L'Arena 12.9.04
«Ho trovato la città sommersa»
Un veronese ha partecipato alla spedizione in America Latina che nelle profondità del lago Titicaca ha individuato le tracce di un’antica civiltà. Fra cui uno straordinario idolo d’oro
«Volevamo provare che migliaia di anni fa l’acqua era molto più bassa e gran parte degli attuali fondali era emersa», dice Paolo Costa. «Il sogno? Far affiorare palazzi, case, statue»
Sott’acqua muri, strade, oggetti: un’Atlantide più antica delle Piramidi
di Bonifacio Pignatti
Un idolo d’oro, una civiltà sepolta sotto il lago navigabile più alto del mondo, isole sommerse, tracce di sacrifici umani, resti di manufatti più antichi delle Piramidi d’Egitto, perfino una parentela con i misteri di Atlantide, il richiamo al mitico Eldorado. Non sono gli ingredienti di una nuova puntata di Indiana Jones o il frutto della immaginifica vena dello scrittore Wilbur Smith. «È una delle più importanti scoperte archeologiche degli ultimi anni. Ed è stata un’emozione grandissima avervi partecipato da protagonista».
Parola di Paolo Costa, 32 anni di Zevio, di mestiere programmatore informatico all’Autogerma e per un mese all’anno - quello delle ferie di agosto - esploratore, speleologo e archeologo. Tutti gli anni così: aspetta in gloria l’estate non per godersi il mare o la montagna ma per calarsi in panni diventati la sua seconda pelle dal 1995, anno di iscrizione al gruppo speleologico di Montecchia di Crosara di cui è presidente lo zio Giovanni Confente, insomma una «malattia» di famiglia. Da allora la routine sono le escursioni e l’assistenza all’attività paleontologica di Bolca, la passione e il brivido sono le spedizioni in America Latina.
Paolo Costa da qualche giorno è tornato dalla Bolivia. Dove proprio con Giovanni Confente ha partecipato alla straordinaria spedizione sul lago Titicaca organizzata dall’associazione lecchese Akakor Geographical Exploring, una onlus nata nel 1992 per impulso del presidente Lorenzo Epis e lo slancio di un gruppo di speleologi allora quasi dilettanti e oggi ormai collaudati professionisti dell’avventura richiesti in mezzo mondo. «Ci siamo conosciuti qualche anno fa a un convegno», dice Costa, «e da allora partecipiamo alle loro spedizioni. Ciascuno si paga il viaggio, ma non basta: i costi elevati di materiali e trasporti - la missione sul Titicaca è costata 200 mila euro - richiedono la partecipazione di sponsor e l’appoggio di aziende ed enti pubblici».
Ascoltiamo il racconto di Paolo Costa: «Lo scopo della spedizione era provare una teoria formulata da Akakor. Dopo due esplorazioni precedenti, l’associazione è convinta che fino a 5-8 mila anni fa il livello del lago Titicaca fosse molto più basso, almeno 100 metri meno dell’attuale. Dunque il nostro obiettivo era scoprire basamenti, muri, monoliti sommersi a testimonianza del fatto che a quelle profondità un tempo non c’era acqua ma vita sociale. Nella speranza, ovviamente, che fondali un tempo emersi restituissero resti delle antichissime civiltà precedenti al periodo Incas - dal 500 al 1500 dopo Cristo - e stanziate nell’area del lago fin da 60 mila anni prima di Cristo, per esempio i Tiwanaku di cui già si conoscono vestigia terrestri».
Teoria affascinante, guardata con sospetto da gran parte dell’ establishment scientifico sudamericano, a maggior ragione da quando un inglese, Jim Allen, s’è fissato che proprio il Titicaca nasconda negli abissi la verità sulla celebre leggenda di Atlantide. Il risultato è che le due spedizioni di preparazione, nel 2000 e 2002, erano state accompagnate da non poche polemiche e in parte guastate dall’avversità dei campesinos locali per l’intrusione di stranieri su quelle montagne incantate ancora circonfuse da un’aura di sacralità. «Diversamente quest’anno», dice Costa, «non ci sono stati problemi con gli abitanti dei villaggi perchè abbiamo accettato di partecipare a riti di purificazione. Evitato il sacrilegio e convinti loro che non avremmo rubato nulla, abbiamo potuto lavorare bene».
La missione di quest’anno è stata seguita dagli archeologi boliviani del ministero della Cultura e da uno studioso brasiliano dell’Università di San Paolo, a differenza di altri loro colleghi disposti a dare credito scientifico alla «scommessa» di Akakor. Scommessa vincente, alla fine. «Abbiamo fatto due scoperte importanti, sott’acqua: l’isola sommersa Wilakota (“lago di sangue”), scomparsa ma testimoniata e tramandata da cronache spagnole dei conquistadores, e un’altra isola sulla quale nell’antichità si celebravano sacrifici umani di bimbi, anche questa tuttora presente nella memoria collettiva dei locali. In una grotta semisommersa sono stati ritrovati perfino i solchi lasciati dalla lama sulla roccia usata dal sacerdote per affilare il coltello. Nelle vicinanze sono comparsi vasi di tipo amazzonico, segno che gli antichi popoli venivano dalla foresta sulle Ande per compiere sacrifici. S’è capito che anche la celebre Isola del Sole, sacra agli Incas e sede del campo base della spedizione, in passato era una penisola. E che probabilmente sia quella sia altre isole sacre vanno cercate più in basso e non corrispondono a quelle indentificate attualmente. Insomma, se i riscontri scientifici daranno conferma dei rilevamenti compiuti da Akakor, ci sarà da riscrivere una parte dei libri di storia andina».
Ma l’emozione più grande dei 20 giorni di missione è arrivata subito, alla prima esplorazione. «A 81 metri di profondità abbiamo filmato qualcosa che brillava. Rivedendo le immagini, si trattava chiaramente di un idolo d’oro antropomorfo. Gli archeologi ne hanno fissato le probabili misure: 40-60 centimetri di altezza, 30 chili di peso. È incastonato nella roccia, segno che non è stato portato al largo dalle correnti. E segno, forse, che lì sotto si nascondono le vestigia di un’antica civiltà sommersa, una civiltà che potrebbe risalire a 5-10 mila anni fa, più antica delle Piramidi. Se laggiù ci fosse una città con palazzi, case, statue... È il nostro sogno, il sogno di ogni archeologo».
Il sito dell’idolo d’oro è stato tenuto segreto, per evitare le incursioni di saccheggiatori attirati dal miraggio dell’Eldorado e il rischio che qualche avventuriero provi a immergersi a quelle pericolose e gelide profondità. A 4000 metri di altitudine e con 11 gradi di temperatura superficiale dell’acqua non si scherza. Per questo la spedizione era stata fornita da un ente pubblico brasiliano di alcuni robot subacquei con telecamere (Rov) che hanno potuto riprendere i fondali alle quote non raggiungibili dalle squadre di immersione di Akakor. A 100 metri hanno rivelato l’esistenza di un muro di contenimento che ha ulteriormente suffragato la teoria dell’innalzamentro del livello del lago. «È lontano dalla costa, quindi non è caduto in acqua. Prova che quelle profondità una volta erano all’asciutto», dice Costa. Il quale ha fatto parte di una delle squadre incaricate di effettuare rilievi batimetrici con l’ecosonda, anche in questo caso con risultati oltre le attese, se è vero che sono stati rilevati percorsi subacquei ritenuti tracce di antiche strade in superficie».
Isole, muri, idoli sommersi... Alla conferenza stampa tenuta a La Paz al termine della spedizione i giornalisti non chiedevano che di Atlantide, la misteriosa civiltà sommersa. Era quello l’obiettivo di Akakor? «Guarda caso qualche giorno fa La7 ha trasmesso un documentario che illustrava la teoria di Jim Allen e utilizzava nostre immagini di spedizioni precedenti», dice Costa. «Ma le nostre ricerche con Atlantide non hanno nulla a che fare, e in Bolivia l’abbiamo spiegato».
Sui fondali del lago Titicaca la spedizione ha recuperato una cinquantina di oggetti - vasellame, soprattutto - ora depositati al museo di La Paz, dove veranno esaminati dagli studiosi locali. «Per i risultati scientifici della missione», dice Costa, «si dovrà attendere qualche mese, dopo che anche noi avremo passato in rassegna il nostro materiale, 35 ore di filmati subacquei, 5.000 foto digitali, chilometri di rilievi batimetrici».
La missione darà lavoro anche ai naturalisti. È stata la prima occasione di esplorare le acque del Titicaca dopo le immersioni del batiscafo di Jacques Cousteau nel 1968. «Ma mentre l’esploratore il francese era sceso solo fino a 60 metri», dice ancora Costa, «noi a 110 metri di profondità abbiamo fotografato pesci di una specie probabilmente non classificata, e enormi branchi di micro-organismi tipo plancton che i locali chiamano concha e che finora non sono mai stati studiati. Ne abbiamo recuperati campioni, saranno esaminati in Brasile».
E ora, Paolo Costa? «Forse di questa spedizione si farà un libro. Per quanto mi riguarda, me ne sto buono al lavoro per un anno e l’estate prossima si riparte. Dove? Il campo di ricerca preferito è la regione andina, ma chissà che in futuro...»
L’obiettivo della missione
A quasi 4.000 metri di altitudine da sempre sacro ai popoli andini
A 3.812 metri sul livello del mare, il Titicaca è il lago navigabile a più alta quota nel mondo. Esteso per 8.400 chilometri quadrati, si allunga fra la Bolivia e il Perù ed è grande quanto l’Umbria. La lunghezza massima è di 176 chilometri, la larghezza 70. È un lago profondo, con punte massime intorno ai 300 metri, e dalla notte dei tempi le sue rive sono abitate da popolazioni indigene che lo considerano sacro. Delle sue 36 isole le più famose sono l’Isal del Sol e l’Isla de la Luna, che secondo la mitologia degli Incas erano il luogo della creazione. Più che un lago unico, il Titicaca si presenta come due laghi congiunti dallo stretto di Tiquina: il Lago Mayor (in dialetto quechua «Chuchuito») è a nord e contiene le isole sacre; il Lago Minor («Huinamarca») è a sud e contiene diversi isolotti. L’acqua è dappertutto di un azzurro puro e splendente.
A portare la missione di Akakor sul Titicaca è la convinzione che sulle sue rive, ma anche nei fondali un tempo emersi, fossero fiorite raffinate civiltà preincaiche. Non solo la civiltà Tiwanaco che ha dato il nome alla missione - i precursori degli Incas vissuti sulle Ande dal 1500 avanti Cristo al 1172 della nostra era - ma anche popoli più antichi, risalenti a 5-10 mila anni prima di Cristo.
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