mercoledì 1 settembre 2004

tre articoli

Farmacia.it
29 Agosto 2004 - 14:06
SALUTE:DEPRESSIONE,SINDROME ANONIMATO COLPISCE UNO SU TRE


(ANSA) - ROMA, 29 AGO - Italiani, popolo di depressi. In barba al luogo comune che ci vede allegri e spensierati, sono ben 10 milioni (18% della popolazione) le persone colpite negli ultimi dieci anni dal male oscuro. Tra le cause principali, non l'amore o i cattivi rapporti in famiglia, come ci si aspetterebbe, ma la cosiddetta 'sindrome da anonimato', che colpisce un italiano su tre (32%). E' quanto emerge da uno studio condotto su 850 persone di eta' compresa tra i 18 e i 66 anni, pubblicato sul mensile 'Riza Psicosomatica', in edicola nei prossimi giorni. Al primo posto tra le cause della depressione c'e' infatti il dramma di non sentirsi realizzati nella vita privata e nelle ambizioni professionali (29%), un disagio che provoca piu' sofferenza della solitudine (27%). Cresce tra i motivi principali del malessere l'anonimato (18%), ritenuto piu' grave di una vita troppo routinaria (14%) e delle delusioni in campo amoroso, fonte di depressione appena nell'8% dei casi. "Se non sei famoso, sei un fallito", e' questo il pensiero che colpisce gli italiani vittime di una societa' dove la comunicazione e il successo sono tutto. Una persona su tre si sente irrealizzata perche' ritiene che il benessere dipenda dalla fama e dalla notorieta', e avverte malessere profondo quando si trova sola e sconosciuta in mezzo alla gente. "Una volta la sindrome da anonimato colpiva soltanto quei vip la cui fama durava lo spazio di una stagione - si legge nella rivista -. Oggi invece contagia proprio le persone comuni in quanto tali, soprattutto quella generazione per la quale la realta' finisce spesso con lo sconfinare in un reality show". I momenti in cui la 'sindrome da anonimato' sembra colpire di piu' sono quando si e' in mezzo alla gente (62%), guardando la tv (55%), dove ci si identifica con quei personaggi che sono riusciti a sfondare proprio perche' persone qualsiasi, da soli a casa (43%) o quando si esce con gli amici (30%). La ricetta per essere felici e' dunque quella di diventare qualcuno o realizzare i propri sogni. Secondo lo studio, sette italiani su dieci (68%) ritengono infatti che serenita' faccia rima con notorieta', per il 25% felicita' e' realizzare i propri sogni, per il 18% stare con gli amici, per il 14% fare carriera e per appena il 6% lo stare bene in famiglia. (ANSA).

Yahoo!Notizie
Martedì 31 Agosto 2004, 9:59
Aripiprazolo, un nuovo antipsicotico per il trattamento della schizofrenia
Di PsichiatriaOnline.net


( Xagena - Psichiatria ) - L'Aripiprazolo ( Abilify ) è un farmaco antipsicotico che trova indicazione nel trattamento della schizofrenia.
Il meccanismo dell'Aripiprazolo non è noto.
Si ritiene che l'efficacia del farmaco sia mediata da una combinazione di parziale attività agonista a livello dei recettori D2 e 5-HT1A e di attività antagonista a livello dei recettori 5-HT2A.
In Europa l'Abilify è commercializzato nella confezione da 5 mg, 10 mg, 15 mg e 30 mg.
Con tutti i farmaci antipsicotici, tra cui l'Aripiprazolo, si possono verificare gravi effetti indesiderati.
Una rara sindrome minacciante la vita, sindrome neurolettica maligna, può verificarsi con tutti gli antipsicotici.
Un'altra condizione associata ai farmaci antipsicotici è la discinesia tardiva, che può causare movimenti involontari potenzialmente irreversibili.
L'iperglicemia è stata riportata nei pazienti trattati con antipsicotici.
Non è noto se l'Aripiprazolo sia associato al rischio di iperglicemia.
Essendo un farmaco commercializzato negli USA solo a partire dal 2002 non esistono al riguardo dati epidemiologici significativi.
Tuttavia sono stati segnalati alcuni casi di iperglicemia anche tra i pazienti che hanno assunto l'Aripiprazolo.
Per questo motivo i pazienti a cui è prescritto Abilify dovrebbero essere tenuti periodicamente sotto osservazione.
Tra coloro che assumono farmaci antipsicotici può manifestarsi un'ipotensione ortostatica.
Come per tutti gli antipsicotici l'Aripiprazolo dovrebbe essere impiegato con cautela nei pazienti con una storia di convulsioni.
I più comuni effetti indesiderati dopo assunzione di Aripiprazolo ( rispetto al placebo ) riportati negli studi clinici di breve periodo comprendono : cefalea ( 32% versus 25% ), stato d'ansia ( 25% versus 24% ), insonnia ( 24% versus 19% ), nausea ( 14% versus 10% ), vomito ( 12% versus 7% ), sonnolenza ( 11% versus 8% ), sensazione di testa vuota ( 11% versus 7% ), irrequietezza ( 10% versus 7% ), costipazione ( 10% versus 8% ).
Gli eventi avversi riportati in uno studio in doppio cieco, che ha confrontato l'Aripiprazolo con il placebo, sono risultati simili agli effetti osservati nel breve periodo con l'eccezione di un'alta incidenza di tremore: 9% nei pazienti trattati con Aripiprazolo versus 1% con il placebo.
In uno studio di lunga durata, 52 settimane, l'incidenza di tremore dopo somministrazione di Aripiprazolo è stata del 4%. ( Xagena )

Fonte: FDA

Corriere della Sera
31 agosto 2004
Abbiamo un corpo, un sistema nervoso e un cervello; e poi ...
La capacità di interrogarci permette di combinare infiniti messaggi


Abbiamo un corpo, un sistema nervoso e un cervello; e poi abbiamo una mente. Soprattutto per alcuni suoi aspetti, questa ci distingue da tutti gli altri esseri e probabilmente da tutto quello che esiste. Non ci stancheremo mai di analizzare che cosa è la mente e come funziona; e niente ci potrà dire di più su quello che siamo veramente. Sembra, quindi, particolarmente appropriato che si sia deciso di organizzare un «Festival della mente», che si svolgerà a Sarzana da venerdì 3 a domenica 5 settembre. Lo studio della mente è progredito enormemente e ci permette di trarre un gran numero di conclusioni. Quello che mi colpisce di più e che personalmente mi affascina è l'assoluta peculiarità delle modalità con le quali percepiamo il mondo, lo categorizziamo e interagiamo con esso. Si tratta di un tema con precedenti filosofici illustri. Dalla massima greca secondo la quale «l'uomo è misura di tutte le cose», alla grandiosa indagine kantiana sulle caratteristiche delle forme a priori mediante le quali gli uomini - tutti gli uomini - conoscono il mondo o, meglio, conoscono quello che è conoscibile del mondo. Siamo vicini a potere stilare una lista di qualcosa di molto simile alle categorie kantiane e al loro modo di operare, su una base puramente sperimentale. In campo filosofico, si è cominciato a parlare da tempo di un'epistemologia naturalizzata e alcuni scienziati hanno già usato un termine che a me piace moltissimo: epistemologia sperimentale. Si tratta di mettere in luce, attraverso esperimenti condotti su persone perfettamente normali e su pazienti che portano piccole lesioni nel loro sistema nervoso, quali sono le caratteristiche del nostro modo di vedere il mondo attraverso i sensi, di rappresentarcelo mentalmente e di interagire cognitivamente ed emotivamente con quello.
Prendiamo ad esempio i nostri sensi, la finestra attraverso la quale il nostro io si affaccia sul mondo. Abbiamo sempre saputo che si tratta di una finestra angusta, che ci permette di percepire alcune cose e altre no. È stato un po' un luogo comune del pensiero filosofico quello di affermare che i nostri sensi ci ingannano, anche se in un frammento attribuito a Democrito, all'Intelletto che aveva affermato l'illusorietà di ciò che i sensi ci mostrano, quelli molto opportunamente ribattono: «Mio povero Intelletto, tu pretendi di ricavare da quello che ti mostriamo noi la conclusione che noi sbagliamo? In questo modo la tua vittoria è la tua sconfitta».
I nostri sensi non ci ingannano: fanno solo quello che possono. Ci offrono la loro versione della realtà, l'unica possibile per ciascuno di noi, se non ci si confronta con gli altri e con gli strumenti che la collettività umana ha approntato. Oggi sappiamo quanto parziale e singolare sia il modo con cui i nostri sensi ci presentano il mondo, che essi non osservano passivamente, ma interrogano, ponendo domande specifiche, predeterminate e codificate. E non sono preparati a ricevere una risposta qualsiasi, ma solo una delle possibili, contemplate dal nostro sistema percettivo che opera sulla base di un glossario finito e discontinuo dove non c'è posto per posizioni intermedie.
Nella retina del ranocchio, per esempio, esistono cellule nervose che si attivano soltanto se questo vede passare un moscone e ci sono cellule nella nostra corteccia cerebrale visiva che si attivano soltanto se nella scena che si sta osservando sono presenti linee verticali. Queste e solo queste sono le domande che tali cellule si pongono e le corrispondenti risposte sono tutto ciò che ad esse interessa. Ogni specie biologica possiede la sua dotazione di domande sensoriali e di risposte possibili. Noi non percepiamo la radiazione ultravioletta né siamo sensibili agli ultrasuoni, mentre la vita dei pipistrelli dipende da questa loro sensibilità. Così non siamo assolutamente sensibili ai campi elettrici, mentre le torpedini lo sono. Esiste inoltre un'incredibile abbondanza di segnali chimici diversi che interessano questa o quella specie e che per le altre non hanno alcun significato. Un cane «vede» un mondo molto diverso da noi e la zecca «vede» un mondo ancora più originale, visto che in certi momenti è sensibile soltanto alla concentrazione di acido butirrico nell'aria.
Potremmo andare avanti all'infinito con questi esempi, ma la lezione è semplice. Quello che percepiamo nasce dalla combinazione di innumerevoli messaggi sensoriali parziali e settoriali, ciascuno dei quali non significa di per sé assolutamente nulla ma che acquista un senso solo alla luce della nostra rete di domande. Altrettanto settoriale e parziale è il nostro modo di rappresentarci concettualmente il mondo, di vedere ad esempio una destra e una sinistra, di considerare che cosa è significativo e cosa no, che cosa è pericoloso e che cosa è promettente, che cosa ricordare e cosa no, che cosa è vitale e che cosa ci soddisfa.
Noi non ci accorgiamo di tutta questa particolarità e di questa frammentarietà, come non ci accorgiamo del fatto che un film è un insieme di fotogrammi fissi che scorrono davanti ai nostri occhi. Non ce ne accorgiamo perché la nostra corteccia cerebrale esegue il «montaggio» finale di tutto ciò che le perviene, in una fantastica messa in scena parallela al succedersi degli eventi esterni. Forse non sapremo mai quanto parallela sia veramente questa scena, ma siamo gli unici esseri viventi che si pongono la domanda. Che si pongono delle domande.