lunedì 1 novembre 2004

lo stile del pensiero cristiano...

articoli segnalati da Sergio Grom

Repubblica 1.11.04

IL CASO
Dalle Acli all'Opus Dei ai Focolarini, l'intervista di Pera vista dal mondo cattolico
Congiura, i movimenti si dividono "Discriminati? No, ma si deve reagire"
Bobba: Buttiglione vittima di un laicismo che ha nei francesi i più accaniti sostenitori
Il leader dei docenti cattolici: Rocco è stato trattato come gli ebrei con la stella gialla
di ORAZIO LA ROCCA

CITTÀ DEL VATICANO - C'è chi è disposto a porgere, evangelicamente, l´altra guancia; c'è chi si sente accerchiato e si dice pronto a reagire per difendere l'identità cristiana; c'è chi predica «calma e tolleranza» ed invita i cristiani a scongiurare «contrapposizioni pericolose col mondo laico»; ma c'è anche chi già parla di referendum sul Trattato per rilanciare le radici cristiane.
Il mondo cristiano e cattolico reagisce in ordine sparso al mancato inserimento di un riferimento alla cultura giudaico-cristiana nella nuova Carta Ue, tema che il papa ha sollevato decine di volte negli ultimi mesi - anche nell´Angelus di ieri - e che, a sorpresa, il presidente del Senato Marcello Pera ha ripreso, intervistato su Repubblica di ieri, parlando di «una Europa senza anima se privata delle radici cristiane» e di Buttiglione vittima di una congiura anti-cristiana. «In Europa c'é un laicismo intellettuale che si erge a nuova religione e che punta a cancellare ogni altra religione», lamenta Luigi Bobba, presidente delle Acli, la più grande associazione di lavoratori cristiani con circa 500 mila iscritti.
«Ma non si costruisce nessuna nuova Europa - avverte Bobba - cancellando le proprie radici a partire da quelle cristiane». Buttiglione, per Bobba , è stato «vittima di questo laicismo europeo che ha nei francesi i più accaniti sostenitori», ma anche «dell'euroscetticismo di questo governo che la cerimonia della firma organizzata a Roma non ha certamente attenuato, malgrado i discorsi e le apparenze». Che fare? Secondo Bobba «i cristiani devono reagire» e come prima scadenza «operativa» indica il referendum sul Trattato Ue «per dare la parola ai cittadini e rilanciare il tema delle radici cristiane».
L'Opus Dei, di fronte alle difficoltà europee dei cattolici, predica invece «pace e serenità perché siamo coscienti che il cristianemismo, come insegna il nostro fondatore Escrivà, si diffonde senza fanatismi e sapendo comprendere», spiega l'ingegnere Giuseppe Corigliano, portavoce dell´Opera, che aggiunge: «Le persone devono ritrovare Dio nel loro intimo, spontaneamente, senza fronti contrapposti e attraverso il dialogo». Posizione quasi in linea con i Focolarini, altra «potenza» cattolica - oltre 400 mila iscritti in Italia - fortemente impegnata nell'ecumenismo e sulla famiglia. «Siamo d'accordo col Papa - puntualizza la focolarina Carla Cotignoli, - e siamo impegnati da tempo a portare i fermenti evangelici nelle istituzioni europee e nei vari ambienti socio-politici del vecchio continente impegnati nella costruzione della Nuova Europa e, anche per questo, i Focolarini giudicano la firma del Trattato Ue un fatto storico». Come pure Edoardo Costantini, portavoce del Forum del Terzo settore, organismo che raccoglie associazioni e sigle del volontariato laico e cattolico, che però non sembra disposto ad indire nuove crociate per difendere sulla Carta le radici cristiane. «Purtroppo la citazione non c'è stata e ci dispiace, ma - avverte Costantini - i cristiani è bene che si rimbocchino le maniche e si diano da fare, senza contrapposizioni».
«Non esiste nessuna congiura anticristiana in Europa», giura a sua volta l´ex presidente dell´Azione Cattolica e senatore della Margherita, Alberto Monticone, secondo il quale «il vero male è la secolarizzazione che sta prendendo sempre più piede nel nostro continente». Ma per Alberto Giannino, presidente dei Docenti Cattolici, non è così: «Buttiglione è stato trattato - sostiene Giannino senza paura di esagerare - come gli ebrei nei campi di sterminio che erano costretti ad indossare la stella gialla cucita sulle loro giacche».

Repubblica 1.11.04
Reportage di "Newsweek" sulla convergenza d'interessi delle due religioni di fronte al laicismo nei Paesi europei

Quando Vaticano e islamici diventano alleati
"L´articolo 52 più importante del mancato riferimento a Dio nella Carta"

«Per l'Europa, lo scontro di civiltà non è tanto fra "Islam" e "Occidente", ma fra religiosità aggressiva e laicismo militante. Con il crollo del comunismo, i conservatori religiosi d'Europa, cattolici o musulmani, ora vedono il laicismo come il loro nemico principale». È la tesi-chiave di un reportage sull'edizione europea di Newsweek, firmato da Carla Power, che prende le mosse dal caso Buttiglione ma amplia lo sguardo alla sfida politico-culturale di cui esso è stata la spia. «I bigotti d'Europa sono al contrattacco - scrive il settimanale americano - . In prima fila c'è la Chiesa cattolica che, se un tempo evitava di sporcarsi le mani con i politicanti di Bruxelles, oggi fa azione di lobbying per ottenere più diritti formali nelle istituzioni europee». A questo proposito viene ricordato che nella Costituzione europea «è stato introdotto un articolo, il 52, che consente alle Chiese un "dialogo aperto, trasparente e regolare" con la Ue». Una disposizione che, secondo alcuni, «conferisce alla Chiesa un'indebita influenza sulla legislazione europea». E che, osserva Newsweek, è forse una vittoria più importante del mancato riconoscimento delle radici cristiane che hanno monopolizzato il dibattito pubblico.
A sostegno della tesi che è in atto una convergenza tra credenti di confessioni "rivali" in nome della religione e contro il laicismo, il reportage cita poi due episodi. Uno: dopo la legge francese anti-velo per le ragazze musulmane a scuola, l'arcivescovo di Parigi si è schierato con gli islamici. Due: quando in Gran Bretagna i musulmani hanno fatto pressione per inserire una categoria relativa alla fede religiosa nel censimento 2001, un numero «sorprendentemente alto» di britannici si è dichiarato cristiano. Newsweek affida a Jean-Paul Willaime, professore della Sorbona e autore di Europee et réligions, l´interpretazione di questi apparenti paradossi: «L'Islam ha ridato linfa alla presenza pubblica delle Chiese cristiane».

Repubblica 1.11.04
IL CASO

Ortodossi greci con Rocco "Giusto parlare di peccato"

ATENE - La Chiesa greco-ortodossa loda Rocco Buttiglione. «Poiché lui è un buon cristiano, ha detto quello che tutti i cristiani direbbero» ha detto infatti il capo della chiesa greco-ortodossa Christodoulos in un sermone tenuto ieri ad Atene. «Buttiglione ha affermato che essere omosessuali è un peccato davanti a Dio e non un crimine». «Guardate - ha aggiunto l'alto prelato - la miseria dell'umanità d'oggi, che cerca di dissimulare un chiaro peccato. Ciò accade perché questi vogliono che tutti accettino la loro debolezza come una condizione normale».

Repubblica 1.11.04
LA POLEMICA

Quei liberali ora cristiani
di GIULIANO AMATO

Da anni appartengo alla schiera dei laici che dialogano con i credenti sulla fede; sulla fede religiosa e - come dice il capofila della schiera, Arrigo Levi - sulla fede dei laici e su ciò che rende le due fedi insieme simili e diverse. Lo faccio nella convinzione che ci sia nella fede religiosa una marcia in più nel portare ciascuno verso il riconoscimento dell'altro, verso scelte di vita non egoiste, non edoniste e attente perciò alle ragioni proprie, ma anche e non meno al profondo valore della solidarietà; tutti ingredienti essenziali a mantenere solido il tessuto della convivenza in società segnate, per più ragioni, da propensioni che portano, all'opposto, a chiudersi in sé, a negare gli altri o più spesso a non accorgersene, a diffidare delle diversità più che a vedervi le tracce della nostra stessa umanità.
Perché la fede religiosa ha una marcia in più? Perché la fede dei laici porta nelle stesse direzioni sulla base della ragione, quella dei credenti sulla base dell´amore. E l'amore (a cui non si arriva attraverso la ragione) è una leva molto più forte e molto più mobilitante.
Su questo il cardinale Ruini mi invitò a parlare quattro anni fa nella basilica romana di San Giovanni in una serie di letture sull'inizio del nuovo millennio. E per questo durante i successivi lavori della Convenzione sul futuro dell'Europa mi sono impegnato, più ancora di tanti credenti, perché la Costituzione europea garantisse lo status che le religioni hanno nei nostri ordinamenti nazionali, riconoscesse il loro speciale contributo nel dialogo fra la società e le istituzioni e includesse come primo fra i valori dell'Unione quella dignità umana, che è il legato più inequivocabile e trasparente delle radici giudaico-cristiane della nostra civiltà. E nella Costituzione appena firmata tutto questo c'è.
Lo so, non c'è, nel preambolo, la menzione esplicita delle radici cristiane. E tuttavia, tenendo conto dei non marginali contenuti che ho appena ricordato, mi è sempre parso evidente che una tale mancanza non solo non esprimesse il disprezzo dei costituenti per la religione, ma in fondo non fosse neppure essenziale. Se non per un dubbio che avevo e che mi nasceva dalla seguente riflessione. Se è vero che l'Europa ha bisogno delle religioni, non solo per rinvigorire il tessuto morale delle sue società, ma in primo luogo per far sì che esso sia appunto un tessuto e quindi che le sue tante diversità si parlino, si riconoscano reciprocamente e quindi si accettino in valori e sentimenti comuni, allora ne derivano per le stesse religioni un ruolo e una responsabilità in relazione ai quali già oggi la cristianità ha saputo assumere una posizione di avanguardia.
È la cristianità che ha impostato e avviato il dialogo fra le religioni, è essa che ha invitato a considerare le verità di ciascuna non come dogmi inconciliabili, ma come matrici di testimonianze di vita all´insegna del fondamentale principio che le accomuna (tutti gli esseri umani sono figli dello stesso Dio). Ed è stato il Papa dei cattolici, in uno dei momenti più alti del suo pontificato, a chiedere perdono a Gerusalemme per le negazioni di quel principio commesse dalla sua Chiesa in passato. Se è così, allora menzionare le radici cristiane poteva sottolineare questo ruolo della cristianità come alimento spirituale di un'Europa non esclusiva, ma inclusiva all´insegna del dialogo e della comprensione reciproca, sempre nel nome della dignità umana e della sua affermazione.
Vedo ora che fra i critici più aspri della non menzione delle radici cristiane vi sono non solo dei cattolici, ma dei liberali (che tali sono ritenuti e tali comunque si definiscono), i quali teorizzano la necessità di costruire su radici e valori della cristianità i contrafforti e le barriere che permettano a un'Europa altrimenti flaccida e inerte di vincere la guerra contro il terrorismo islamico. Non posso essere d'accordo e mi auguro che i tanti cattolici che la pensano come me dicano con chiarezza che neppure loro lo sono.
Intendiamoci, e qui per evitare ogni equivoco mi ripeto: se a quelle radici e a quei valori pensiamo per frenare la spinta, che c'è fra di noi, ai diritti senza limiti, alla libertà senza responsabilità, ai rapporti interpersonali costruiti sulla sola convenienza e non sull'etica, sono il primo a riconoscerne l'importanza e a ravvisarvi anzi una risorsa essenziale per la tenuta stessa delle società del nostro tempo. Ma nei confronti del mondo islamico questo a che cosa può servire? Non per asserragliarci nella guerra contro la sua derivata fondamentalista, ma caso mai per rendere possibile un dialogo che è oggi reso impossibile dalla diffidenza nei nostri confronti di tanti islamici, e non certo fondamentalisti, per i quali "l'immoralità" dell´Occidente è una ragione sufficiente a legittimare separatezze e chiusure. So bene che tale diffidenza è anche nutrita da oscurantismi ed anti-modernismi. Ma so altrettanto bene che un fondamento essa lo trova in tare effettive delle nostre società. Eliminarle o ridurle, perciò, serve bensì alla guerra al terrorismo fondamentalista, ma solo nel senso che si priva così di ragione l'argomento che esso amplifica della natura edonista e quindi "demoniaca" delle nostre società e si crea conseguentemente un ponte che facilita il riconoscimento reciproco fra la nostra cultura e quella del mondo islamico in cui esso vuole far presa. Non serve, invece, se punta alla definizione dei confini di un territorio spirituale che è nostro, e solo nostro, e delle cui risorse ci avvaliamo per combattere e per escludere chi non è partecipe della nostra identità, l´identità dell´Occidente. Un'identità occidentale che sventola le bandiere della sua religione non combatte il terrorismo islamista, combatte inevitabilmente l'Islam. Dà così alla stessa religione un connotato opposto a quello che la cristianità ha inteso assumere e non giova né all'Europa né alla pace e alla sicurezza del mondo.
È sorprendente trovarsi in disaccordo, su tutto questo, con esponenti della cultura liberale, mentre non sorprende che si possa additare alle loro coscienze quanto ha scritto da ultimo il cardinale Ratzinger, allorché ha negato che si possa identificare «l'assolutezza di Dio con una comunità particolare o con certe sue aree di interesse» giacché ciò «distrugge il diritto e la morale.. e la differenza fra il bene e il male svanisce». Il che vale per l'Islam, ma vale parimenti per ogni altra religione. C'è invece sintonia tra questa impostazione e il futuro che auspica un vero liberale, Borislav Geremek, quando scrive che «il valore aggiunto che l'Europa potrà offrire alla politica internazionale sarà il suo essere non una comunità religiosa, ma una comunità pluralista nella quale diverse religioni vivono insieme».
È questo che può dare un colpo davvero mortale al fondamentalismo. Ed è solo questo che mantiene alla fede religiosa la sua marcia in più, l´amore da cui nasce e che la tiene in vita.