La Stampa 22 Novembre 2004
SETTE FORTI RAGIONI PER USCIRE DAL CIRCOLO VIZIOSO DELLA VIOLENZA: PENA IL CADERE IN UNA NUOVA BARBARIE
Perché la guerra non è più giustificabile
di Giuliano Pontara
ERAVAMO molto amici. Incontrai Norberto e Valeria agli inizi degli anni Sessanta. So dai molti incontri, pubblici e privati, che ebbi con Norberto nel corso di quarant’anni, che il problema pace/guerra, nell’era delle armi di distruzione di massa, lo sentiva in modo angosciante. A questo problema, che riteneva «uno dei grandi e terribili problemi del nostro tempo» - forse il più grande e terribile - Norberto dedicò molta attenzione in molti scritti di cui i primi risalgono agli inizi del ‘61. Sostenne in varie occasioni che «nelle circostanze attuali non è più possibile giustificare la guerra», e di fronte alle prospettive di una guerra nucleare disse che «siamo, almeno potenzialmente, tutti quanti obiettori di coscienza». Inaspettata fu quindi la sua presa di posizione, nel ‘91, quando sostenne che la guerra contro l’Iraq era «una guerra giusta». Nell’intenso dibattito che ne seguì egli cercò di chiarire che la sua posizione non era una posizione etica, bensì strettamente giuridica, ossia che per «guerra giusta» non intendeva «guerra eticamente giustificata», bensì «guerra legale» ossia conforme alla legge, nella fattispecie al diritto internazionale e alla carta dell’Onu. Ma, a ben guardare, era comunque una posizione che affondava le sue radici in una concezione etica, più precisamente in un’etica della responsabilità, dei risultati, cui espressamente Norberto Bobbio più volte si richiamò nel corso del dibattito. E dietro c’era anche un’adesione, sia pure critica, ad una dottrina dei diritti umani, che è appunto una dottrina etica, ancor prima che giuridica.
Muovo da tale dottrina, e pongo la seguente questione: dato, o concesso per amore dell’argomento, che vi siano diritti umani fondamentali - un diritto alla vita, a non essere torturato, alla salute - è eticamente giustificato violare i diritti fondamentali di alcuni al fine di tutelare quelli di altri? La questione si pone in modo particolarmente drammatico in relazione alla guerra, includendo nel concetto di guerra la guerra tra Stati, tra comunità internazionale e singoli Stati, la guerra civile, la guerriglia, il terrorismo («guerra diluita» come la chiamava Bobbio).
Può essere giustificata la guerra sulla base dell’etica della responsabilità? In via di principio sì: dipende, appunto, dalle conseguenze e dalle alternative in gioco.
Si possono però far valere alcune forti ragioni a sostegno della tesi generale per cui la guerra, intesa come impiego sistematico della violenza armata, oggi non può essere giustificata.
Enumero in tutta brevità sette ragioni:
1) La guerra è diventata un massacro di massa su scala industriale; essa comporta con certezza, in ragione dei mezzi usati, stragi e inflizioni di sofferenze immani.
2) La guerra comporta con certezza gravi e vaste violazioni, collaterali o meno, di diritti fondamentali di innocenti - presenti e futuri.
3) ante eventum, è sempre incerto se l’impiego massiccio della violenza armata effettivamente conduca alla tutela di tutti quei diritti che con essa si vogliono (eventualmente) tutelare.
4) Vi è un’alta probabilità che nel corso di qualsiasi guerra s’inneschino vasti processi di de-umanizzazione, brutalizzazione, deresponsabilizzazione, i quali, man mano che la guerra procede, inducono ad accettare forme sempre più massicce, distruttive e indiscriminate di violenza.
5) Alla guerra è sempre più connessa una tendenza alla militarizzazione della società, militarizzazione che pone sempre più a rischio il buon funzionamento, o addirittura l’esistenza di quelle istituzioni democratiche, di quei controlli dal basso, che parrebbero necessari per una tutela effettiva dei diritti umani fondamentali.
6) Vi è un rischio che ogni guerra contribuisca ulteriormente al processo storico di escalation e di globalizzazione della violenza armata: quel processo che nel corso di millenni ha visto gli uomini passare da conflitti violenti locali, combattuti con armi rudimentali, di portata distruttiva molto limitata, alle due guerre mondiali del secolo scorso, e quelle che, sulla loro scia, ne sono seguite.
7) E vi è il rischio, associato con il processo di escalation e globalizzazione della violenza, che si verifichi una guerra catastrofica per l’intero genere umano, la guerra dell’Armageddon (la guerra di un’ora, di cui si parla nell’Apocalisse), scatenata dal popolo di dio di turno, o magari per sbaglio - una violazione apocalittica di diritti fondamentali. L’entità di questo rischio è difficile da stabilire, ma sappiamo che nell’era della proliferazione delle armi termonucleari, biologiche e chimiche esso è maggiore di zero: il che significa che, pur assumendo che tale rischio sia molto basso - ma non lo sappiamo -, la enorme violazione di diritti fondamentali connessa con una guerra dell’Armageddon è un male talmente grande che la violazione attesa di diritti connessa con la guerra oggi è molto alta.
Di fronte a tutto ciò la ragione ci dice che dobbiamo uscire dal circolo vizioso della violenza, pena il cadere in una nuova barbarie.
«SEGNALAZIONI» è il titolo della testata indipendente di Fulvio Iannaco che - registrata già nel 2001 - ha ormai compiuto il diciottesimo anno della propria continua ricerca e resistenza.
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