sabato 26 giugno 2004

storia criminale del cristianesimo

Repubblica, ed di Napoli 26.6.04
QUANDO I CRISTIANI TAGLIAVANO LE TESTE
di Giovanni Romeo


Il taglio della testa, che dovrebbe riuscire con un colpo solo e quindi evitare troppe sofferenze, è un privilegio. Quando però si sale sul patibolo come colpevoli dei delitti ritenuti più efferati, le tecniche di esecuzione abituali non bastano.
Si deve educare il popolo, dissuaderlo col terrore dagli eccessi del condannato: ci sono uomini bruciati vivi, arrotati, squartati, si strappano pezzi di carne con tenaglie infuocate, o si tagliano arti, a persone vive. Talvolta le teste o i quarti dei giustiziati restano esposti, ben in vista, a futura memoria, finché agenti atmosferici e animali non ne fanno scempio. Solo verso la metà del Settecento l´intensità e la crudeltà delle condanne a morte cominciano ad affievolirsi e si apre il faticoso percorso che condurrà all´abolizione della pena capitale e all´abbandono degli orrori "ufficiali". Sono solo gli esiti di questo lento e recente processo storico che ci consentono oggi di sentirci estranei e inorriditi di fronte alle atrocità che ci sono esibite: in precedenza il cristianesimo non era servito a nulla.
Ha invece radici in un passato un po´ più lontano il senso di superiorità con cui le guardiamo. Già nel Cinquecento il rigore delle esecuzioni capitali si allentava, quando il reo era pronto a chiedere perdono a Dio per le sue malefatte, a riconoscere la legittimità della condanna subita e a piegarsi alla confessione e alla comunione. I più incalliti criminali potevano conquistare così ? e solo così ? il diritto a un´esecuzione "normale". Era un meccanismo tipico dei processi dell´Inquisizione, che i giudici di Stato inserivano di buon grado nel loro modello di condanna a morte, perché ne rafforzava la credibilità e l´efficacia. Per gli stessi motivi, i boia erano anche autorizzati, su segnalazione dei confratelli incaricati del conforto, a torturare chi alla vigilia dell´esecuzione era restio all´assunzione dei sacramenti. Sembra incredibile, ma è così, a Napoli, come nel resto d´Italia.
Lo schema era applicato con particolare zelo ai condannati di religione islamica. Se accettavano in extremis di convertirsi, ottenevano un´esecuzione "normale"; in caso contrario, andavano incontro alla pena che avevano meritato. Il tranello teso ai confortatori napoletani e al boia nel 1672 da uno schiavo musulmano, che prima accetta il battesimo per sfuggire a una crudele esecuzione e poi lo rinnega, è una delle testimonianze più ricche di questo scontro di civiltà. Nel nostro disorientamento di oggi, nella difficoltà di capire gli orrori iracheni, c´è anche questo, c´è una lunga storia di intolleranza e di disprezzo. Se ce ne rendiamo conto, anche gli echi di drammi così lontani nel tempo possono essere di stimolo e di aiuto: a non guardare le altre civiltà dall´alto in basso, a comprendere prima di giudicare, a riflettere più sugli elementi che ci uniscono che su quelli che ci dividono. Aveva fatto così, nel 1587, un vecchio schiavo musulmano, quando un sacerdote napoletano lo aveva invitato a farsi cristiano, per evitare che il suo cadavere fosse buttato in un immondezzaio: gli aveva semplicemente risposto che tutti siamo figli di Dio grande, che Dio aiuta tutti.