giovedì 21 ottobre 2004

sinistra
il libro di Armando Cossutta

Repubblica 21.10.04
IL LIBRO-INTERVISTA DI ARMANDO COSSUTTA
COMUNISTA SENZA ABIURE
NELLO AJELLO

Una storia comunista di Armando Cossutta e Gianni Montesano viene presentato oggi a Roma presso la Sala del Cenacolo (vicolo Valdina 3a) alle ore 17 da Massimo D´Alema, Ciriaco De Mita e Oliviero Diliberto. Presiede Eugenio Scalfari
«Sono stato e sono ancora un comunista, senza vergogne e senza abiure», è il motto che Armando Cossutta adotta per riassumere la propria biografia, intitolata, appunto, Una storia comunista e redatta in collaborazione con Gianni Montesano (Rizzoli, pagg. 288, euro 15,50). La definisce «una piccola cronaca senza grandi pretese», ma non può sfuggirne l´intensa passionalità. Attraversa sessant´anni della sinistra italiana, visti da una distanza temporale che non ne attenua anzi sembra accrescerne l´impatto emotivo e la carica polemica.
Il punto di osservazione iniziale è la Lombardia operaia, anzi ciò che a lungo se ne è considerato la «cittadella»: Sesto San Giovanni. Lì Cossutta, nato a Milano nel 1926, iniziò la carriera politica, dopo aver militato nelle file della Resistenza ed aver subìto il carcere. Segretario della sezione comunista della «Stalingrado d´Italia», vi incontra i massimi dirigenti del partito: da Togliatti, alla cui lezione si professerà fedele, a quel Luigi Longo, del quale appena può tesse l´elogio. Del primo, Togliatti, apprezza la razionale freddezza, la perseveranza con la quale privilegiò, nei fatti, «la strada della democrazia» rispetto a quella dell´«insurrezione»: l´occupazione della Prefettura di Milano, nell´autunno del ´47, da parte di «una fiumana» di militanti del Pci sotto la guida di Giancarlo Pajetta - un topos della nostra narrativa politica - viene riproposta in queste pagine con vivacità e a completo onore del segretario del Pci che ne intuì a prima vista l´inutilità operativa (al punto, testimonia Cossutta, che in quelle ore «l´irritazione di Togliatti era ben più forte di quella di Scelba e De Gasperi»).
Di Longo, Cossutta ricorda la perentoria semplicità: alla vigilia di quel 28 aprile del ´45, quando il comandante partigiano Walter Audisio incaricato di giustiziare Mussolini manifesta qualche comprensibile esitazione, Longo lo gela per telefono: «Senti Valerio, o tu fucili Mussolini o noi fuciliamo te». Un episodio che sembra sfumare in una truce oleografia. Meno epici risultano certi tratti del carattere di Longo che Cossutta rievoca con leggerezza. Come quando, per troncare dibattiti che si preannunziano inesauribili, il successore di Togliatti posa sul tavolo di riunione il proprio cappello invitando i compagni a deporvi ciascuno un bigliettino con il suo voto: contiamoci e non se ne parli più. Così, nel dicembre del ´64, venne scelto, in qualità di candidato comunista al Quirinale, Saragat al posto di quel Fanfani che taluni - fra i quali Pietro Ingrao - patrocinavano. Decisioni ben più sofferte Longo aveva assunto rendendo pubblico il memoriale togliattiano di Jalta e si sarebbe accollato criticando con asprezza l´invasione sovietica della Cecoslovacchia (agosto 1968).
L´aura mitologica che aleggia su questi episodi sembra intorbidarsi nel periodo successivo, quando Cossutta passa all´opposizione nel partito, diventando capo della corrente denominata, all´ingrosso, «filosovietica». E ciò determinerà uno stop alla sua carriera, che aveva conosciuto un´ascesa continua fino a sfociare, nel 1966, nell´incarico di coordinatore dell´ufficio di segreteria e nella funzione di «sovrintendente all´amministrazione» del partito. Per farla breve, almeno fino al 1974, fu lui a procurare al Pci i finanziamenti che provenivano dall´Unione Sovietica: il cosiddetto «oro di Mosca».
Bersagliato per decenni dagli avversari politici, Cossutta non ha mai nascosto quel suo ruolo, rivendicandone anzi la legittimità in un universo bipolare, in cui ciascuna delle parti in lotta aveva i suoi finanziatori internazionali: la Dc gli Stati Uniti, il Pci l´Urss. Anche quando, sulla metà degli anni Settanta, i finanziamenti di provenienza moscovita si affievoliscono o cessano del tutto, egli continua a percepire contributi, magari modesti, di provenienza sovietica, stavolta a vantaggio di iniziative giornalistiche facenti capo alla sua «area» all´interno del partito o comunque predisposte verso Mosca.
Moralmente ineccepibile in quanto persona, l´ex agitatore di Sesto San Giovanni è ormai una sorta di manager internazionale di partito. E questa funzione collima con la sua visione politica generale. Sotto Berlinguer, egli sarà favorevole al compromesso storico come intuizione di fondo, ma assai critico verso i governi di solidarietà nazionale appoggiati dal Pci. Considererà «infelice» l´intervista con la quale, nell´estate del ´76, Berlinguer afferma di «sentirsi più al sicuro» sotto la protezione della Nato. Per non parlare della dichiarazione in cui lo stesso leader, alla fine del 1981, dichiarerà esaurita la «capacità propulsiva» della rivoluzione di Ottobre. Riviste oggi, le tesi berlingueriane gli sembrano anticipare quella «mutazione genetica» del partito di Togliatti e di Longo che condurrà al cambio del nome. D´altronde, già a partire dai tardi anni Settanta, il «caso Cossutta» era andato accentrando intorno a sé il dissenso comunista.
«Atto distruttivo» e «suicida», manifestazione di «pentitismo politico», «recisione delle radici», «nuovismo a tutti i costi»: così, in questa Storia comunista, si parla della "Bolognina" e del cambio di nome e di collocazione politica dell´ex Pci: colpevoli i «quarantenni scalpitanti guidati da Occhetto e da Massimo D´Alema». Cossutta si colloca alla testa dei comunisti del «no» e degli oppositori di quella «Cosa» che sarà poi il Pds e l´attuale Ds.
La nascita del partito della Rifondazione comunista, nel maggio del ´91, avrà proprio in Cossutta il massimo artefice: e, tre anni più tardi, sarà opera sua la stessa scelta di Fausto Bertinotti - un dirigente sindacale non di gran nome, all´epoca - come segretario.
È nel destino dell´anziano dirigente lombardo assistere a continui strappi che compromettono i suoi ideali originari. Il partito della Rifondazione comunista, da lui concepito come una formazione «unitaria» a sinistra, con Bertinotti cambia passo. Viene percorso da «un´accelerazione estremista», s´ispira a un «comunismo ribellistico che io definisco "dannunziano"». Nell´ottobre di sei anni fa, «in quelli che annovero fra i giorni più amari della mia vita», cade in parlamento il governo presieduto da Romano Prodi. Responsabile di questo capolavoro alla rovescia è il partito che proprio Cossutta ha creato e che Bertinotti ora dirige.
Tutto daccapo. Cossutta se ne va, inventa un nuovo partito, i Comunisti italiani, destinato a rappresentare «la sinistra del centrosinistra». È finora, l´ultima sua incarnazione politica. Ha già settantadue anni, in quel 1998, l´ex dirigente di base di Sesto San Giovanni. E può ben dire, parlando di sé al plurale come in un´epigrafe: «Andiamo lontano perché veniamo da lontano».