lunedì 1 novembre 2004

intervista ad Armando Cossutta

La Provincia 1.11.04
l'intervista
Armando Cossutta, presidente dei comunisti italiani «Gli errori dei Ds sui profughi istriani e i ragazzi di Salò. La mia verità sulla morte di Mussolini»
di Enrico Marletta

Onorevole Cossutta, perché lei non accetta il revisionismo dei Ds su Salò e l'autocritica sul dramma dei profughi istriani? Violante ha invitato alla comprensione ma i ragazzi di Salò restano dei banditi al servizio dello straniero che si sono distinti nel rastrellamento dei civili, spesso con una crudeltà superiore a quella degli stessi nazisti. Tutti i morti vanno rispettati ma guai a confondere chi è morto per un ideale di democrazia e chi per la sua negazione. Ma quella delle foibe è stata una vicenda orribile, per molti anni rimossa dalla sinistra... Lo dico una volta per tutte: la tragedia delle foibe è stata un'atrocità imperdonabile, esecranda. Ma, parlandone, trovo scorretto non analizzare ciò che l'ha preceduta. La popolazione slovena ha subìto una persecuzione da parte dei nazisti e dei fascisti. Migliaia furono le persone massacrate e deportate. Pochi giorni fa si è celebrato il cinquantesimo del ritorno di Trieste all'Italia. Poteva essere l'occasione per chiarire le ambiguità... Qui non c'è proprio niente da chiarire. La linea del Pci fu quella di sostenere, sempre, il ritorno di Trieste. Tutti dimenticano il ruolo di Togliatti: fu lui che si oppose al disegno di Dimitrov, allora segretario del Comintern, e quindi di Stalin, favorevole alla Jugoslavia. Trovo inoltre singolare che le critiche al Pci arrivino dalla destra. Fu la "repubblichina" di Salò a cedere l'intera Dalmazia ai tedeschi...
Lei è finito nel mirino della commissione Mitrokhin. Può chiarire la sua posizione?
Guardi, i finanziamenti dell'Urss al Pci e il mio ruolo in questa vicenda sono cosa nota dalla caduta del Muro. Sia chiaro, i sovietici hanno dato soldi a noi così come gli Usa hanno girato una montagna di dollari a Dc, Psdi, repubblicani e liberali. Quella era la logica del mondo diviso in due blocchi. Quanto all'accusa che una parte del denaro dell'Urss sia finito nelle mie tasche, posso solo dire che si tratta di un'insinuazione gratuita: ho citato il presidente della commissione (il giornalista Paolo Guzzanti, ndr) chiedendo un risarcimento di un milione di euro.
Si è detto che, in cambio dello sbianchettamento del dossier, lei avrebbe assicurato l'appoggio ai governi di centrosinistra...
Questa poi, solo una fantasia fervida può formulare una teoria del genere. Per non comparire nel dossier avrei mantenuto in vita tre governi? Suvvia, sono vent'anni che si sa di me, del Pci e dell'Urss. Nel suo libro «Una storia comunista» lei torna sulla fine di Mussolini. Cosa sa dell'uccisione del duce?
Ciò che so della fine di Mussolini l'ho appreso da Luigi Longo. A decidere di giustiziare il duce fu l'intero comando partigiano e, disse Longo, «guai se non lo avessimo fucilato perché dopo qualche anno ce lo saremmo trovato in Parlamento». Sparò Walter Audisio, il colonnello Valerio, e per quel gesto avrebbe meritato la medaglia d'oro.
Lei ricostruisce anche la telefonata tra Audisio e Longo. Cosa si dissero i due?
Audisio lamentava l'estrema difficoltà in cui si trovava a gestire la prigionia del duce. Sentiva le pressioni dei servizi, inglesi e americani. Bene, Longo fu perentorio e gli disse: «O lo uccidi tu o veniamo lì e fuciliamo te». La verità, io credo, sta tutta nel rapporto che mi consegnò Aldo Lampredi, commissario politico della brigata che aveva catturato Mussolini. Li mise nelle mie mani e io, in qualità di coordinatore della segreteria del Pci, lo chiusi nell'archivio di Botteghe oscure.