Repubblica 18.9.04
UN INEDITO DI ABY WARBURG SUGLI INDIANI DEI PUEBLO
Il pensiero magico che rispetta la natura
ABY WARBURG
Presso gli Indiani ho osservato due processi paralleli che mostrano in modo evidente la lotta dell´uomo con la natura. Anzitutto la volontà di assoggettare magicamente la natura, attraverso una trasformazione in animali. Inoltre, la capacità di comprendere la natura in una astrazione evidente, in quanto l´aspetto architettonico viene concepito come una totalità oggettivamente coerente e tettonicamente determinata.
Riguardo alla psicologia concernente la volontà di mutarsi in animali, Frank Hamilton Cushing, il pioniere e veterano della battaglia per il discernimento dell´anima indiana, mi ha aperto delle prospettive nuove che mi hanno personalmente entusiasmato ancora prima che iniziassi il mio viaggio. Quest´uomo dalla faccia butterata e dai radi capelli rossi, di età indefinibile, mentre fumava una sigaretta mi raccontò che un giorno un indiano gli aveva chiesto: «Perché l´uomo dovrebbe collocarsi al di sopra degli animali? Guarda l´antilope, essa non è altro che la sua velocità e corre talmente meglio dell´uomo; oppure, osserva l´orso, esso è pura forza. Gli uomini sono soltanto capaci di fare qualche cosa, mentre l´animale è invece capace di esprimere ciò che è, in modo totale».
Per l´uomo primitivo gli animali sono un simbolo magico compiuto di fronte al quale i tentativi degli esseri umani sembrano frammentari ed insufficienti.
All´europeo, degenerato dal suo razionalismo, la cultura primitiva degli Indiani Pueblo si rivela un ausilio doloroso e scomodo, al quale l´uomo europeo non ricorre volentieri. Essa distruggerebbe infatti radicalmente la sua credenza in un idilliaco ed accogliente paese fiabesco come una comune patria originaria prima del peccato originale dell´Illuminismo. Lo sfondo fiabesco nel gioco e nell´arte degli Indiani è il sintomo e la dimostrazione d´un disperato tentativo di creare un ordine nel caos; non è un modo sorridente e comodo di lasciarsi trascinare dal flusso delle cose.
Una bestia favolosa, apparentemente il prodotto più tangibile della fantasia ludica, è allo status nascendi un abstractum elaborato in modo molto arduo. Si tratta di determinare l´estensione di fenomeni che, per il loro carattere elusivo e fluttuante, sono altrimenti inconcepibili. Ne è esempio la danza del serpente di Oraibi.
La regione è un arido deserto. La pioggia non cade che d´agosto, accompagnata da forti temporali. Se essa non giunge, allora tutto il duro lavoro agricolo e la faticosa coltivazione delle piante di un intero anno (mais e pesche) finiscono per risultare vani. Se invece il fulmine appare, allora per un anno la fame è bandita.
La forma serpentina del fulmine, il suo enigmatico movimento, senza ben definito inizio, né fine, la sua pericolosità, lo accomuna al serpente che si caratterizza per un massimo di movimento ed un minimo di superficie d´attacco. Se si tiene in mano il tipo più pericoloso, cioè il serpente a sonagli, come fanno effettivamente gli Indiani, e lo si lascia mordere senza poi ucciderlo, anzi lo si riporta nel deserto, significa che la forza umana ha cercato di comprendere manipolando ciò che sfugge alle tecniche di manipolazione.
La categoria primitiva della forma del pensiero causale è rappresentata dalla filiazione. Essa ci mostra l´enigma di una evidente connessione materiale legata al trauma incomprensibile della separazione delle creature l´una dall´altra. Lo spazio del pensiero astratto tra soggetto ed oggetto ha origine nell´esperienza del taglio del cordone ombelicale.
Il "selvaggio" perplesso di fronte alla natura è come un orfano privo della protezione paterna. Il suo coraggio di sviluppare la causalità si manifesta nella scelta di un animale-padre con il quale stabilisce una affinità elettiva, un animale-padre che gli trasmette quelle capacità di cui egli ha bisogno nella lotta contro la natura, qualità che rispetto all´animale egli individua in se stesso solo in modo debole e disperso. Questo è il fondamento originario del totemismo.
Così, il serpente così tanto temuto cessa di essere terribile se lo si adotta come genitore. A questo proposito bisogna ricordare che nelle comunità dei Pueblo vige il diritto materno. I Pueblo cercano cioè la causa dell´esistenza nell´inconfutabile mater certa. La rappresentazione della causa - e in ciò consiste la conquista scientifica dei cosiddetti selvaggi - è oscillante tra l´uomo e l´animale, e la forma più estrema di tale mutazione si trova appunto nella danza: attraverso la propria musica e - come nella danza del serpente a sonagli - addirittura grazie all´appropriazione dello stesso essere vivente.
Nell´aprile 1896, nella seconda parte del mio viaggio attraverso la regione degli Indiani Pueblo, impiegai due giorni di viaggio in carrozza da Hollbrook per raggiungere la fattoria di Mr. Keam, l´Indian-Trader per gli Indiani Moki, i cui villaggi sono collocati ad est, su tre piattaforme rocciose parallele. L´insediamento situato più a est si chiama Oraibi. Qui, ai piedi della roccia, si era stabilito un missionario, il Signor Voth, la cui moglie, di origine sveva, mi accolse con grande gentilezza. Nel corso della sua pluriennale frequentazione degli Indiani, Voth era riuscito a guadagnare la loro fiducia, anche a scapito della sua vocazione di missionario.
Voth studiava gli Indiani, comprava i loro prodotti ed esercitava un florido commercio con questi oggetti. E dato che questa popolazione aveva in lui una straordinaria fiducia, Voth aveva la possibilità di fotografare le loro danze, fatto questo che i Moki non permettono perché hanno paura che la loro immagine possa essere duplicata. Così mi fu possibile vedere e fotografare, assieme a lui, una danza Humiskachina, una danza cioè per far germogliare il mais. Si trattava di una danza di maschere ove i partecipanti si suddividevano in due gruppi. Il primo, composto da uomini vestiti da donna, era inginocchiato e faceva musica. Di fronte a loro erano allineati i danzatori veri e propri, il cui movimento, un lento girare attorno a se stessi, era accompagnato da un canto monotono e dal crepitio continuo di sonagli e di raganelle di legno. Questo gruppo di uomini, allineato su due file, era orientato verso un piccolo tempio di pietra davanti al quale era stato piantato nel suolo un piccolo albero ornato di penne, dette nakwakoci. Come mi era stato spiegato, una volta compiuto il rituale della danza le penne venivano portate a valle. Se ne possono trovare fissate anche sui baho - propiziatori di preghiera - costituiti da bastoncini di legno.
Durante la danza un indiano senza maschera, con capelli lunghi e completamente vestito, circonda i danzatori cospargendoli di farina.
La maschera è costituita da un rettangolo diviso da una diagonale che forma due triangoli di colore rosso e verde. Lungo la diagonale corrono dei puntini che dovrebbero rappresentare la pioggia. Alla sommità di entrambi i lati spuntano delle punte di legno intagliate a forma di zig-zag, che probabilmente rappresentano il fulmine.
La danza, organizzata in diversi gruppi, dura dalla mattina alla sera. Quando i danzatori accaldati si vogliono togliere la maschera bollente per riposarsi, si ritirano brevemente su uno spuntone di roccia fuori dal villaggio. La danza prosegue fino a notte inoltrata.
Gli Indiani che prendono parte alla danza mascherata Catcina, non rappresentano le divinità, e non sono solo dei sacerdoti. In quanto intermediari demoniaci tra il popolo e le potenze celesti, essi possiedono un potere magico solo quando portano le maschere.
Il loro compito consiste nell´invocare con la danza e la preghiera la pioggia fecondatrice. Nelle aride steppe dell´Arizona e del Nuovo Messico, l´indiano, attraverso le sue preghiere più fervide, evoca il temporale, poiché, se non piove nel mese di agosto - l´unico periodo in cui può giungere la pioggia - il mais non riesce a maturare, e lo spirito maligno della fame si avvicina, portando con sé preoccupazioni e sofferenza nei lungi e duri mesi invernali.
«SEGNALAZIONI» è il titolo della testata indipendente di Fulvio Iannaco che - registrata già nel 2001 - ha ormai compiuto il diciottesimo anno della propria continua ricerca e resistenza.
Dal 2007 - poi - alla sua caratteristica originaria di libera espressione del proprio ideatore, «Segnalazioni» ha unito la propria adesione alla «Associazione Amore e Psiche» - della quale fu fra i primissimi fondatori - nella prospettiva storica della realizzazione della «Fondazione Massimo Fagioli»