martedì 28 dicembre 2004

Ivan Illich
la "cattiveria" cattolica

La Stampa 27 Dicembre 2004
ILLICH E I PARADOSSI DELLA MEDICINA
PIÙ SANI, PIÙ TRISTI
Eugenia Tognotti

IN nessun momento storico l'umanità ha potuto disporre di tante possibilità di essere in buona salute come in questo che stiamo vivendo. E il futuro sembra annunciare uno scenario ancora più rico di promesse. La medicina molecolare sta spingendo la comprensione delle cause di malattia fino ai dettagli più minuti, consentendo di rintracciare un rimedio per ogni possibile malanno. La medicina «predittiva» sfiora il mondo della profezia, individuando i mali prima che si manifestino. La medicina, insomma, sembra aver appagato le speranze più profonde in termini di benessere mentale e fisico, esaudendo il desiderio di una vita meno minacciata o meno compromessa dalle sofferenze fisiche, dalle infermità, dalle menomazioni della vecchiaia e dalla morte. Il suo campo d'azione si è allargato «verticalmente» e «orizzontalmente», come ha scritto l'autorevole bioeticista americano Daniel Callahan, ora vi si comprendono anche il perseguimento del benessere fisico ed emozionale e il miglioramento dell'aspetto attraverso la chirurgia estetica. Ma ai nuovi poteri della medicina si ricorre anche per problemi sociali - l'abuso di droghe, lo stress psicologico legato al lavoro e alla vita quotidiana, le nuove paure - di cui nel passato si occupavano movimenti, partiti, sindacati. Eppure, la percezione soggettiva di benessere fisico non corrisponde alla realtà del fatto che la gente vive effettivamente più a lungo e in migliori condizioni di salute che nel passato. Eppure - è un fatto - la socializzazione della medicina e la medicalizzazione della società sembrano aver fallito lo scopo. Non ci sentiamo affatto più sani, più felici, più liberi da sofferenze rispetto al passato. È il cosiddetto «paradosso della salute».
Il numero di malesseri, di disturbi, di sintomi fisici e motivi d'invalidità cresce anzi di anno in anno e nonostante i portentosi successi conseguiti nella lotta alla malattia e alla morte, dominano un'inquietudine e un'ansia generalizzate. Le cause sono diverse. Lo stesso proporsi orizzonti illimitati (come quello di cancellare la vecchiaia e la morte e perfino di garantire la felicità) da parte della medicina e l'idea di dominare la natura, prima considerata una barriera insuperabile, hanno creato nuovi problemi e tante illusioni. Prima dell'avvento della medicina moderna uno sforzo di secoli aveva portato a dare significato al dolore e alla sofferenza, e ad accettare l'idea della morte come parte della condizione umana. La spietata battaglia per cancellarla, porta quasi a considerare un anacronismo storico il modello del ciclo di vita che comprende il declino, l'invecchiamento, la fine della vita. Sono i temi al centro del libro Nemesi medica. L'espropriazione della salute (Bruno Mondadori), scritto dal filosofo e antropologo Ivan Illich, scomparso due anni fa. A quasi trent'anni di distanza dalla sua prima edizione, quest'ultima, arricchita da due nuovi saggi - tra cui la bella prolusione tenuta nel 1998 a Bologna al Convegno «Malattia e salute come metafore sociali» - offre materia di riflessione anche a chi non condivide la furia iconoclasta di Illich contro la medicina occidentale, di cui si devono pur tenere in conto i valori applicativi, conoscitivi e morali. Del resto gli ultimi saggi lasciano intravedere una meditazione più distesa, rispetto alle corrosive analisi della stagione culturale e ideologica che fece da sfondo alla prima edizione e ad alcune sue clamorose prese di posizione. Le cronache ricordano la provocatoria divulgazione di dati statistici, in seguito a uno sciopero ospedaliero in Francia, con cui si proponeva di dimostrare che senza medici c'era stata una sensibile diminuzione di decessi, a conferma della tesi da lui sostenuta che tra salute della gente e assistenza medica non esiste nessuna correlazione.
Ma all'alba del XXI secolo, la sua denuncia non ha come obiettivo prioritario i medici, «non più al timone della biocrazia» e parte di un ingranaggio più grande e complesso. La sua denuncia coglie invece le aberrazioni di un sistema sanitario che produce senza tregua nuovi bisogni terapeutici. Tanto che la ricerca della salute appare esso stesso un fattore patogeno, e anzi «il fattore patogeno predominante». La medicina ha davanti a sé il compito di assegnarsi, come bussola morale e propositiva, un limite all'interno del quale conviene affrontare la sofferenza e accogliere la morte, anziché respingerla. «Visto l'intasamento dei non morti prodotto dalle cure - osserva caustico Illich - e considerata la loro miseria modernizzata, è ormai tempo di rinunciare a voler guarire la vecchiaia».