lunedì 27 settembre 2004

Bonito Oliva contro Andy Warhol:
superficialità e freddezza

Repubblica 27.9.04
Quando la merce diventa un classico
Esposti alla Triennale di Milano duecento suoi lavori, fra dipinti, disegni, sculture, ma anche fotografie, copertine e feticci
Con la sua presenza fredda, cancella ogni profondità, celebrando la superficie
L'individuo ripetuto in uomo massa, moltiplicato, diventa uno stereotipo
ACHILLE BONITO OLIVA

MILANO. La merce è la grande madre che accudisce il sonno, i sogni e gli incubi dell´uomo americano, che lo assiste in tutti i suoi bisogni, fino al punto di incentivare e creare altri nuovi consumi. La città è lo spazio, l´alveo naturale dell´american dream, inteso come sogno continuo di opulenza e di stordimento organizzato dalla merce. L´arte diventa il momento di esibizione splendente ed esemplare di tale sogno, la pratica alta che mette sulla scena definitiva del linguaggio lo stile basso delle immagini, prodotte dai mezzi di comunicazione di massa, dalla pubblicità e dagli altri strumenti di persuasione occulta ed esplicita dell´industria americana.
Andy Warhol è l´artista della Pop Art che cerca di dare classicità all´oggetto di consumo. Una sorta di Raffaello della società di massa americana. Di tale grandezza ne è soltanto un´eco, forse non potrebbe essere altrimenti, la mostra «The Andy Warhol show» alla Triennale di Milano (fino al 9 gennaio 2005, catalogo Skira). Il gran magazzino espositivo, segnala l´iperconsumo di Warhol come icona, fino alla presentazione feticistica del suo scalpo (una delle parrucche). Questo ci consente un lamento, parafrasando Goya: il sonno della ragione genera mostre! Ecco quindi il «The Andy Warhol show» trasformarsi nel «The Andy Warhol show room». Lo show comprende 200 lavori tra dipinti (tra cui numerosi ritratti di attori e attrici, cantanti, stilisti, galleristi, artisti, e nobildonne) disegni, fotografie, opere grafiche, illustrazioni di riviste, sculture giovanili, feticci di scarpe, copertine di riviste e prove delle sue esperienze di precoce vetrinista della vita. Che comunque amava la vita, fino a farsi ferire dal femminismo della Solanas e a creare opere di gruppo con Basquiat e Clemente.
«Tutti si rassomigliano e agiscono allo stesso modo, ogni giorno che passa di più. Penso che tutti dovrebbero essere macchine. Penso che tutti dovrebbero amarsi. La pop-art è amare le cose. Amare le cose vuol dire essere come una macchina, perché si fa continuamente la stessa cosa. Io dipingo in questo modo perché voglio essere una macchina». Questo dichiara Andy Warhol in una intervista di Swenson, apparsa su Art News, nel novembre del 1963. Andy Warhol è l´artista che tenta di dare una classicità alla nuova arte americana. Lo standard viene assunto a livello antropologico: la cancellazione di ogni psicologia individuale e la celebrazione snobistica dell´inespressivo.
Con la sua presenza fredda e distaccata, Warhol cancella ogni profondità e i suoi quadri, i suoi ritratti, diventano la celebrazione della superficie. Così l´artista adopera nell´arte l´idea del multiplo, dell´oggetto fatto in serie: l´individuo ripetuto in uomo massa, in uomo moltiplicato, portato dal sistema in una condizione di esistenza stereotipata. Al prodotto unico subentra l´opera ripetuta, la cui ripetizione comporta non più un´angoscia esistenziale ma il raggiungimento di uno stato di indifferenza che diventa l´ottica attraverso cui Warhol guarda il mondo.
Infatti nei suoi quadri ogni intenzione di segretezza viene ribaltata in ostentazione, che è la premessa di quel consumo cui la civiltà americana non intende sfuggire. L´occhio cinico dell´artista ci restituisce una condizione oggettiva dell´uomo medio americano alla quale egli stesso non sfugge, cui non intende sfuggire, in quanto i modelli adoperati non sono fuori dalla realtà americana ma dentro. Dentro ci sono le espressioni, le facce inespressive dell´ uomo-folla, gettato nella sua solitudine quotidiana, separato dagli altri uomini, incidenti d´auto, nature morte di fiori, riprodotti con gelida allegria attraverso il procedimento meccanico della serigrafia.
Così Warhol ribadisce e accetta lo stato di manipolazione di ogni cosa, anche dell´uomo, senza disperazione, senza possibilità di alternativa, applicando la considerazione irreversibile dell´uomo come "uomo consumato". Anche l´artista vive dentro una realtà già definita, in cui ogni prodotto è segno della merce. L´uomo viene confinato nello stato paralizzato di voyeur, dove ogni evento è il portato di un futuro già fissato in una distanza dal mondo, diventata a sua volta condizione inerte dell´esistenza.
In una realtà così freddamente ordinata nei suoi eventi strutturali, lo stato incerto e eccentrico dell´omosessualità diventa un varco mobile attraverso cui Warhol tenta, mediante autogratificazioni (il vestire, l´amare, il vivere, il creare, il produrre nella comunità della Factory) di affermare la propria identità. E in una realtà tecnologica che tende alla moltiplicazione e a moltiplicarsi, l´unica maniera di affermare tale identità è il raddoppio di se stessi: il rapporto omosessuale con l´altro uomo. Tale procedimento passa inevitabilmente attraverso lo specchio, attraverso l´onanismo, l´esibizionismo, il narcisismo, per cui ogni rapporto è pura tensione, possibilità bloccata nel suo nascere che definisce l´uomo come semplice voyeur della propria solitudine e del mondo.
L´accumulo grammaticale delle immagini è l´effetto di una mentalità che non ha il mito della complessità del mondo ma che anzi ha individuato le istanze dell´uomo e l´ineluttabile e necessaria esibizione ditali istanze, collegata alla dimensione non negativa di spettacolarità insita nel sistema sociale e economico. Così Warhol situa le proprie immagini per associazione elementare, che riflette con cinica disperazione il destino dell´uomo: l´esibizione come esibizionismo, quale ineluttabile cancellazione della profondità e riduzione a uno splendente superficialismo. Lo spegnimento della profondità psicologica segna il punto di massima socialità nell´opera di Warhol.