Storia della stella a cinque punte
La "divina proporzione" di questa figura affascinò Leonardo, Piero della Francesca e persino le Brigate Rosse
Pochi simboli hanno avuto fortuna come quello elaborato dall'antico filosofo e matematico
Si tiene oggi a Fermo un convegno dedicato alla sezione aurea
Dodecaedro e icosaedro estasiarono tutti gli addetti per la loro bellezza
PIERGIORGIO ODIFREDDI
Nell'ambito delle iniziative del convegno avrà luogo questa sera la rappresentazione di «DIVINA PROPORZIONE» di Francesca Angeli con Elda Alvigini
(leggi tutte le informazioni su SPAZI)
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Si tiene oggi, all´Auditorium San Martino di Fermo, un convegno dal titolo "La sezione aurea" affiancato alla mostra di poliedri "Il numero e le sue forme". Intervengono il filosofo Giulio Giorello, il biologo Aldo Fasolo, l´architetto Giuliano Grisleri, il musicologo Piero Marconi. In questa pagina, anticipiamo la relazione introduttiva del matematico Pochi simboli hanno avuto, nella storia, il potere d´attrazione della stella pitagorica: di quella figura a cinque punte, cioè, che si ottiene tracciando le diagonali di un pentagono regolare. In Italia oggi noi l´associamo automaticamente alle Brigate Rosse, ma il suo utilizzo rivoluzionario ha radici lontane: essa non è infatti altro che la famosa Stella rossa sulla Cina dell´omonimo libro di Edgar Snow, ed è stata adottata in periodi diversi dall´Armata Rossa, dalle Brigate Garibaldi, dai Vietcong e dai Tupamaros.
Leggendo le loro memorie si scopre che i primi brigatisti, da Franceschini a Moretti, non riuscivano mai a disegnarla bene: veniva sempre un po´ squilibrata verso l´alto, quando addirittura non ci scappava una stella di David a sei punte. E con buone ragioni, perché la costruzione di un pentagono regolare non è immediata come quella di un triangolo, un quadrato o un esagono regolari, e coinvolge, implicitamente o esplicitamente, la divisione di un segmento in «divina proporzione» o «sezione aurea».
Naturalmente, i roboanti aggettivi suggeriscono che in quella proporzione sia coinvolto qualcosa di sublimemente estetico, e infatti così pensavano i pitagorici che la scoprirono. Cosa ci sia di divino, o di aureo, nella stella pitagorica, è difficile da intuire a prima vista: certo non il fatto che essa, avendo tante punte quante sono le lettere del nome Jesus, possa impaurire il demonio, come succede a Mefistofele nel Faust di Goethe.
Ma una volta che si cominci ad apprezzare l´equilibrio del rapporto tra la diagonale e il lato del pentagono regolare, si scoperchia una vera cornucopia. Anzitutto, il «rettangolo aureo» avente i due segmenti per lati ha una magica proprietà, illustrata dalla divisione in due scene della Flagellazione di Cristo di Piero della Francesca: togliendo il quadrato costruito sul lato minore, rimane un rettangolo che è simile a quello di partenza. Al quale, naturalmente, si può riapplicare lo stesso procedimento, e così via, innescando un inarrestabile processo che costituisce una delle prime immagini storiche dell´infinito.
Un´altra immagine dell´infinito, ancora più evidente, si ottiene notando che i lati della stella pitagorica formano al centro una figura che non è altro che un nuovo pentagono regolare. Dentro al quale, naturalmente, si può costruire un´altra stella pitagorica, e così via. La successione telescopica di pentagoni e stelle, simile a un esercito senza fine di bambole russe contenute una nell´altra, suggerisce che la diagonale e il lato del pentagono siano grandezze fra loro incommensurabili.
Ed è probabile che proprio questo sia stato il primo esempio di quelle grandezze irrazionali, la cui scoperta mise in crisi il credo pitagorico che «tutto è numero»: una delusione profonda, che scavò un solco fra la razionalità scientifica che si poteva esprimere attraverso l´aritmetica, e l´irrazionalità artistica di cui la sezione aurea rappresentava l´esempio primordiale.
A scanso di equivoci, in origine «irrazionalità» non significava altro che «incommensurabilità», sia in greco che in latino: l´impossibilità, cioè, di misurare esattamente la diagonale e il lato del pentagono con una stessa unità di misura, perché una misura intera di una delle due grandezze esclude una misura intera dell´altra. Una specie di «principio di indeterminazione» geometrico, dunque, che precede di 2500 anni quello fisico scoperto da Heisenberg nel Novecento per la posizione e la velocità di una particella.
L´aspetto interessante della crisi pitagorica è che entrambi i termini del dilemma hanno continuato ad esercitare la loro indipendente attrazione, come poli opposti di una stessa calamita. Da un lato, il motto «tutto è numero» è rimasto l´ispirazione principale della scienza, opportunamente aggiornato nella forma «tutto è matematica», a includere non soltanto i numeri dell´aritmetica, ma anche, via via, le figure della geometria, le funzioni dell´analisi e le strutture dell´algebra e della topologia. Attraverso l´Armonia del mondo di Keplero la sua influenza si è propagata fino ai nostri giorni, e la sua versione più aggiornata e compiuta è oggi la teoria delle stringhe, che dovrebbe fornire la spiegazione ultima e finale dell´universo in linguaggio matematico.
Dall´altro lato, anche l´attrazione estetica della sezione aurea è rimasta immutata nei secoli. Il primo campo in cui essa si è mostrata è stata la matematica: dagli Elementi di Euclide alla Divina proporzione di Luca Pacioli, gli addetti ai lavori si sono estasiati di fronte alla bellezza del dodecaedro e dell´icosaedro, ottenuti l´uno mettendo insieme dodici pentagoni regolari, e l´altro congiungendo i dodici vertici di tre rettangoli aurei incastrati perpendicolarmente fra loro.
E quando si parla di addetti ai lavori, non ci si limita ai matematici: anche gli artisti hanno subíto il fascino di questi oggetti, da Leonardo a Dalí. Le illustrazioni del primo per il libro di Luca Pacioli hanno fatto storia, nelle loro versioni piene e vacue, e si possono ora ammirare realizzate in legno da Romano Folicaldi nella mostra di Fermo «Il numero e le sue forme», insieme a una varietà di altri poliedri. E nei Cinquanta segreti dell´artigianato magico il secondo ha discusso non soltanto i disegni di Leonardo, ma anche il proprio personale uso della stella pitagorica nell´impianto della Leda atomica, e del dodecaedro nella struttura de L´ultima cena».
Se in pittura la sezione aurea si presenta come paradigma di proporzione estetica, non stupisce ritrovarla anche nella scultura e in architettura, da Fidia a Le Corbusier. Addirittura, spesso il rapporto numerico tra diagonale e lato del pentagono viene appunto indicato con Phi, in onore del primo (oltre che di Fibonacci, che sta per entrare in scena). Quanto al secondo, il suo Modulor prende significativamente il nome da «module d´or», e utilizza la sezione aurea per determinare due serie, una rossa e una blu, di dimensioni armoniche a misura d´uomo, da utilizzare nella progettazione non solo degli edifici, ma anche dei mobili e degli oggetti di casa.
Anche nella musica la sezione aurea ha giocato un ruolo importante, da Bach a Bela Bartok. Il primo popolarizzò nei 48 preludi e fughe del Clavicembalo ben temperato il sistema di temperamento equabile tuttora in uso, che consiste nella divisione dell´ottava in dodici semitoni uguali fra loro, e che matematicamente corrisponde a una «spirale aurea» (per inciso, la «divisione aurea» dell´ottava corrisponde all´incirca alla sesta minore, cioè all´intervallo mi-do). Il secondo invece era così affascinato dalla sezione aurea, che la usò ripetutamente per equilibrare le parti della Musica per archi, percussioni e celesta e della Sonata per due pianoforti e percussioni.
Ma l´aspetto forse più stupefacente della sezione aurea, è che essa compare in innumerevoli fenomeni naturali, spesso approssimata dal rapporto fra due termini successivi di una sequenza di numeri scoperta nel 1202 da Leonardo da Pisa, detto Fibonacci, nel suo Libro dell´abaco, come soluzione di un problema relativo alla riproduzione dei conigli. La successione parte da 0 e 1, e a ogni passo procede sommando i due numeri precedenti: la sequenza continua dunque con 2, 3, 5, 8, 13, eccetera, e in questi giorni la si può ammirare, illuminata al neon, sulla Mole Antonelliana di Torino, in un´opera di Mario Mertz.
Le apparizioni, spesso inaspettate e insospettate, della sequenza di Fibonacci in natura sono talmente ubique, da riempire da anni i numeri della rivista quadrimestrale The Fibonacci Quaterly. Altrettanto vale per le altre manifestazioni della sezione aurea, descritte nei classici Crescita e forma di D´Arcy Thompson e Le curve della vita di Theodore Cook, e compendiate nel recente La sezione aurea di Mario Livio. Ben vengano dunque, una mostra e un congresso che si soffermano sulle variegate applicazioni dell´unico essere per il quale l´aggettivo «divino» non suona ridicolo o sacrilego, e cioè un numero.