domenica 6 giugno 2004

storia della medicina
«dalla superstizione alla scienza»

La Stampa 6 Giugno 2004
UNA STORIA DELLA MEDICINA ATTRAVERSO I SUOI PROTAGONISTI
I nuovi stregoni e il mito antico dell’immortalità

Dalla superstizione alla scienza seguendo l’evoluzione del pensiero
Una cavalcata millenaria che, dall’antica Cina, arriva alle grandi
scoperte dei vaccini, degli antibiotici, del Dna, della terapia genica
di Marina Verna


NO, in principio non c’era Ippocrate. In principio - e quel «principio» è il 2852 a.C. - c’erano i medici cinesi. E quelli indiani. Millecinquecento anni dopo arrivò Asclepio - il primo guaritore significativo per noi occidentali - e dopo altri mille i pitagorici: siamo nel 500 a.C. e la loro teoria degli umori - flemmatici contro sanguigni - resisterà inalterata per oltre due millenni. Quanti sono i nomi imprescindibili dell’ars curandi? Cinquantatré, dice Luciano Sterpellone, che a loro dedica il molto interessante saggio I grandi della medicina (Donzelli editore, 262 pagine, 14 euro).
E’ possibile un’ulteriore classifica tra questi eletti? Un nome che spicchi per intuizione e influenza? Un inconfutabile «padre della medicina»? Sì, c’è. E’ Ippocrate. A lui Sterpellone - medico lui stesso - dedica uno dei capitoli più ampi del libro e riserva appunto il titolo d’onore. Ippocrate è greco, contemporaneo di Sofocle, poco più anziano di Platone. Viene dall’isola di Kos, nelle Sporadi, ma vive nell’Atene di Pericle, di Fidia e dei grandi tragici. In questa società illuminata opera quel passo che cambierà per sempre il corso della medicina: abbandona la medicina sacra e sacerdotale - di cui resterà un ricordo nel camice bianco che ancora oggi è la divisa del dottore - e fonda la medicina razionale. Il metodo elaborato allora - e siamo negli Anni 400 a.C. - è quello che ancora oggi è alla base del processo curativo: analisi dei sintomi, sintesi delle conoscenze, deduzione del trattamento. Quanto al famoso giuramento, esso è un vero e proprio codice di comportamento, che non ha mai perso nel tempo il suo significato e ancora oggi è il riferimento dell’etica medica.
L’altro grande dell’antichità - inventore di pratiche che domineranno i successivi 1500 anni - è il greco romanizzato Galeno. Cominciò seducendo Roma con pubbliche dimostrazioni di vivisezione animale - «Guardino, signori, questo maiale! Se recido il nervo laringeo, non è più in grado di strillare» - e finì ascoltatissimo consigliere dell’imperatore Marco Aurelio. Come Ippocrate, credeva nelle virtù risanatrici della Natura. Lui però intuì anche il principio dei contrari: curare le malattie da raffreddamento con il caldo e le infiammazioni con il freddo. Con lui finì il periodo aureo del classicismo: per quindici secoli non successe più nulla di nuovo. Fu un medico straordinario, ma non un innovatore, l’arabo Avicenna, la cui scienza si basava sulla dottrina umorale di Ippocrate. Fu più un erudito che uno sperimentale Maimonide, che però ebbe la folgorazione dei rapporti tra psiche e soma. Con Paracelso siamo fuori dal Medio Evo: la sua teoria dell’«uomo integrale» è già Rinascimento, il suo saggio De vita longa anticipa quella longevità di cui noi siamo prova vivente. Peccato sia riuscito a fare ben poco per se stesso: morì a soli 48 anni.
La modernità incomincia con Willam Harvey, il cui nome è legato alla scoperta della circolazione del sangue. Lo stesso anno della dimostrazione ufficiale - 1628 - nasce Marcello Malpighi, scopritore dei capillari sanguigni. Un balzo di due secoli - arriviamo all’Ottocento - e troviamo il vaccino contro il vaiolo, della cui scoperta porta l’onore Edward Jenner. Che però s’era arrampicato sulle spalle degli antichi medici cinesi: erano stati loro a sperimentare le prime immunizzazioni, insufflando nelle narici dei bambini croste vaiolose essiccate e ridotte in polvere.
A questo punto la medicina inizia quella corsa che prosegue ancora oggi con accelerazioni continue: gran parte delle scoperte significative sono state fatte negli ultimi centocinquant’anni. Il 90 per cento di tutti gli scienziati protagonisti dai tempi di Ippocrate è vissuto o nato nel secolo scorso. E da più di cent’anni l’assegnazione del Premio Nobel è il sigillo - con parecchie, forse troppe eccezioni - al merito. La galleria dei non premiati è comunque interessante: non lo ricevette Sabin, «benefattore dell’umanità», come lo proclamò il presidente Roosevelt, per il vaccino antipoliomielite (che non volle mai brevettare). Non lo ricevette Pincus, l’inventore della pillola anticoncezionale. Non lo ricevette Christian Barnard, il carismatico chirurgo sudafricano che, con i trapianti di cuore, aprì una strada insospettata. E neppure i due medici che per primi isolarono il virus dell’Aids - Gallo e Montagnier - travolti dalle polemiche sulla paternità della scoperta.
Diversamente andò a Koch che, isolando il bacillo della tubercolosi, fondò la batteriologia - insignito del Premio nel 1905. Nobel anche a Kendall per la scoperta del cortisone, ma non a Fleming per la penicillina. A Domagk per la scoperta dei sulfamidici, ma non a Freud per la psicoanalisi. A Crick e Watson per la doppia elica del Dna, ma non a Edwards per i baby in provetta. La storia fa però giustizia delle ingiustizie contingenti. E sul lungo periodo, dimostra Sterpellone, è possibile isolare i grandi che hanno cambiato la qualità della vita.