonte di “globalizzazione” occorre una ricerca avanzata, intensa, a tutti i livelli e occorrono investimenti. Invece sono stati largamente ridotti. Si sono privilegiati alcuni settori rispetto ad altri: da un lato una scelta ideologica, dall’altro legata al mercato. Si privilegiano quelle ricerche che hanno delle ricadute nella produzione. In modo estremamente miope. La ricerca oggi, invece, è basata su tempi più lenti, le ricerche di base hanno una gradualità prima di arrivare alle applicazioni. Naturalmente questo richiede quattrini, non ha un immediato tornaconto.
Nel frattempo?
L’Italia si impoverisce se non rimane all’altezza della Cina o di quei paesi orientali che in questo momento stanno facendo dei passi enormi, investendo energie umane in questi settori.
Lei insegna letterature comparate. La produzione di paesi fin qui ai margini del canone occidentale adesso sembra segnare un punto di maturità, non più di sudditanza.
È così. In tutti i paesi occidentali la letteratura ha perso il compito di fornire materiali per l’identità nazionale; e quindi c’è stata un’apertura, almeno nei paesi più intelligenti, verso le differenze. La letteratura, in questo senso svolge un ruolo importante, succedeva già nella letteratura greca, già con i Persiani di Eschilo. I Greci ebbero questo improvviso e quasi mortale scontro con i Persiani ma Eschilo scrisse una tragedia sui nemici, per capire come erano fatti.
Con la riforma Moratti, invece, pare, ci si occuperà sempre meno di altri popoli. Di Fenici e Assiri Babilonesi, per esempio, soltanto al liceo, non più alle medie. Cosa comporterà questa perdita di uno sguardo largo sulla storia?
Purtroppo sono le parole d’ordine dei pedagogisti che stanno mettendo le mani sulla storia, uno dei territori sui quali è più facile compiere quest’operazione semplificatoria. Spalmeranno un po’ di storielle, dalle elementari in avanti. I miei colleghi storici sono disperati, si perde il senso della ricerca storica e delle tante storie. Una delle cose che avevamo tentato proprio con il Materiale e l’immaginario era cercare di cogliere l’eco delle tante storie. Che hanno un’applicabilità didattica molto importante, perché i ragazzi, così come nelle scienze possono lavorare in laboratorio, nella storia lavorano sui documenti a disposizione e imparano a conoscere il mondo in questo modo.